CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2018, n. 31490
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Perdita dell’appalto – Criteri – Anzianità e carichi di famiglia
Fatti di causa
1.1. Con sentenza n. 1633/2017 la Corte di appello di Roma, decidendo sul reclamo proposto, ai sensi della l. n. 92/2012, da M.A. nei confronti della S.R. S.p.A., in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Roma – che aveva accolto l’opposizione della società avverso il provvedimento, reso in sede sommaria, con cui era stata ritenuta l’illegittimità del licenziamento intimato all’A. con comunicazione del 28/7/2015 e respinto l’azionata domanda – dichiarava risolto il rapporto di lavoro inter partes con decorrenza dal 31/7/2015 e condannava la reclamata al pagamento di un’indennità pari ad euro 35.011,62 (14 mensilità) oltre accessori di legge.
1.2. M.A., impiegato amministrativo di 4° livello, era stato licenziato dalla S.R. S.p.A. per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla perdita dell’appalto ‘Stato della Città del Vaticano’ – in forza del quale la società aveva gestito la mensa di servizio per i dipendenti del Vaticano, tre bar ed i distributori automatici, occupando 80 dipendenti tra cui l’A. – e dalla incollocabilità del lavoratore presso le aziende subentrate nell’appalto.
1.3. Riteneva la Corte territoriale che la posizione dell’A., il quale aveva svolto mansioni di impiegato curando attività di gestione del personale e caricamento dei dati relativi alle presenze e alle fatture merci ed occupandosi anche delle verifiche presso la cassa della mensa di servizio del Vaticano, fosse assolutamente fungibile rispetto a quella di altre due colleghe (M.M.M. e D.B.), impiegate nel medesimo appalto dismesso e mantenute in servizio, e che la società non avesse proceduto ad alcuna comparazione che tenesse conto oltre che dell’anzianità anche dei carichi di famiglia.
Quanto alle conseguenze, considerava che il giustificato motivo oggetto di appalto fosse sussistente così da escludere la tutela reintegratoria e che la violazione dell’obbligo di repechage consentisse solo la tutela indennitaria.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre la S.R. S.p.A. con tre motivi.
3. M.A. resiste con controricorso.
4. Non sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1. Deve preliminarmente rilevarsi la regolarità della costituzione di nuovo difensore per la S.R. S.p.A. di cui alla memoria del 7 marzo 2018 recante a margine procura speciale in favore dell’avv. G.S. (a seguito di rinuncia al mandato da parte dell’avv. A.C.) poiché all’art. 83, co. 3, cod. proc. civ., che, con rifermento al giudizio di cassazione, elenca gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, è stata aggiunta, dalla I. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, co. 9, lett. a), a decorrere dal 4.7.2009, appunto, la memoria di nomina di nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato (tale disposizione, ai sensi dell’art. 58, co. 1, della predetta legge, si applica ai giudizi instaurati, come nella specie, dopo la data della sua entrata in vigore).
2.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., degli artt. 2103, 1375 e 1175 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.). Lamenta un’erronea valutazione da parte della Corte territoriale delle posizioni delle colleghe dell’A. ed una violazione del principio di libertà di iniziativa economica laddove i giudici del reclamo hanno ritenuto che la società ben avrebbe potuto adibire il predetto alle mansioni assegnate alle colleghe che, contrariamente a quanto evidenziato, non erano affatto fungibili con le sue.
2.2. Il motivo è infondato.
La ricorrente, a fronte di denunciate violazioni di legge che postulano l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dal legislatore, in realtà non indica in modo specifico le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che sarebbero in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2016, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
In realtà, nella specie, la società pretende di desumere tali violazioni dall’erronea valutazione del materiale probatorio e delle altre emergenze di causa, ma ciò è in contrasto con le suddette indicazioni.
Per il resto, e quanto alla valutazione delle posizioni delle colleghe dell’A., il motivo contrappone alla puntuale valutazione dei giudici di appello una propria personale lettura delle emergenze di causa ma tale modus procedendi non è coerente con il paradigma fissato dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella specie ratione temporis).
3.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. con riferimento alla legge n. 223/1991, art. 5, (art. 360, n. 3 cod. proc. civ.) nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte territoriale, premessa l’asserita (e contestata) fungibilità delle posizioni lavorative, avrebbe ritenuto erroneamente applicabile alla fattispecie in esame la disciplina sui licenziamenti collettivi ed i criteri di scelta dalla stessa previsti e così ritenuto che la S. s.r.l. avrebbe dovuto applicare rigidamente in concorso tra loro tali criteri ed in particolare l’anzianità e i carichi di famiglia. Inoltre non avrebbe valutato, alla luce dei principi di buona fede e correttezza, le circostanze oggettive emerse in giudizio che avevano condotto al licenziamento dell’A. e così quella della (riconosciuta) maggiore anzianità di servizio delle sig.re M. e B., richiedendo una valutazione comparativa sulla base di ulteriori criteri non prevista in una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
3.2. Il motivo è infondato.
Per come accertato dalla Corte territoriale la ragione del licenziamento era da ravvisare nella perdita di un appalto che aveva determinato la soppressione di determinate posizioni lavorative e così di quella dell’A. e delle dipendenti M.M.M. e D.B. (a differenza dell’A., mantenute in azienda), posizioni ritenute, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, fungibili ‘perché occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee’ (si trattava, peraltro, come evidenziato nella sentenza impugnata, di lavoratori inquadrati nel medesimo livello 4° del c.c.n.I. e rispetto al cui comune ambito professionale L impiegatizio non si evidenziavano peculiarità tali da richiedere particolari o prolungati apprendimenti o formazioni).
Orbene, nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della l. n. 604/1966, art. 3, per la giurisprudenza di questa Corte, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. Cass. 28 marzo 2011, n. 7046; Cass. 11 giugno 2004, n. 11124; Cass. 6 settembre 2003, n. 13058; Cass. 21 dicembre 2001, n. 16144; Cass. 21 novembre 2001, n. 14663).
In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai canoni della correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la l. n. 223/1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, che possano essere presi in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In analoga prospettiva si è puntualizzato che il ricorso a detti criteri resti giustificato non tanto sul piano dell’analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dalla predetta l. n. 223/1991, art. 5 uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass. 9 maggio 2002, n. 6667 e giurisprudenza ivi citata in motivazione).
Non diversa da tale situazione è quella in cui vi sia stata la dismissione di un appalto e pur tuttavia non siano stati licenziati tutti i dipendenti addetti all’espletamento del servizio per tale appalto ma siano stati mantenuti in servizio lavoratori in piena fungibilità.
Anche in questo caso occorre rispettare le regole di buona fede e correttezza.
Nella specie, dunque, per quanto si evince dalla sentenza impugnata (ed in particolare dal passaggio argomentativo in cui è evidenziato che nessuna comparazione con le posizioni delle due colleghe era stata effettuata dalla società prima di procedere al licenziamento dell’A. né compiutamente prospettata in giudizio) vi era a monte l’illegittimità del licenziamento per aver individuato il lavoratore da licenziare sulla base del mero collegamento all’appalto non più rinnovato senza porsi il problema di dover rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede in presenza di personale con mansioni fungibili.
Peraltro la Corte territoriale, dopo aver verificato la piena fungibilità della posizione del reclamante e di quella delle dipendenti B. e M., ha correttamente ritenuto che la scelta di licenziare l’A. non fosse conforme ai canoni della buona fede e correttezza e ciò avuto riguardo al criterio dei carichi di famiglia e (quanto ad una delle indicate dipendenti mantenuta in servizio e cioè alla M.) anche dell’anzianità, che avrebbero dovuto essere applicati in concreto.
Trattasi di valutazione in linea con gli indicati principi.
4.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5 e 4, cod. proc. civ.) in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’istanza istruttoria di acquisizione degli atti relativi al giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Milano promossa dal sig. A. nei confronti della E.E. S.p.A. che avrebbe consentito di verificare se l’A. fosse stato già risarcito da tale società ed evitare così una duplicazione del titolo risarcitorio.
4.2. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente non ha riprodotto l’istanza asseritamente avanzata alla Corte territoriale né ha chiarito perché gli atti da acquisire sarebbero stati utili ai fini dedotti.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
7. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15% da distrarsi in favore dell’avv. C.M.G., antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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