CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2019, n. 31782
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico del reddito (cd. Redditometro) – Indici di spesa incongruenti col reddito dichiarato – Reddito riferibile al nucleo familiare – Coniugi in regime di separazione dei beni – Principio della “famiglia fiscale” – Esclusione – Onere di prova a carico del contribuente
Fatti di causa
Nell’ambito di un controllo l’Amministrazione finanziaria inviava questionari al contribuente con richiesta di allegare documenti a giustificazione della propria capacità contributiva, avvisando che quanto non prodotto all’Ufficio in quella sede non sarebbe stato ammesso a difesa del contribuente nei gradi di merito.
All’esito dei questionari e dei documenti allegati, l’Agenzia ricostruiva in modo sintetico il reddito del contribuente, notificandogli tre distinti avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007, avversati avanti la CTP per profili procedimentali e di metodo usato, nonché per ragioni di merito attesa la mancata valutazione del reddito del coniuge.
Esitato sfavorevolmente il primo grado, interponeva appello il contribuente, trovando accoglimento delle proprie ragioni, segnatamente del principio della “famiglia fiscale”, ovvero della rilevanza dei redditi del coniuge, pur in separazione dei beni, e degli altri componenti il nucleo familiare, al fine di individuare correttamente il perimetro di ricchezza di una persona, specialmente se desunta con metodo sintetico muovendo dalla capacità di spesa, com’è stato nel caso all’esame.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’Ufficio, affidandosi a quattro motivi, cui replica il contribuente con tempestivo controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo si prospetta violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per motivazione apparente.
Dalla lettura si evince che la CTR ritiene che la procedura di accertamento sintetico sia improntata sull’induzione della capacità contributiva dalle spese effettuate, donde è necessario fare riferimento univoco alla provenienza di quella disponibilità di spesa, per la cui determinazione la CTR ritiene essenziale riferirsi al concetto giuridico, noto e studiato, della “famiglia fiscale”, ove le relazioni – anche non istituzionalizzate, purché stabili – generano una permeabilità fra patrimoni individuali. Quanto sopra fuoriesce dall’ipotesi di motivazione apparente come circoscritta dalla Sezione. Ed infatti questa Corte, sul punto specifico ha avuto modo di ribadire anche di recente che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento; Cass. V, n. 24313/2018. Il primo motivo è pertanto infondato e va disatteso.
Con il secondo motivo si prospetta ancora violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per error in procedendo poiché l’impugnata sentenza avrebbe in tesi operato la resezione del provvedimento impositivo, secondo una prospettiva di stretto carattere impugnatorio ed oggettivo (giudizio sull’atto), senza ricondurre la pretesa tributaria alla giusta e provata misura, secondo il parametro dell’impugnazione – merito (giudizio sul rapporto) per cui il giudice tributario deve operare una motivata valutazione sostitutiva, nei limiti della domanda di parte. Nel caso di specie, tuttavia, mancano i parametri su cui calcolare la pretesa tributaria, perché il vizio riscontrato dalla CTR è la mancata considerazione in accertamento dei redditi – nell’an e nel quantum – riferibili al nucleo familiare.
Il secondo motivo è quindi infondato e va disatteso.
Con il terzo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 3 I. n. 549/1995, degli art. 215 e 2697 cc, nella sostanza per non aver tenuto conto del regime della separazione dei beni, frutto di scelta giuridica dei coniugi cui non si può negare riflesso fiscale, nonché per indebito ribaltamento del sistema probatorio del c.d. “Redditometro”, per cui dagli indici di spesa si inferisce la ricchezza, salva prova contraria che non risulta esserci stata. Ed infatti, la sentenza si fondando solo sul mancato uso del criterio della “famiglia fiscale” che “potrebbe” dare un risultato diverso, dimostrando così l’opposizione di un criterio eventuale da cui fa derivare un risultato ipotetico, alla valenza probatoria accordata dalla legge al metodo del “redditometro” come indice di ricchezza.
Ed infatti questa Corte ha già chiarito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, l’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che gli uffici finanziari possano determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, e tale metodo di accertamento dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su di essi e resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 16912 del 10/8/2016; Cass. n. 17793 del 19/7/2017; Cass. n. 27811 del 31/10/2018, Cass. n. 17534 del 28/06/2019).
Questi principi non ha ben governato la sentenza qui scrutinata, donde il motivo è fondato e merita accoglimento.
Con il quarto motivo si prospetta violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per mancato esame di fatto controverso, dato dalla prova o meno di redditi inferiori a quelli risultanti dall’accertamento induttivo. La sentenza argomenta sull’applicazione del più volte citato principio della “famiglia fiscale”, ma non esamina se e quali prove (ulteriori a tale contestazione) siano state fornite dal contribuente per disarticolare l’induzione dell’Ufficio.
La doglianza riprende, con altra veste, gli argomenti già svolti nel motivo che precede e, al pari di quello, è fondato anche nella prospettazione del vizio di motivazione per mancato esame di fatto controverso.
In definitiva, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per le ragioni attinte dai motivi terzo e quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla CTR per la Lombardia cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.
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