CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2019, n. 9675
Licenziamento per motivi disciplinari – Condotta negligente, perpetuata nel tempo, connotata dalla specifica consapevolezza del suo carattere negativo – Principio di immediatezza della contestazione – Ricorso per Cassazione inammissibile – Censure non pertinenti rispetto al “decisum” della sentenza
Fatti di causa
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Cagliari, adita dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Cagliari ai sensi dell’art. 1 c. 58 della L. n. 92 del 2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cagliari, ha dichiarato la legittimità del licenziamento intimato il 21.5.2013 alla signora A.C..
2. La Corte territoriale:
3. ha respinto i motivi di reclamo con i quali l’Ordine aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso in opposizione per mutamento della originaria domanda e aveva dedotto l’inapplicabilità della L. n. 300/70 ;
4. ha ritenuto provata la sussistenza dei fatti oggetto di contestazione disciplinare (trattenimento del fascicolo relativo alla formazione del bilancio relativo all’esercizio anno 2008 contenente lo scambio di corrispondenza tra il dott. T. ed il commissario M.; rinvenimento del medesimo fascicolo sul pavimento dell’ufficio della lavoratrice al quale avevano accesso il personale dipendente e l’utenza; omessa comunicazione al consulente del lavoro delle delibere del Consiglio dell’Ordine del 19 giugno e del 30 luglio 2002, con le quali era stata disposta la revoca della indennità di maneggio danaro con conseguente percezione di tale indennità da parte della lavoratrice sino al giugno 2012; istanza indirizzata alla Direzione Provinciale del Lavoro del 30 luglio 2008 contenente notizie sullo stato di servizio della lavoratrice difformi da quelle contenute nello stato di servizio redatto dalla medesima l’8.2.2012; rinvenimento nel p.c. in uso alla lavoratrice di cartelle ad accesso riservato, di natura personale e di archivi storici del Consiglio salvate soltanto sul desktop e non condivisi con i colleghi di lavoro);
5. ha ritenuto che i comportamenti addebitati considerati unitariamente si erano compendiati in una condotta negligente, perpetuata nel tempo, connotata dalla specifica consapevolezza del suo carattere negativo e volutamente approfittatrice del rapporto fiduciario con i vertici dell’Ente.
6. La Corte territoriale ha sussunto tale condotta entro la fattispecie di cui all’art. 16 c. 8 del CCNL Compatto Enti Pubblici non Economici e l’ha ritenuta idonea a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario e incompatibile con la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro.
7. Essa, infine, ha ritenuto “assorbite tutte le altre questioni non affrontate in quanto irrilevanti e ininfluenti ai fini della decisione”.
8. Avverso questa sentenza A.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Cagliari, il quale ha anche proposto ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Sintesi dei motivi del ricorso principale
9. La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.:
10. con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 commi 3 e 4 della L. 30.5.1970 n. 300, degli artt. 55 c. 1 e 55 bis del d.lgs. 30.3.2001 n. 165, degli artt. 1418 e 1421 c.c. e dell’art. 112 cod.proc.civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; addebita alla Corte territoriale di avere omesso di accertare e di dichiarare l’illegittimità del licenziamento per violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare; sostiene, inoltre, che la Corte territoriale, laddove ha statuito “accoglie per quanto di ragione il reclamo proposto (…) e in parziale riforma della sentenza reclamata, che conferma per il resto, dichiara legittimo il licenziamento intimato alla C. con delibera del Consiglio dell’ordine datata 21 maggio 2013”, ha confermato la statuizione del giudice di primo grado che aveva dichiarato la non tempestività delle contestazioni disciplinari poste a fondamento del licenziamento.
11. con il secondo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 55 c. 1 e 55 bis del d.lgs. 30.3.2001 n. 165, degli artt. 1418 e 1421 c.c. e dell’art. 112 cod.proc.civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; addebita alla Corte territoriale di avere omesso di accertare e di dichiarare la nullità del procedimento disciplinare per violazione dei termini massimi di durata previsti dall’art. 55 bis del d. Igs. n. 165 del 2001 e la conseguente illegittimità del procedimento disciplinare; precisato che il giudice dell’opposizione aveva rigettato la predetta eccezione perchè formulata tardivamente, asserisce che il reclamo proposto dal Consiglio dell’Ordine aveva determinato la possibilità per essa lavoratrice, vittoriosa nel giudizio di primo grado, di riproporre l’eccezione di decadenza dal potere disciplinare, riproposizione effettuata con la memoria difensiva depositata nel giudizio di reclamo; asserisce, inoltre, che la violazione del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere rilevata di ufficio dalla Corte territoriale;
12. con il terzo motivo violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; imputa alla Corte territoriale di avere posto a fondamento della decisione circostanze di fatto non allegate dalle parti e circostanze di fatto allegate dal datore di lavoro e non provate, di avere rielaborato la ricostruzione dei fatti oggetto della contestazione disciplinare, di avere omesso di considerare a) la delibera n. 101 del 13.2.2008 che aveva riattribuito ad essa ricorrente l’indennità di maneggio danaro; b) il verbale del 30.7.2002 che riproduceva il parere dell’Avvocato P.; deduce che, secondo la prassi interna al Consiglio, le delibere venivano eseguite solo se presentavano il carattere di immediata ed inequivoca applicazione e che essa ricorrente aveva conosciuto della delibera di revoca dell’indennità maneggio danaro, mai attuata, solo un anno o due anni dopo la sua adozione;
13. con il quarto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 commi 3 e 4 della L. 30.5.1970 n. 300, degli artt. 55 c. 1 e 55 bis del d. Igs. 30.3.2001 n. 165, degli artt. 1418 e 1421 c.c. e dell’art. 112 cod.proc.civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; addebita alla Corte territoriale di avere omesso di dichiarare la genericità della contestazione relativa al rinvenimento sul computer di essa ricorrente di cartelle ad accesso riservato, di cartelle di natura personale, di archivi storici del Consiglio salvate soltanto sul desktop;
14. con il quinto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del CCNL Enti Pubblici non Economici e dell’art. 2119 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; sostiene che la Corte territoriale ha errato nel sussumere la condotta oggetto di contestazione disciplinare entro la fattispecie delineata dalla norma generale e residuale contenuta nell’art. 16 c. 8 lett. d) del CCNL e non entro l’ambito applicativo della disposizione contenuta nel c. 4 lett. b) e c) ovvero nel c. 5 lett. B) o dell’art. 6 lett. a) che disciplinano la condotta negligente e nel ritenere proporzionata la sanzione adottata dal Consiglio. Sintesi del ricorso incidentale condizionato.
15. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia, in via condizionata all’accoglimento del ricorso principale, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod.proc.civ. Sostiene che la domanda subordinata spiegata nel ricorso in opposizione è diversa e nuova rispetto a quella formulata nell’ atto introduttivo della fase sommaria.
16. In via preliminare va dichiarata l’ammissibilità del ricorso principale in quanto la notifica risulta essere stata avviata il 22.9.2017, nel termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 1 c. 62 L. n. 92 del 2012 decorrente dal 24.7.2017, data di pubblicazione della sentenza impugnata.
Esame dei motivi del ricorso principale
17. Il primo motivo è infondato nella parte in cui la ricorrente, facendo leva sulla espressione “accoglie per quanto di ragione il reclamo proposto … e in parziale riforma della sentenza reclamata, che conferma per il resto, dichiara legittimo il licenziamento…”, contenuta nella sentenza impugnata, assume che quest’ultima avrebbe confermato la decisione di primo grado sulla non tempestività della contestazione disciplinare.
18. La ricorrente non considera, infatti, che la riforma parziale della sentenza di primo grado conseguiva al fatto che il reclamo proposto dal Consiglio era stato rigettato nella parte in cui era stata impugnata la statuizione del giudice di primo grado di rigetto dell’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso in opposizione (proposto dalla lavoratrice) per intervenuto mutamento della domanda proposta con il ricorso introduttivo della fase sommaria e nella parte in cui aveva era stata dedotta l’inapplicabilità all’Ente reclamante dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970.
19. D’altra parte, la lettura parcellizzata delle diverse statuizioni contenute nel dispositivo confligge anche con la statuizione relativa alla accertata legittimità del licenziamento che costituisce il punto centrale dell’intero “decisum”.
20. Il primo motivo è inammissibile laddove è dedotta la tardività delle contestazioni disciplinari.
21. In primo luogo, perché la censura è sviluppata senza alcun confronto con la statuizione della Corte territoriale, la quale ha esaminato i singoli comportamenti oggetto di contestazione disciplinare e li ha valutati unitariamente come espressione di una condotta che si era perpetuata nel tempo e sulla scorta di siffatta qualificazione della condotta posta in essere dalla lavoratrice ha ritenuto assorbite le ulteriori questioni ritenendole ininfluenti e non rilevanti.
22. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., giacchè il requisito di specificità del motivo di ricorso implica la necessaria riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sorreggono la sentenza sottoposta ad impugnazione (Cass. 20562/2018, 10317/2018, 6137/2018, Cass. n. 3331/2018).
23. In secondo luogo, perchè la censura è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. Il motivo difetta di qualsivoglia allegazione in ordine al tempo in cui l’UPD ha ricevuto la notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti.
24. Il secondo motivo è infondato.
25. Diversamente da quanto opina la ricorrente, non è ravvisabile il dedotto vizio di pronuncia da parte della Corte territoriale sulla eccezione di nullità del licenziamento per superamento del termine legale per la conclusione del procedimento disciplinare.
26. La lavoratrice, infatti, a fronte della pronuncia di inammissibilità della predetta eccezione contenuta nella sentenza di primo grado, che aveva, per ragioni diverse dichiarato l’illegittimità del licenziamento, qualora avesse voluto ottenere l’esame specifico dell’eccezione, pur vittoriosa, avrebbe dovuto proporre sul punto autonomo reclamo avverso la pronuncia di primo grado, e non limitarsi ad una mera riproposizione dell’eccezione ai sensi dell’art. 346 cod.proc.civ. (Cass. SSUU 11799/2017; 13195/2018; Cass. 31077/2018, 21264/2018, 21044/2018, 12558/2018, 10406/2018).
27. Il secondo motivo è infondato anche nella parte in cui addebita alla sentenza impugnata di non avere rilevato in via officiosa la violazione dell’art. 55 bis del d. lgs. n. 165 del 2001 nella parte in cui dispone che il procedimento disciplinare deve essere concluso entro il termine di 120 giorni dalla sua apertura.
28. Questa Corte ha da tempo affermato che la “causa petendi” dell’azione proposta dal lavoratore per contestare la validità e l’efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell’atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi, dai quali può derivare la illegittimità del recesso, discende da circostanze di fatto che è onere dei ricorrente dedurre e allegare (ex multis, Cass. 23869/2018, 7687/2017).
29. Muovendo da detto presupposto, è stato, ritenuto che, pur a fronte del medesimo “petitum”, escluse le ipotesi nelle quali la modifica resta limitata alla sola qualificazione giuridica, costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, nel corso del giudizio di primo grado e, a maggior ragione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimità del licenziamento non tempestivamente dedotto (ex multis Cass. 886/1982, 6899/1987, 2418/1990, 3810/1990).
30. Siffatto principio è stato ribadito da recenti decisioni, che hanno qualificato come “nuove” le domande volte a far valere l’assenza di giusta causa o giustificato motivo, a fronte di un’azione con la quale originariamente era stato prospettato solo il motivo ritorsivo o discriminatorio (Cass. 12898/2016), ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento discriminatorio, sia pure sulla base di circostanze emergenti dagli atti, in fattispecie nella quale era stata dedotta solo la mancanza di giusta causa (Cass. 13673/2015 e, con riferimento al licenziamento ritorsivo Cass. 19142/2015), a prospettare vizi formali del procedimento disciplinare diversi da quelli denunciati nell’atto introduttivo (Cass. 655/2015, 8293/2012, 5555/2011, 15795/2008).
31. In tutte le pronunce richiamate è stato fatto riferimento alle regole del processo del lavoro, che impongono la tempestiva deduzione delle circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione, e, nelle ipotesi in cui il vizio tardivamente denunciato avrebbe potuto condurre a una dichiarazione di nullità dell’atto di recesso, è anche stato evidenziato che “la rilevabilità d’ufficio della nullità non può incidere sulle preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., ove, attraverso l’ “exceptio nullitatis”, si introducano tardivamente in giudizio questioni di fatto ed accertamenti nuovi e diversi, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.” (Cass. 17751/2012).
32. E’ stato aggiunto che l’ eventuale nullità del licenziamento, per contrasto con norme imperative di legge, non può essere rilevata dal giudice, in quanto “il principio di cui all’art. 1421 c.c., che va comunque coordinato con il principio della domanda, con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con quello della disponibilità delle prove, di cui all’art. 115 c.p.c., non può trovare applicazione quando la parte chieda la declaratoria di invalidità di un atto a sè pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta, in tale caso, alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa” (Cass. 13673/2015, 23683/2004, 9167/2003).
33. La non rilevabilità di ufficio di un motivo di nullità non tempestivamente dedotto è stata giustificata dalla giurisprudenza di questa Corte anche facendo leva sull’orientamento, all’epoca maggioritario, che in relazione alle patologie contrattuali riteneva che la regola enunciata dall’art. 1421 c.c. dovesse essere coordinata con il principio dispositivo, e, quindi, dovesse operare solo nelle controversie promosse per far valere diritti presupponenti la validità del contratto, non anche nella diversa ipotesi in cui la domanda fosse diretta a fare dichiarare l’invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento.
34. Deve escludersi che possano essere automaticamente estesi alla materia dei licenziamenti i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, dapprima con la sentenza n. 14828 del 2012 e con la sentenza n. 26242 del 2014, con le quali sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo e, per quel che qui interessa, è stato affermato -ebito mosso alla Corte territoriale di avere ricostruito in modo eccentrico rispetto alla contestazione disciplinare l’inadempimento correlato al trattenimento del fascicolo relativo alla formazione del bilancio relativo all’esercizio dell’anno 2008 contenente anche scambio di corrispondenza tra il dott. T. ed il Commissario M.) non si confronta affatto con la decisione impugnata, nella quale i singoli comportamenti addebitati sono stati riscostruiti nella loro materialità attraverso l’analisi del materiale istruttorio.
37. Il riferimento alle condizioni ambientali di ritrovamento del fascicolo risulta effettuato dalla Corte territoriale al fine di dare conto delle emergenze istruttorie e, in particolare, delle dichiarazioni rese dalla stessa lavoratrice in ordine all’esigenza di conservarne una copia per propria “memoria personale”.
38. E, d’altra parte, la formulazione del giudizio valoriale di gravità del comportamento contestato e di proporzionalità della adottata sanzione espulsiva è stata effettuata unitariamente e i singoli episodi sono stati ricostruiti come espressione di una condotta che si era perpetuata nel tempo in termini di inadempimento agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro e di lesione del vincolo di particolare fiducia instauratosi tra la lavoratrice e gli organi di vertice della Amministrazione.
39. Ebbene, a fronte della decisione impugnata, che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la parte ricorrente si è limitata a dedurre la non corrispondenza della ricostruzione dell’episodio relativo al reperimento del fascicolo concernente il bilancio dell’anno 2008 rispetto alla contestazione disciplinare, per invocare il diverso peso specifico di tale episodio, ma non ha chiarito le ragioni per le quali il luogo di reperimento del fascicolo esclude la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento della condotta unitariamente ricostruita.
40. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui addebita alla Corte territoriale l’omesso esame delle delibere del Consiglio del 19.6.2002 e del 30.7.2002, e la violazione delle norme processuali contenute negli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., perchè, ancora una volta la ricorrente, al di là delle norme invocate nella rubrica, sollecita il riesame del merito della causa, quanto alla ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, inammissibile in sede di legittimità (Cass. SS.U 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).
41. Il quarto motivo, con il quale la ricorrente addebita alla Corte territoriale di non avere pronunciato sulla eccezione di genericità degli addebiti disciplinari correlati al rinvenimento sul computer in uso di cartelle ad accesso riservato, di natura personale archivi storici dell’Ordine salvate sul solo desktop, è inammissibile.
42. L’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente ex art. 360 n.4 cod.proc.civ e non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cod.proc.civ o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod.proc.civ.
43. Siffatte censure presuppongono, infatti, che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, ovvero senza giustificare adeguatamente la decisione.
44. Solo la denuncia “dell’error in procedendo”, infatti, consente al giudice di legittimità, in tal caso giudice anche del fatto processuale, di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito (Cass. 1648/2018, 22759/2014).
45. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel comporre il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze della errata formulazione dei motivi, hanno affermato che “nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge “(Cass. SS.UU. 17931/2013).
46. Il caso di specie è riconducibile alla seconda ipotesi perché nel motivo in esame, erroneamente rubricato con riferimento all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., il ricorrente non fa alcun riferimento alla nullità derivata dal dedotto “error in procedendo”.
47. Il quinto motivo, con il quale è denunciata l’erronea sussunzione della condotta oggetto di contestazione disciplinare entro la fattispecie delineata dalla norma generale e residuale contenuta nell’art. 16 c. 8 lett. d) del CCNL e l’erroneità del giudizio di proporzionalità della sanzione risolutiva presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
48. E’ necessario osservare, in primo luogo, che anche con riferimento alle ipotesi di illeciti disciplinari tipizzati dalla contrattazione collettiva, deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto oggetto di contestazione (Cass. 11160/2018, 28796/2017, 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008).
49. La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi, come è stato affermato nelle pronunce innanzi richiamate è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art. 11 L. 689 del 1981), e risulta trasfusa, per l’illecito disciplinare, nell’art. 2106 c.c., richiamato dall’art. 55 del D. Lgs. n. 165 del 2001, anche nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 150 del 2009.
50. Da tanto consegue la possibilità per il giudice di annullare la sanzione “eccessiva”, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari.
51. Deve, inoltre, ribadirsi il principio, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare norme elastiche, come quella citata, non sfugge alla verifica in sede di legittimità, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi (anche costituzionali) desumibili dall’ordinamento (Cass. 11160/2018, 28796/20917, 21351/2016, 12069/2015, 692/2015, 25608/2014, 6501/2013, 6498/2012, 8017/2006, 10058/2005, 5026/2004).
52. E’ stato, in proposito, affermato che la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 28796/2017, 1977/2016, 1351/2016, 12059/2015, 25608/2014), con la precisazione, quanto a quest’ultimo, che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni.
53. Anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può, infatti, risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto (Cass. 11160/2018, 28796/2017, 13512/2016, 5548/2010).
54. Nella sentenza impugnata, diversamente da quanto opina la ricorrente, non è rinvenibile alcuna incoerenza del giudizio valoriale di gravità della condotta rispetto agli elementi che integrano il parametro normativo della giusta causa.
55. La Corte territoriale, infatti, ha richiamato l’art. 16 c. 8 del CCNL del Comparto Enti Pubblici non Economici evidenziando che esso punisce con la sanzione del licenziamento senza preavviso le “violazioni dei doveri di comportamento, anche nei confronti di terzi, di gravità tale da compromettere irreparabilmente il rapporto di fiducia con l’amministrazione e da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro” e che la medesima disposizione alla lettera d) ricomprende tra le condotte punibili con la predetta sanzione la commissione di fatti o atti dolosi, che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.
56. Ha, quindi, formulato il giudizio di gravità della condotta osservando che questa, per essersi compendiata in negligenze perpetuate nel tempo e per essere stata connotata dall’abuso della fiducia riposta dagli organi di vertice dell’Ente, era idonea a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario ed era incompatibile con la prosecuzione, sia pure solo temporanea del rapporto di lavoro.
57. Il giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva risulta, inoltre, coerente con i parametri di valutazione per l’applicazione delle sanzioni disciplinari indicati dall’art. 16 c. 1 del richiamato CCNL Enti Pubblici non economici il quale fa riferimento, tra altri, alla intenzionalità del comportamento, al grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento, alla rilevanza degli obblighi violati; alle responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente).
58. Le censure formulate nel motivo in esame sono inammissibili nella parte in cui la ricorrente, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione e di falsa applicazione delle disposizioni di legge e di CCNL richiamate nella rubrica sollecita una generica rivisitazione del giudizio di gravità e di proporzionalità, non consentita in sede di legittimità (Cass. 28445/2018, 707/2017, 23862/2016, 7568/2016, 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012).
59. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
60. La ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
61. Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, la norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00, per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.
Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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