CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 marzo 2019, n. 6359
Dirigenti – Esodo – Raggiungimento della massima anzianità pensionistica contributiva – Ricambio generazionale nelle posizioni di vertice – Riorganizzazione – Principi di efficienza, razionalità ed economicità
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale, ha accertato la legittimità del recesso dal rapporto di lavoro operato dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture il 12 novembre 2010 nei confronti del Dirigente Generale amministrativo G. S., con un preavviso di sei mesi, nell’ambito del programma di incentivo all’esodo dei dirigenti che avevano raggiunto la massima anzianità pensionistica contributiva, al fine di favorire il ricambio generazionale nelle posizioni di vertice e di assecondare la riorganizzazione degli assetti organizzativi esistenti alla luce dei principi di efficienza, razionalità ed economicità, secondo quanto disposto dal d.l. n.112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008.
La Corte territoriale ha affermato che ai sensi dell’art. 16, co. 11 del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella l. n. 111 del 2011, che aveva introdotto una “norma di interpretazione autentica” del comma 11 dell’art. 72, del d.l. n.112 del 2008, convertito in L. n.133 del 2008, l’atto di recesso non necessitava di un’ulteriore motivazione qualora, come nel caso in esame, l’amministrazione interessata avesse preventivamente determinato con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo, appositi criteri applicativi del potere discrezionale.
La Corte d’Appello ha escluso la violazione dell’art. 97 della Costituzione, in quanto la norma “interpretativa” del 2011 aveva esattamente delineato i confini dell’esercizio del potere unilaterale delle amministrazioni. Ha altresì escluso la violazione del diritto a un equo processo, poiché la disposizione scrutinata appare sorretta da inderogabili ragioni d’interesse generale e si rivolge a lavoratori i quali, avendo maturato il massimo dell’anzianità contributiva, si vedono comunque percettori del trattamento pensionistico.
Quanto alla previa fissazione dei criteri applicativi ai fini della legittimità dell’atto di recesso, la Corte territoriale ha accertato che il Ministero si era dotato di una Direttiva, emanata il 27 febbraio 2009, e registrata alla Corte dei Conti, con cui l’amministrazione veniva autorizzata ad avvalersi di tale facoltà senza addurre ulteriori motivazioni, salvo che in casi eccezionali (quali ad esempio per l’infungibilità di alcune professionalità); ha accertato altresì che il Ministero aveva rispettato tali criteri e che nel caso di specie nessuna ulteriore motivazione dell’anticipata risoluzione del rapporto andava fornita essendo stato l’atto di recesso emesso marzo 2009, in data successiva all’emanazione dell’atto organizzativo interno.
La cassazione della sentenza è domandata da G. S. sulla base di due motivi illustrati da memoria, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato.
Ragioni della decisione
Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 132 c.p.c., art. 118 disp.att. c.p.c., art. 111 Cost. Rep., art. 112 c.p.c., art. 342 c.p.c., artt. 72 e 74 legge n. 133/2008, art. 16, comma 11, D.L. n. 98/2011, art. 1362 e seg. C.c. nell’interpretazioni delle circolari amministrative, art. 21 e 51 d.lgs. n. 165/2001, art. 97 Cost. Rep. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”. Sostiene che la Corte d’appello si sarebbe pronunciata su domande nuove, omettendo di pronunciarsi su domande formulate dal ricorrente nel primo grado di giudizio. Deduce, altresì che la pronuncia gravata conterrebbe un errore logico-giuridico, avendo preteso di identificare i criteri applicativi previsti dalla legge con i criteri generali individuati dalla Direttiva. Contesta che la legge richieda l’adozione di criteri generali, come affermato erroneamente dalla Corte territoriale, prospettando che la stessa domandi alle amministrazioni di stabilire preventivamente “in via generale appositi criteri applicativi con atto di organizzazione interna”.
La Corte inoltre avrebbe omesso motivare su un elemento decisivo alla risoluzione della controversia, concernente l’effettivo contenuto della Circolare adottata dal Ministero.
Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 16, comma 11, D.L. 98/2011, art. 97 Cost. Rep., art. 117, co. 1 Cost. Rep. in relazione all’art. 6 CEDU”.
La norma non avrebbe efficacia retroattiva, poiché, se così fosse, essa comporterebbe un’interferenza legislativa nell’amministrazione della giustizia (cfr. sentenze CEDU “Maggio” e “Agrati”).
Il riferimento della Corte territoriale all’esistenza d’inderogabili ragioni di carattere generale sarebbe generico, atteso che le stesse non rendono intelligibili i motivi di impellenza domandati dalla legge. Pertanto, parte ricorrente chiede che si escluda la portata retroattiva della norma contenuta nell’art. 16, comma 11 del D.L. n. 98 del 2001, e che se ne sollevi questione di costituzionalità per violazione dell’art. 97 Cost., e dell’art. 6, par. 1 della CEDU nonché dell’art. 117, co. 1 Cost.
Entrambi i motivi di ricorso involgono questioni interpretative del complesso normativo costituito dalle successive modifiche dell’art. 72, co. 11, del d.l. n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008. Essi possono essere pertanto trattati congiuntamente per logica connessione.
I motivi sono fondati e vanno accolti.
Il recesso della cui legittimità si duole l’odierno ricorrente è stato emanato il 12 novembre 2010, e, dunque ricade nella disciplina di cui all’art. 72, co.11 del d.l. n.112 del 25 giugno 2008, convertito in legge n.133 del 6 agosto 2008 recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” ratione temporis applicabile. Detta norma, rubricata “Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo” ha ricevuto più di una modifica legislativa.
Il legislatore è tornato ad occuparsi più volte della materia, di cui è pertanto necessario ripercorrere, sia pur sinteticamente, i successivi passaggi.
Nella versione originaria, vigente dal 25 giugno 2008 al 19 marzo 2009, la norma prevedeva che “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. (Con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa delibera del consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri dell’interno, della difesa e degli affari esteri, sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, tenendo conto delle rispettive peculiarità ordinamentali.).
Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano a magistrati e professori universitari. “
La novella introdotta con l’art. 6, comma 3 della Legge 4 marzo 2009, n.15, mutava il requisito per la legittima risoluzione da 40 anni di anzianità contributiva in 40 anni di anzianità di servizio, mentre confermava l’obbligo del preavviso, e non imponeva ulteriori condizioni procedimentali e motivazionali. La determinazione di specifiche modalità applicative seguitava ad essere espressamente prevista solo per il personale di alcuni settori (sicurezza, difesa ed affari esteri), in virtù delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti.
Successivamente, il legislatore interveniva ancora sull’art. 72, sostituendo il comma 11 con l’art. 17, comma 35 novies del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, il quale reintroduceva per gli anni 2009, 2010 e 2011 il riferimento alla massima anzianità contributiva, confermava l’obbligo del preavviso, ancorava al potere di organizzazione il recesso unilaterale dell’ente pubblico, pur esercitato con la capacità del datore di lavoro privato, ai sensi dell’art. 5, co. 2, del d.lgs. n.165 del 2001; prevedeva l’applicabilità della disciplina al personale appartenente all’area dirigenziale; manteneva l’adozione di specifiche modalità e criteri applicativi in capo alle amministrazioni degli esteri, della difesa e della sicurezza.
Tuttavia, è con la riforma del 2011 che la norma raggiunge un decisivo assestamento (art. 16, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). Essa prevede che “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell’articolo 72 del decreto legge 25 giungo 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.
Per completezza va ricordato che nel 2014 (art. 1, co. 5 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114) il legislatore modificava ancora l’art. 72, comma 11, disponendo che “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento (…) risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale” (…)”.
A seguito della riforma del 2011 e alle successive modifiche intervenute, si determina così uno spartiacque tra !a disciplina degli atti di recesso precedenti e quelli successivi a tale data; con riferimento alla riforma di cui al dl. n.98 del 2011, questa Corte ha affermato che “…è solo a partire da tale ulteriore modifica che l’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto d’impiego sul presupposto del compimento dell’anzianità massima contributiva di quarant’anni è condizionato in generale (ossia per tutti i comparti e i settori della pubblica amministrazione), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà. In precedenza invece solo per alcuni comparti – come già rilevato – si richiedeva l’integrazione regolamentare per la definizione degli specifici criteri e le modalità applicative della disposizione che tale facoltà prevedeva” (Cass. n. 21626 del 2015).
E’ pertanto chiaro che la previsione della necessità di adozione di un atto generale organizzativo, sostitutivo dell’ulteriore motivazione, ha introdotto nell’ordinamento una norma con efficacia innovativa e non già di portata soltanto interpretativa, intervenuta al termine di un articolato percorso legislativo, il cui significato non vale comunque ad escludere che, fin dall’originaria formulazione dell’art. 72, co. 11, del d.l. n. 112 del 2008, le amministrazioni fossero tenute a motivare il recesso unilaterale dai rapporti d’impiego dei dipendenti che avevano raggiunto la massima anzianità contributiva.
Va, di contro, rilevato che, se il legislatore ha per un verso inteso accentuare la rilevanza privatistica dell’atto, escludendone la soggezione alla disciplina prevista per i provvedimenti amministrativi dalla legge n.241 del 1990, per altro verso l’intera evoluzione normativa testimonia come l’esigenza di vincolare gli enti pubblici datori all’effettuazione di un percorso valutativo chiaro e trasparente, sia emersa proprio nel ribadito contesto privatistico, per finalizzare l’esercizio della facoltà di recesso all’interesse pubblico dell’ente ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza. La necessità di valorizzare il percorso motivazionale s’impone poi proprio in virtù del carattere facoltativo della risoluzione, onde evitare che l’esercizio del potere attribuito abbia a tradursi in atti discriminatori in danno dei soggetti vicini al raggiungimento dell’età anagrafica per il collocamento in quiescenza. La motivazione della risoluzione non può pertanto rinvenirsi nell’adozione di un atto interno di organizzazione, che risulta essere il mero recepimento di una Circolare del Ministero della Funzione pubblica, come ammette la stessa Corte territoriale (“Si tratta in fondo di quanto già auspicava la Circolare del Ministero della Funzione Pubblica, citata nella sentenza appellata” (p. 5 sent.)) e non invece un atto dal quale poter desumere i criteri e le modalità applicative del recesso al fine di verificare la riconducibilità del singolo atto di recesso alle esigenze esplicitate nel provvedimento di carattere generale.
Le argomentazioni della Corte territoriale collidono a ben vedere con quanto disposto dalla legge e affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la risoluzione facoltativa si traduce in discriminazione vietata tutte le volte che a giustificazione della stessa l’amministrazione procedente abbia posto il solo elemento del raggiungimento dell’anzianità contributiva (Cass. n. 11595 del 2016) senza accertare l’adempimento dell’obbligo di motivare l’esercizio della facoltà prevista dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008, di cui la legge fa carico alle amministrazioni, il quale si giustifica perché “…è attraverso la motivazione che la P.A. esplicita le ragioni organizzative sottese all’adozione dell’atto di risoluzione e lo rende rispondente al pubblico interesse che deve costantemente orientare l’azione amministrativa…” (Cass. n. 24583 de 2017).
Con riferimento agli atti successivi all’entrata in vigore dell’art. 16, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. nella l. n. 111 del 2011, il legislatore ha introdotto una deroga all’obbligo di espressa motivazione della facoltà di recesso, ma ha sottoposto lo stesso a due stringenti condizioni: a) che l’atto sia stato preceduto dall’adozione di provvedimenti generali di organizzazione interna (di cui allo stesso art. 16); b) che l’atto contenga l’espresso richiamo ai criteri applicativi della norma, individuati in via preventiva, secondo quanto già le leggi precedenti prevedevano per le sole amministrazioni degli esteri, dell’interno e della difesa in virtù delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti.
Nel caso in esame il recesso è stato intimato all’odierno ricorrente in data anteriore all’entrata in vigore della novella del 2011. La pronuncia gravata non si rivela, pertanto, conforme alla disciplina legale e ai principi dettati dalla giurisprudenza di questa Corte, non avendo accertato se l’ente avesse motivato l’atto di recesso unilaterale, ma avendo ritenuto sufficiente a giustificarne la legittimità la mera adozione, da parte del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture di un atto generale che si limitava a richiamare genericamente gli obiettivi di politica del lavoro e di contenimento della spesa indicati dalla Circolare della Funzione Pubblica applicativa del d.l. n.112 del 2008, conv. nella legge n.133 del 2008, e che non avrebbe potuto ritenersi sufficiente neanche qualora il recesso datoriale fosse stato attuato successivamente all’entrata in vigore del d.l. n.98 del 2011.
Alla luce di tali considerazioni vanno ritenute meritevoli di accoglimento sia la critica contenuta nel primo motivo, che prospetta la necessità di una motivazione ulteriore rispetto all’avvenuto raggiungimento della massima anzianità contributiva in caso di recesso anticipato intervenuto precedentemente alla riforma del 2011, sia la censura contenuta nel secondo motivo, che ritiene che l’art. 16 del d.l. n. 98 del 2011, diversamente da quanto ha affermato dalla Corte territoriale, rivesta efficacia di fattispecie innovativa (e non retroattiva).
In definitiva, il ricorso va accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In ragione dell’accoglimento del ricorso si dà atto che ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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