CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 novembre 2018, n. 28143
Ricorso proposto dalla Regione Abruzzo – Tempestività – Mancata prova del completamento della procedura notificatoria
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 20203 dell’8 ottobre 2015 questa Corte, in accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Abruzzo, ha cassato la sentenza n. 434/2013 della Corte di Appello di L’Aquila e, decidendo nel merito, ha respinto la domanda proposta dei confronti dell’ente territoriale da M.M., la quale aveva agito in giudizio per ottenere la condanna della Regione al pagamento della retribuzione individuale di anzianità in misura pari a quella percepita da altri dipendenti di pari ruolo.
2. La Corte ha osservato che, pendente il ricorso per cassazione, la disposizione della legge regionale che la M. aveva posto a fondamento dell’azione (art. 43 della l.r. Abruzzo 8.2.2005 n. 6, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della l.r. Abruzzo 21.11.2008 n. 16 nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 della l.r. Abruzzo 13.10.1998 n. 118) era stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 211 del 9 luglio 2014 perché la Regione Abruzzo, in violazione dell’art. 117 Cost., aveva invaso la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa statale.
3. La revocazione della sentenza è domandata da M.M. sulla base di due motivi ai quali la Regione Abruzzo, rimasta intimata, non ha opposto difese.
4. La causa, chiamata all’adunanza camerale del 9 novembre 2017, è stata rinviata a nuovo ruolo per accertare le modalità del ritiro del fascicolo di parte della Regione Abruzzo nella causa n. R.G.17970/2013, definita con la sentenza oggetto di revocazione.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente, premesso di avere avuto notizia della sentenza n. 20203/2015 solo in data 7 settembre 2016, ne domanda la revocazione ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. «per omessa percezione del contenuto materiale degli atti di giudizio e falsa percezione della realtà processuale». Rileva, in sintesi, che la pronuncia è stata resa sull’errato presupposto della tempestività del ricorso per cassazione proposto dalla Regione Abruzzo che, invece, doveva essere dichiarato inammissibile. La sentenza n. 434/2013 della Corte di Appello di L’Aquila, infatti, era stata notificata all’Avvocatura Distrettuale il 7 maggio 2013 e, pertanto, il termine per l’impugnazione previsto dall’art. 325 cod. proc. civ. era spirato il 6 luglio 2013. La notifica del ricorso, mai ricevuta dal destinatario dell’atto, era stata richiesta tardivamente l’8 luglio 2013, dopo il passaggio in giudicato della decisione. Precisa al riguardo che anche l’errore sul computo del termine per la proposizione dell’impugnazione può integrare un errore revocatorio, rilevante ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., perché riguarda un fatto interno alla causa e si risolve in una falsa percezione della realtà, costituendo il rilievo del dies ad quem e l’applicazione del calendario comune elementi di fatto riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice.
2. Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., l’errore di fatto consistito nell’omesso rilievo dell’inesistenza o quanto meno della nullità della notifica del ricorso per cassazione, non pervenuta al destinatario dell’atto perché inoltrata, oltre che tardivamente, presso un domicilio inesistente.
La ricorrente evidenzia che l’errore percettivo risulta già dalla sentenza oggetto di revocazione, nella cui intestazione si dà atto della mancata costituzione dell’intimata, mentre nella motivazione si afferma erroneamente che quest’ultima si era difesa con controricorso. La pronuncia, quindi, è stata resa sul falso presupposto, smentito dagli atti, dell’avvenuta costituzione di essa M. e, comunque, dell’avvenuto perfezionamento della notifica, del quale, in realtà, la Regione Abruzzo non aveva dato la prova, non avendo mai depositato l’avviso di ricevimento del piego raccomandato, del quale non era in possesso, avendo inoltrato la notifica presso un domicilio inesistente.
Il ricorso, pertanto, doveva essere dichiarato inammissibile o improcedibile.
3. Entrambi i motivi di revocazione sono ammissibili.
La giurisprudenza della Corte è consolidata nell’affermare che l’errore rilevante ex art. 395 n.4 cod. proc. civ. consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa si è evidenziato che: l’errore non può riguardare l’attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa; deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili avverso la sentenza di merito (Cass. 5.7.2004 n. 12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n. 27094).
Sulla base dei principi di diritto sopra enunciati, ai quali il Collegio intende dare continuità, si deve ritenere che integri un errore revocatorio quello commesso dalla Corte nel caso in cui, senza statuire sulla validità della notifica e sulla tempestività della proposizione del ricorso, ritenga validamente instaurato il rapporto processuale e ciò sia frutto di un’errata percezione degli atti di causa.
3.1. E’ stato già affermato, e deve essere qui ribadito, che «l’errore sul computo del termine per la proposizione della impugnazione integra un errore revocatorio, rilevante ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., in quanto riguarda un fatto interno alla causa che si risolve in una falsa percezione di quanto rappresentato dalle parti, costituendo il rilievo del dies ad quem e l’applicazione del calendario comune – adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell’impugnazione – elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice» (Cass. n. 4565/2018 e negli stessi termini Cass. n. 23445/2014).
3.2. Quanto, poi, all’omesso esame della relazione di notifica si è evidenziato che in tema d’impugnazioni, la parte, la quale assuma l’erroneità della pronuncia di inammissibilità dell’appello, «ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria, e non col ricorso per cassazione, ove l’errore dipenda da una falsa percezione della realtà ovvero da una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile (nella specie, l’omesso esame dell’avviso di ricevimento), la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività» (Cass. 23173/2016 e negli stessi termini Cass. S.U. n. 15227/2009).
Il principio è senza dubbio applicabile anche al giudizio di cassazione e porta a ritenere configurabile l’errore revocatorio ogniqualvolta la pronuncia di inammissibilità o di ammissibilità del ricorso sia conseguenza di una percezione erronea degli atti di causa.
Entrambi i motivi sono, dunque, ammissibili.
4. Il primo motivo è, però, infondato perché il 6 luglio 2013 cadeva di sabato e, quindi, il termine finale risultava differito ex lege all’8 luglio 2013, ai sensi dell’art. 155, comma 4, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 2 della legge n. 263/2005, applicabile alla fattispecie in quanto il giudizio di primo grado è iniziato nell’anno 2011.
Occorre ribadire al riguardo che «la disciplina del computo dei termini di cui all’art. 155, commi 4 e 5, c.p.c., che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione» (Cass. n. 23375/2016).
5. Il secondo motivo è fondato.
Premesso che, come già evidenziato nella sintesi dei motivi, la M. afferma di non avere mai ricevuto la notifica del ricorso per cassazione, osserva il Collegio che dagli atti del procedimento n. 17970/2013 R.G. nonché dalle annotazioni inserite nel registro informatico risulta che:
a) il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 434/2013 della Corte di Appello di L’Aquila è stato proposto dalla Regione Abruzzo nei confronti di «M.M. elettivamente domiciliata in L’Aquila alla via (…) presso lo studio dell’Avv. A.C.» ed il procedimento notificatorio, curato dall’Avvocatura ai sensi dell’art. 4 della legge n. 53/1994, ha riguardato il domicilio indicato nell’atto, perché il ricorso è stato spedito l’8 luglio 2013 a mezzo posta alla M. presso lo studio dell’Avv. C. in «L’Aquila (…)»;
b) al ricorso depositato in data 29 luglio 2013 è allegata la sola «accettazione raccomandata di atti per i quali si richiede la notifica a mezzo ufficio postale», sottoscritta dall’impiegato postale, e non l’avviso di ricevimento dell’atto;
c) non risultano annotati nel registro informatico depositi successivi;
d) il fascicolo di parte dell’Avvocatura è stato ritirato il 19.1.2016 da un incaricato, in epoca antecedente all’accesso agli atti da parte del difensore della M., che ha consultato il fascicolo d’ufficio e ne ha estratto copia il 16.9.2016;
e) l’Avvocatura dello Stato, alla quale il ricorso per revocazione è stato ritualmente notificato a mezzo PEC, non ha provveduto a depositare il fascicolo di parte a suo tempo ritirato, perché non si è costituita nel giudizio per revocazione;
f) dagli atti depositati dalla ricorrente si evince che lo studio dell’Avv. A.C., presso il quale la M. aveva eletto domicilio, è ubicato in Pescara, e non in l’Aquila, alla Via (…), il che induce a ritenere che la notifica sia stata in effetti indirizzata ad un domicilio inesistente;
g) la sentenza della quale si domanda la revocazione solo nell’intestazione dà atto della mancata costituzione della M., indicata come «intimata», mentre al punto 3 delle «ragioni della decisione», evidenziato che la Regione Abruzzo aveva notificato ricorso affidato a tre motivi di censura, aggiunge che «la controparte si è difesa con controricorso».
5.1. Dall’insieme dei dati sopra indicati emerge l’errore di fatto commesso da questa Corte che, sull’erroneo presupposto dell’avvenuta costituzione della M., smentita con evidenza dagli atti, ha ritenuto validamente costituito il rapporto processuale e, quindi, non ha compiuto alcuna valutazione sulla regolarità del procedimento notificatorio che, invece, deve essere esclusa, perché non vi è prova dell’avvenuta consegna del piego raccomandato al destinatario indicato nell’atto.
L’errore che legittima la revocazione della sentenza deve emergere in modo evidente ed obiettivo dagli atti di causa interni al giudizio di legittimità e, quindi, l’accertamento va compiuto innanzitutto sul fascicolo d’ufficio del procedimento al quale si riferisce la sentenza oggetto di revocazione, fascicolo nel quale non vi è traccia né dell’avviso di ricevimento né di una eventuale ripresa del procedimento notificatorio dopo una prima notifica non andata a buon fine.
5.2. L’evidenza dell’errore non può essere messa in dubbio perché l’Avvocatura, non costituendosi nel giudizio di revocazione e non depositando il fascicolo di parte del procedimento n. 17970/2013, ha impedito l’esame degli atti presenti in quel fascicolo al momento della decisione della quale si domanda la revocazione.
Nel giudizio di cassazione, ove l’intimato non si costituisca, è onere del ricorrente fornire la prova dell’esistenza della notifica mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ., unico documento idoneo a provare l’intervenuta consegna, la data di essa, l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita. L’omessa produzione dell’avviso determina, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’inammissibilità del ricorso, perché, mancando la prova del completamento della procedura notificatoria, si configura un’ipotesi di inesistenza della notifica, che ne impedisce la rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ. (cfr. fra le più recenti Cass. n. 25552/2017).
E’, poi, principio generale quello secondo cui se la notifica è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che lo stesso ha avuto comunque contezza del processo (Cass. n. 1308/2018; Cass. n. 18243/2008).
Dall’applicazione di detti principi discende che nel giudizio di revocazione, ove si assuma che l’errore di fatto sia consistito nell’avere supposto l’esistenza dell’avviso di ricevimento, in realtà mai formato, l’onere di provare che quell’atto era stato depositato unitamente al ricorso, o comunque prima dell’udienza di discussione, grava sull’originario ricorrente. Corollario del principio è che se quest’ultimo omette di costituirsi in giudizio e di depositare il fascicolo di parte del procedimento nel quale è stata pronunciata la sentenza cui si riferisce la revocazione, si deve ritenere che l’atto non fosse stato depositato, sempre che di quel deposito non vi sia traccia nel fascicolo d’ufficio.
5.3. In via conclusiva deve essere accolto il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va revocata in considerazione della decisività dell’errore commesso, che ha portato a ritenere ammissibile e fondato il ricorso per cassazione n. 17970/2013, che, invece, sulla base del principio di diritto richiamato nel punto che precede, doveva essere dichiarato inammissibile.
In tal senso si deve statuire, con conseguente condanna della Regione Abruzzo al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo. Nulla è invece dovuto in relazione al giudizio definito con la sentenza revocata, nel quale la M. non ha svolto attività processuali.
La fondatezza del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo. Rigetta il primo motivo. Revoca la sentenza n. 20203/2015 di questa Corte.
Decidendo sul ricorso per cassazione n. 17970/2013, proposto dalla Regione Abruzzo, lo dichiara inammissibile.
Condanna la Regione Abruzzo al rimborso delle spese del giudizio di revocazione in favore di M.M., liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA.
Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.
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