CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2018, n. 17675
Licenziamento – Dirigente – Mancato superamento del periodo di prova – Contratto di lavoro redatto in due versioni linguistiche (italiano ed inglese) – Riferimento a due diversi incarichi, aventi differente contenuto professionale – Indeterminatezza e confusione della prestazione
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 17 marzo 2016- 19.7.2016 (nr. 159), in riforma della pronuncia del locale Tribunale ( nr. 883 del 17.8.2012) rigettava la domanda proposta da L.B. avente ad oggetto il licenziamento allo stesso intimato, quale dirigente della D.I. srl, per mancato superamento del periodo di prova.
2. Il giudice di primo grado aveva ritenuto nullo il patto di prova – e conseguentemente illegittimo il recesso su di esso fondato – per incertezza del suo oggetto, derivante dal fatto che il testo del contratto di lavoro, redatto in due versioni linguistiche (italiano ed inglese), non era perfettamente coincidente quanto al contenuto della prestazione lavorativa da rendersi.
3. La Corte di appello, diversamente, osservava che entrambi i testi contrattuali prevedevano che il ricorrente dovesse essere assunto per un ruolo dirigenziale di Commercial Director Italy, con mansioni di Retail Commercial Director da eseguirsi in Italia, presso la Direzione Manufacturing, e stabilivano un periodo di prova semestrale; l’accordo, inoltre, alla stregua delle previsioni contenute, in ambedue le versioni, sarebbe stato disciplinato dalla legge italiana.
Secondo la Corte territoriale, detti elementi dovevano orientare per la prevalenza del testo redatto in lingua italiana; in ogni caso, era pacifico e provato che il B. – per curriculum e per contratto, a conoscenza della lingua inglese – aveva svolto, durante il periodo di prova, i compiti corrispondenti alla descrizione contenuta nella versione italiana e che veniva licenziato in ragione del loro svolgimento.
In sintesi – posto che in contestazione, come si precisava nella parte conclusiva della decisione, non era la «parzialità» della prova tale da impedire una congrua valutazione della competenze dirigenziali quanto, a monte, l’incertezza dell’oggetto del patto di prova – la Corte escludeva una tale situazione e riteneva che le parti avessero concordato, come oggetto di prova, i compiti delineati nel contratto redatto in lingua italiana; l’esito negativo in relazione agli stessi, legittimava dunque il recesso.
La ricostruzione della comune volontà delle parti era fondata:
– sul dato letterale; il contratto, in entrambe le versioni linguistiche, prevedeva che il ruolo da svolgere era quello di Commerciai Director Italy;
– sul comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto, tenuto dalle parti: il lavoratore, durante l’esecuzione della prova, svolgeva i compiti assegnati nella versione italiana, senza alcuna contestazione ovvero lamentando una diminuzione di ruolo o la propria impossibilità a svolgere gli stessi.
Rilevavano, anche, ai fini del decisum, le deduzioni difensive; nelle note depositate il 3.2.2016, l’odierno ricorrente ammetteva che la prova doveva effettuarsi «in relazione ai compiti […] identificati fin dall’inizio in entrambi gli allegati» e che, quindi, – ferma la prospettazione difensiva della diversità delle mansioni oggetto dei due distinti allegati – si trattava – quanto ai compiti valutati – di mansioni esigibili dal dirigente e comunque pattuite per la prova.
4. Per la Cassazione della predetta sentenza, ha proposto ricorso L.B., affidato a 10 motivi.
5. Ha resistito, con controricorso, la società D.I. S.R.L.
Ragioni della decisione
Sintesi dei motivi.
1. Con il primo ed il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ.- deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2096 cod. civ. e 132 nr. 4 cod. proc. civ. nonché dell’art. 111 Cost. nonché illogicità e contraddittorietà della sentenza.
Parte ricorrente giudica la sentenza contraddittoria ed illogica nella parte in cui, da un lato, afferma che il ricorrente era assunto per mansioni di Retail Commercial Director e, dall’altro, assume che le parti avevano concordato la «prova» in relazione alle mansioni indicate nel testo redatto in lingua italiana. Ciò in quanto i due testi, identici in relazione alla parte generale, differivano quanto agli allegati: le mansioni di Retail Commercial Director erano descritte nell’allegato in lingua inglese mentre nel corrispondente allegato in lingua italiana erano descritte mansioni riconducibili al diverso profilo professionale del FMCG Commercial Director. La decisione sarebbe altresì contraddittoria laddove, da un lato, afferma che nella fattispecie non si verserebbe in ipotesi di «mansioni ulteriori» (e dunque diverse rispetto a quelle concordate per prova) giacché il ricorrente si duole della «parzialità» della prova e, dall’altro, dichiara legittimo il recesso per non aver il medesimo ricorrente contestato l’anzidetta parzialità.
In ogni caso, l’assunto della Corte di appello non sarebbe corretto in quanto lo svolgimento solo delle mansioni di FMCG Commercial Retail e non anche di quelle di Retail Commercial Director avrebbe impedito di sperimentare le qualità professionali necessarie per tale ultimo profilo professionale, cui il patto era stato preordinato.
2. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 cod. civ.
Assume che i giudici di appello avrebbero fatto cattivo uso dei canoni di interpretazione, ricavando la comune intenzione delle parti, ex post, sulla base delle mansioni effettivamente svolte mentre il primo e principale strumento di interpretazione è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto e dovendo, altresì, farsi uso degli ulteriori criteri fissati dagli artt. 1366 e 1369 cod. civ.
La Corte di appello non avrebbe esteso la verifica allo studio delle parole ed espressioni contenute nelle due lettere di assunzione, né avrebbe posto le singole clausole in correlazione tra loro e neppure avrebbe tenuto conto che dei due patti contrattuali, l’uno (quello inglese) aveva un chiaro significato, l’altro (quello italiano) contraddittorio.
Non era vero, poi, come sostenuto in sentenza che «entrambe le parti avevano sostenuto […] che il contratto fosse unico, ma tradotto in due versioni …» in quanto il ricorrente non aveva mai sostenuto una tale circostanza.
3. Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ. e dell’art. 2697 cod.proc.
4. Con il quinto motivo deduce nullità della sentenza e del procedimento.
I motivi sono illustrati congiuntamente.
Si critica la statuizione della Corte di appello per aver ritenuto come ammessa la circostanza che le mansioni alle quali il dirigente sarebbe stato adibito durante i mesi di prova rientravano tra quelle pattuite per la prova.
La Corte di merito ometteva di considerare, in relazione alle note difensive depositate il 3.2.2016, che, per cinque delle sei pagine, si affermava la tesi della nullità del patto di prova per incertezza delle mansioni a cui sarebbe stato adibito il lavoratore e solo, nell’ultima pagina, affrontando altro punto della questione si scriveva « […] posto dunque che, formalmente e sostanzialmente, vi era un unico contratto, che le mansioni erano quelle indicate nei due allegati, che le mansioni elencate nell’allegato in lingua inglese erano del tutto diverse da quelle contenute in quello redatto in lingua italiana ne consegue che la prova doveva effettuarsi in relazione ai compiti esattamente identificati sin dall’inizio in entrambi gli allegati. E’ invece certo che il B., nel corso del periodo di prova, fu chiamato ad esercitare le sole mansioni previste nell’allegato redatto in lingua italiana e non quelle relative al diverso profilo professionale di Retail Commercial Director».
La Corte distrettuale avrebbe posto «quale unica pietra fondante della decisione» un’ammissione che non era tale e, in definitiva, una prova inesistente.
5. Con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2730 cod. proc.
6. Con il settimo motivo, deduce nullità della sentenza e del procedimento
Anche il sesto e settimo motivo sono sviluppati congiuntamente, configurando il vizio denunciato, nella prospettazione di parte ricorrente, sia error in iudicando che error in procedendo.
La Corte di merito, avendo fondato il suo convincimento “sull’ammissione di parte appellata” avrebbe attributo valore di prova legale ad un elemento, invece, liberamente valutabile.
7. Con l’ottavo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – deduce violazione degli artt. 2096, 1362, 1363, 1366 e 1369 cod. civ. nonché degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ.
Parte ricorrente critica la ricostruzione della «quaestio facti» come operata dal giudice del gravame; assume che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, i testi contrattuali facevano riferimento a due diversi incarichi, aventi differente contenuto professionale, con conseguente indeterminatezza e confusione della prestazione in relazione alla quale l’azienda avrebbe dovuto giudicare l’attività del lavoratore in prova. La parte ricorrente ribadisce di non aver mai affermato l’unicità del contratto e tanto meno che le mansioni svolte fossero esigibili e pattuite come prova.
8. Con il nono ed il decimo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2096 cod. civ.
Assume, sotto un primo profilo, che l’attribuzione di due distinti ruoli (Retail Commercial Director, secondo il contratto in lingua inglese, e Retail Commercial Director ma con mansioni di FMCG Commercial Director, secondo il contratto di lingua italiana), avrebbe impedito la valutazione delle sue capacità professionali, in difetto di una chiara e precisa determinazione della prestazione lavorativa da rendersi.
Per altro verso, assume che, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, poiché le mansioni per le quali era stato assunto erano quelle di Retail Commercial Director (indicate nel contratto in lingua inglese) mentre la prova era stata effettuata in relazione alle mansioni aggiunte nel contratto in lingua italiana ( ovvero quelle di FMCG Commercial Director) i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere nullo il patto di prova per la diversità dei compiti pattuiti e di quelli oggetto della prova.
Esame dei motivi.
9. Osserva la Corte che tutti i motivi, al di là della formale rubricazione, investono l’apparato motivazionale della sentenza e sono da disattendere perché invocano una rivisitazione del merito decisorio, non consentito in questa sede di legittimità.
10. Il nucleo di censure che attiene alla violazione dei canoni di interpretazione ( terzo ed ottavo, in parte) è, prima ancora che infondato, inammissibile.
La parte ricorrente, sotto l’apparente violazione di norme di diritto, sollecita, nella sostanza, una differente interpretazione dei testi contrattuali che costituisce, invece, attività riservata al giudice di merito ( cfr. Cass. Ex plurimis nr. 11699 del 2013; Cass. nr. 4178 del 2007).
L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto, incensurabile in sede di legittimità, se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ. e segg., o per vizio di motivazione, configurabile, ai sensi dell’art. 360 nr. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, modificato dal D.L. 22 giugno 2012, nr. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), soltanto nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti (cfr. Cass., nr. 14355 del 2016, nr. 10891 del 2016; nr. 2465 del 2015).
Tuttavia, per far valere il vizio di violazione di legge, occorre che la parte faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione asseritamente violate e precisi in qual modo il giudice del merito se ne sia discostato, mentre, per denunciare il vizio di motivazione, è necessario che sia dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, tale cioè che laddove esaminato «avrebbe determinato un esito diverso della controversia» (cfr. Cass., SU, nr. 8053 del 2014).
Nessuna di queste situazioni è specificamente illustrata nei motivi scrutinati.
I rilievi sono, comunque, infondati; i giudici di merito hanno espressamente richiamato gli artt. 1362 e ss cod. civ. ed affermato di dover «indagare […] la comune intenzione delle parti» senza « limitarsi al senso letterale delle parole»; come riportato nello storico di lite, in coerenza ai criteri enunciati, hanno ritenuto, con un impianto argomentativo logico e coerente, che l’effettiva volontà delle parti fosse quella consacrata nel testo redatto in lingua italiana e che non vi fosse alcuna incertezza sui contenuti della prova, unica questione controversa in causa; a tal fine, valorizzando la condotta delle parti in sede di esecuzione delle clausole contrattuali ed in particolare il fatto che il lavoratore aveva eseguito i compiti descritti nel contratto «italiano» senza alcuna contestazione ovvero «lamentando una diminuzione di ruolo o la propria impossibilità a svolgere gli stessi».
11. Infondato è, altresì, il gruppo di censure che riguarda l’asserita violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, in parte).
La violazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ. è deducibile ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod. proc. civ. solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova ovvero rispettivamente:
– quando il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (articolo 115 cod.proc.civ.)
ovvero
– se valuti le prove secondo un criterio di diverso da quello indicato dall’articolo 116 cod. proc. civ., ad esempio valutando secondo prudente apprezzamento una prova legale o attribuendo valore di prova legale ad un elemento di prova liberamente valutabile.
La sentenza fa corretta applicazione delle regole stabilite dagli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.
La Corte di appello ha tratto semplicemente un ulteriore argomento di prova dal contegno processuale, ex art. 116 comma 2 cod.proc.civ., quale integrato dalle difese del lavoratore. Ha osservato come, dal tenore delle note difensive, depositate in corso di causa, non fosse in discussione che l’oggetto del patto di prova riguardasse anche i compiti che, di fatto, erano stati eseguiti ed ha tratto da tale elemento, non decisivo, una conferma del convincimento secondo cui non vi era incertezza sull’oggetto del patto.
12. Il resto delle denunce (contenute nei motivi già in parte scrutinati, nonché nel primo, secondo, nono e decimo motivo) si risolve nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle proprie aspettative ed asseritamente più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata, il che, come già detto, è inammissibile in questa sede di legittimità.
L’interpretazione resa dalla Corte territoriale non viene scalfita da nessuna delle censure sollevate, restando in particolare definitivamente acquisito il decisivo punto conclusivo dell’iter argomentativo svolto, costituito dall’accertamento di un valido patto di prova, per esserne esattamente individuato e dunque determinato l’oggetto, che, seguito dall’esecuzione non soddisfacente della prestazione concordata, giustificava il recesso della parte datoriale.
13. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, alle spese forfetarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 9121 depositata il 31 marzo 2023 - La competenza per l'applicazione delle sanzioni disciplinari "minori" in capo al dirigente dell'ufficio presso cui il lavoratore presta servizio, ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 settembre 2019, n. 22928 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere inclusi nel calcolo del periodo, oltre ai giorni…
- TRIBUNALE DI BARI - Ordinanza 12 maggio 2022 - Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato e la valutazione del tempo decorso…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 agosto 2021, n. 23196 - In tema di dirigenza medica, va distinto il termine apposto all'incarico conferito al dirigente medico legato all'azienda sanitaria da contratto a tempo indeterminato, con il termine finale del…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6540 depositata il 12 marzo 2024 - Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, e la nozione di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 29 ottobre 2020, n. 23927 - In caso di licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova incombe al lavoratore stesso, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare,…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Non è configurabile l’aggravante del reato d
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17140 depositata il 2…
- Il giudice non può integrare il decreto di sequest
Il giudice non può integrare il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla…
- Nell’eccezione di prescrizione, in materia t
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6289 deposi…
- Processo tributario: L’Agenzia delle entrate Risco
L’Agenzia delle entrate Riscossione può essere difesa da avvocati di libero foro…
- Il reato di bancarotta fraudolente documentale per
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 16414 depositata il 1…