CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 febbraio 2020, n. 2711
Infortuni – Invalidità permanente – Rendita unificata – Percentuale invalidante – Accertamento dell’effettivo grado di riduzione dell’idoneità lavorativa
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Cassino, dichiarava che T. D.L. per effetto congiunto degli infortuni del 28 giugno 1991 e del 13 aprile 1999 era affetto da invalidità permanente nella misura complessiva del 16% a decorrere dal dicembre 2006; condannava l’Inail alla costituzione della relativa rendita unificata ed al pagamento dei ratei a decorrere dal primo gennaio 2007, primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa, oltre agli interessi legali.
2. La Corte territoriale recepiva in tal senso l’esito della consulenza tecnica con riferimento al periodo sino al 2007. Riteneva invece di non poter dare seguito all’affermazione del CTU secondo la quale a decorrere dal 2008 la percentuale invalidante del D.L. era aumentata al 26% e quindi fare applicazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c., in quanto il ricorrente aveva chiesto in giudizio la costituzione di una rendita commisurata al 16%, senza alcun riferimento ad ulteriori maggiori percentuali.
3. Per la cassazione della sentenza T. D.L. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l’INAIL con controricorso.
Ragioni della decisione
4. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 437 c.p.c. e 149 disp. att. c.p.c.
Sostiene che la maggiore invalidità accertata dal c.t.u. avrebbe potuto e dovuto essere riconosciuta, in applicazione dell’art. 149 richiamato.
5. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 437 c.p.c. e argomenta che la domanda di costituzione della maggiore rendita in conseguenza dell’inabilità accertata avrebbe costituito una mera emendatio e non un’inammissibile mutatio libelli, trattandosi solo di una diversa valutazione di uno dei due infortuni.
6. Come terzo motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e lamenta che l’argomentazione della Corte territoriale non sia adeguata, considerato anche che il ricorrente non poteva neppure in grado d’appello richiedere la maggiore invalidità, emersa soltanto dopo la lettura della CTU espletata durante il giudizio di secondo grado.
7. Il ricorso è ammissibile, contrariamente a quanto eccepito dall’Inail, in quanto lo sviluppo argomentativo consente di comprendere in modo adeguato il vaglio richiesto a questa Corte in relazione alla concreta vicenda processuale.
8. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Il sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è ispirato all’esigenza di adeguare, per quanto possibile, la prestazione all’effettiva misura della riduzione dell’attitudine al lavoro. Ne consegue che in sede giudiziale, sia che si tratti di prima liquidazione, sia che si tratti di revisione, l’oggetto del giudizio verte sull’accertamento dell’effettivo grado di riduzione dell’idoneità lavorativa, senza che sia consentito ancorare l’adeguamento della rendita alla volontà espressa dall’assicurato (Cass. 23/02/2018, n. 4441, Cass. 20/01/2012, n. 796, Cass. 27/12/2011, n. 28954).
9. La percentuale invalidante richiesta non può dunque vincolare il giudice, il quale non incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. qualora riconosca quella effettivamente accertata in giudizio, seppure superiore alla prima.
10. Inoltre, questa Corte ha chiarito che la disposizione dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., che impone di valutare anche gli aggravamenti incidenti sul complesso invalidante verificatisi nel corso del procedimento amministrativo e giudiziario, esprime un principio di economia processuale applicabile anche alle domande aventi ad oggetto le prestazioni erogate dall’INAIL (Cass. n. 15176 del 11/6/2018, Cass. n. 20954 del 03/10/2014, Cass. n. 18704 del 13/09/2011, Cass. n. 11198 del 29/07/2002).
11. La Corte territoriale non si è quindi attenuta a tali principi, là dove ha limitato la commisurazione della rendita all’ invalidità così come richiesta nell’atto introduttivo del giudizio, senza tenere conto degli aggravamenti verificatisi nel corso dello stesso ed accertati dalla consulenza tecnica.
12. L’accoglimento del primo motivo è di per sé idoneo a determinare l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, restando assorbiti gli altri motivi con i quali si sollecita sotto altri profili la medesima soluzione interpretativa.
13. Segue il rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
14. L’esito del giudizio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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