CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2019, n. 31834
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Illegittimità – Indennità risarcitoria – Impossibilità di repechage – Onere probatorio
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo ex lege n. 92 del 2012, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuta la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a S. G. da C. s.p.a., ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannato la società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura pari a quattordici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
1.1. La Corte di merito, premesso di aderire alla più recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale gli oneri di allegazione e prova dell’impossibilità di <<repechage>> fanno interamente capo alla parte datrice, ha ritenuto, in concreto, tali oneri non assolti dalla C. s.p.a., azienda di rilevanti dimensioni ed operante su tutto il territorio nazionale; quanto all’adibizione a mansioni inferiori ha ritenuto che, a differenza di quanto statuito dal Tribunale, era l’azienda datrice a dovere allegare e dimostrare di avere formulato una specifica proposta in tal senso al lavoratore ricevendone un rifiuto, non potendosi esigere la necessità di un generico consenso ex ante espresso dal lavoratore.
1.2. In assenza della configurabilità dell’ipotesi di <<manifesta insussistenza del fatto>> al quale il legislatore del 2012 aveva ancorato la possibilità di reintegra, al lavoratore spettava la tutela indennitaria cd. forte con quantificazione della indennità dovuta in quattordici mensilità della retribuzione globale di fatto.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C. s.p.a. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso:
3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., dell’art. 3 legge n. 604 del 1966, censura la sentenza impugnata per avere fatto ricadere interamente sulla parte datoriale l’onere della prova, per avere violato il principio di ragionevolezza della prova e per avere ritenuto l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di <<repechage>>.
2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 421 e 437 cod. proc. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censura la sentenza impugnata per non avere la Corte di merito ammesso le istanze istruttorie destinate ad accertare la impossibilità di utile ricollocazione del lavoratore.
3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.91, 92 e 112 cod. proc. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censura la sentenza impugnata per avere posto a carico di essa C.. s.p.a. le spese anche di secondo grado a fronte di una soccombenza solo parziale e per avere omesso di motivare a riguardo.
4. Il ricorso è inammissibile per difetto di valida procura alle liti.
4.1. Nell’epigrafe del ricorso per cassazione la fonte dello ius postulameli del procuratore viene individuata nella <<procura generale ad lites per notar E. A. del Distretto Notarile di Bologna rilasciata il 9 dicembre 2008 …>>.
4.2. Tale procura non soddisfa il requisito di specialità prescritto dall’art. 365 cod. proc.civ. il quale implica che la procura debba riguardare il particolare giudizio di legittimità sulla base di una specifica valutazione della sentenza da impugnare, valutazione nel caso di specie esclusa in radice dall’anteriorità della procura rispetto alla pubblicazione della sentenza qui impugnata con il ricorso per cassazione.
4.3. Come chiarito da questa Corte il requisito della specialità della procura per il ricorso per Cassazione (art. 365 cod. proc. civ.) è da intendersi diversamente a seconda che detta procura sia apposta in calce o a margine del ricorso medesimo o sia, invece, conferita con atto separato. Nel primo caso la procura, costituendo un “corpus” inscindibile con l’atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo; nel secondo caso, invece, essendo esclusa la possibilità di integrazione della procura con il ricorso, la rigorosità del concetto di specialità postula che la procura medesima debba necessariamente contenere l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata, così da dover essere necessariamente a questa posteriore, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per Cassazione sottoscritto da avvocato che invochi una procura alle liti di data anteriore a quella di pubblicazione della sentenza impugnata, ancorché redatta in termini generali che si riferiscano ad ogni grado del giudizio, ivi compreso il giudizio di cassazione (Cass. Sez. Un. 27/04/2018 n. 10266; Cass. 21/11/2017 n. 27540; Cass. 16/12/2005 n. 27724; Cass. 10/07/1996 n. 6290).
5. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
6. Sussistono, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 ( Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza del presupposti processuali per II versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per li- ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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