CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2018, n. 17633
Tributi – Controllo automatizzato della dichiarazione – Credito d’imposta indicato in dichiarazione – Mancata contabilizzazione di utilizzi in compensazione – Prova a carico dell’Ufficio – Utilizzo di rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria – Legittimità
Fatti di causa
La T.S.G.S. s.r.l. (d’ora in poi semplicemente società) impugnò dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Bari una cartella di pagamento notificata a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione mod. unico 2005, con la quale era stato chiesto il versamento di una maggior somma a titolo di Ires.
L’adita commissione accolse il ricorso, ma la decisione venne ribaltata in appello dalla commissione tributaria regionale della Puglia, la quale osservò che, in base alla documentazione ricavata dal sistema informatico riportante i dati dichiarati dalla società, era emersa la mancata contabilizzazione di compensazioni a fronte di un credito d’imposta.
La società ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della sentenza d’appello, affidandosi a cinque motivi.
L’amministrazione non ha depositato controricorso ma ha preso parte all’udienza di discussione.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 2909 cod. civ. per essersi formato un giudicato interno sulla decisione di primo grado. Tale decisione aveva affermato che l’imposta richiesta alla contribuente non proveniva dal controllo automatico dei dati desumibili dalla dichiarazione, mentre l’ufficio era entrato nel merito del credito d’imposta, rettificandolo con elementi nuovi “senza fornire alcuna motivazione attinente a meri errori materiali o di calcolo”.
Il motivo è manifestamente infondato.
Il gravame dell’ufficio, come si trae dalle stesse trascrizioni operate in seno al ricorso per cassazione e come emerge del resto dalla sentenza d’appello, era stato indirizzato ad avversare il presupposto dell’affermazione, vale a dire il fatto che l’attività di controllo aveva esorbitato dai confini dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973. Consegue che nessun giudicato si era mai formato sulla decisione di primo grado.
2. – Il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati unitariamente per connessione.
Col secondo motivo la ricorrente adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis citato e dell’art. 6 della I. n. 212 del 2000, assumendo che il controllo della dichiarazione non si era limitato al formale riscontro dei dati esposti dalla contribuente, ma aveva immotivatamente e unilateralmente disconosciuto una parte del credito Ires esposto in dichiarazione.
Col terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2712 e 2719 cod. civ. e dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che il foglio di interrogazione del sistema informativo dell’anagrafe tributaria, richiamato a fini di prova del già avvenuto utilizzo del credito in compensazione, non poteva esser ritenuto idoneo e sufficiente allo scopo, sia per il tempestivo disconoscimento della “stampa” ai sensi dell’art. 2712 cod. civ., sia per l’unilateralità della provenienza e per la possibile esistenza di errori di trascrizione. Donde, atteso il disconoscimento, l’unico documento potenzialmente utilizzabile ai fini della prova avrebbe dovuto essere il modello F24 dimostrativo dell’avvenuta compensazione del credito, che eventualmente il giudice tributario avrebbe dovuto richiedere all’amministrazione esercitando i poteri di cui all’art. 22 citato.
Col quarto motivo la ricorrente denunzia il vizio di motivazione della sentenza sul profilo attinente all’avvenuta utilizzazione di parte del credito in compensazione.
3. – Quest’ultima censura è inammissibile poiché si risolve in un sindacato di fatto sull’esito della prova documentale.
4. – Il secondo e il terzo motivo sono infondati.
Dalla sentenza si evince che la cartella era stata emessa a seguito di controllo del dato dichiarativo, giacché in sede di liquidazione della dichiarazione inviata dalla società era stata riscontrata l’indicazione di un credito Ires di euro 65.397,00, a fronte di già operate compensazioni per euro 29.726,00, acquisite dalle risultanze dell’anagrafe tributaria.
Devesi osservare che è consentito utilizzare il sistema di controllo cartolare ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 onde liquidare l’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, tanto che – si dice – in tal caso la cartella può essere motivata con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa. Invero questa Corte ha da tempo sottolineato l’adeguatezza del ricorso a simile metodologia di liquidazione ove sia da disconoscere, per esempio, un credito Iva indicato dal contribuente con riferimento all’anno precedente (v. Cass. n. 25329-14).
Nel caso in cui il contribuente indichi dunque, nella dichiarazione dei redditi, un’eccedenza d’imposta derivante dalle precedenti dichiarazioni di importo superiore a quanto risulti all’anagrafe tributaria, l’ufficio può rettificare l’imposta a credito indicata dal dichiarante, recuperando a tassazione la differenza effettivamente spettante mediante il ricorso al procedimento di cui all’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, poiché tale attività di rettifica implica semplicemente un ricalcolo dell’imposta risultante dalla liquidazione della dichiarazione e un mero controllo cartolare di dati, con esclusione di qualunque valutazione giuridica; e pertanto è inquadrabile nella fattispecie di cui al secondo comma, lett. a), del citato art. 36-bis che prevede la correzione degli “errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi” (ex aliis Cass. n. 8140-12).
Logico corollario del principio è che le risultanze del servizio informativo dell’anagrafe tributaria sono certamente utilizzabili quali elementi di prova onde supportare il rilievo di avvenuta duplicazione del credito esposto in dichiarazione.
5. – Non rileva il disconoscimento di conformità di cui all’art. 2712 cod. civ., poiché nella specie si discute della mera stampa delle risultanze del sistema informatico, non della riproduzione meccanica di un documento originariamente cartaceo. E l’impugnata sentenza ha valutato le risultanze del sistema informatico, senza che a tali risultanze risultino esser state opposti elementi di contrario segno. La sentenza infatti riferisce che l’impugnazione della società era stata affidata a due soli rilievi, entrambi di puro diritto: (i) la violazione dei limiti dell’art. 36-bis e (ii) l’omessa indicazione del responsabile del procedimento.
6. – Col quinto mezzo la ricorrente infine denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su taluni motivi di doglianza riproposti nelle controdeduzioni.
Il motivo è inammissibile.
Il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo (artt. 18 e 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), i quali costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado ovvero dell’inserimento di temi d’indagine nuovi (cfr. per tutte Cass. n. 13934-11).
Dalla sentenza non risulta che le questioni suddette fossero state prospettate dinanzi al giudice di primo grado.
Ne segue che la ricorrente aveva innanzi tutto l’onere di rendere il ricorso autosufficiente a proposito di ciò che era stato dedotto in quella sede, trascrivendo il contenuto del ricorso per la commissione tributaria provinciale per lo meno nelle parti corrispondenti.
Ciò non è stato fatto, sicché è del tutto irrilevante, attesa l’inammissibilità di nuovi profili di doglianza in appello, la sottolineatura di quanto inserito nelle controdeduzioni in quella sede.
7. – Spese processuali alla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 2.000,00 per compensi,oltre le spese prenotate a debito.
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