CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 settembre 2018, n. 21666
Trattamento pensionistico – Pagamento di ratei di pensione – Domanda – Ricorso – Difetto di prova di notificazione
Fatti di causa
La Corte di Appello di Roma, con sentenza nr. 607 del 2012 (del 13.2.2012), ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da J.K. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, pronunciando sulla domanda volta ad ottenere il pagamento di ratei di pensione relativi all’anno 2005, aveva dichiarato improcedibile il ricorso, per difetto di prova della sua notificazione.
Per quanto qui di rilievo, la Corte territoriale ha giudicato inammissibile l’atto di gravame perché proposto in assenza di una valida procura ad litem che, conferita all’estero, era priva tanto della legalizzazione della firma quanto della formalità della “apostille” (certificazione di convalida sul piano internazionale di autenticità di un atto).
Avverso tale sentenza J.K. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo, cui ha resistito, con controricorso, l’INPS.
Il ricorso è stato originariamente chiamato all’adunanza camerale del 21.4.2015 avanti alla Sesta Sezione; il Collegio, con ordinanza, ha disposto la trattazione del ricorso in udienza pubblica; in vista dell’indicata adunanza camerale, l’INPS ha depositato memoria ex art. 380 bis. cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’art. 182 cod. proc.civ., e dell’art. 20 della legge nr. 1368 del 1962.
Censura la decisione della Corte di Appello per non aver applicato il principio della sanabilità del vizio afferente la procura alle liti e, comunque, per aver ritenuto necessario sia la legalizzazione che la apostille, trattandosi di procura notarile.
Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Anzitutto, parte ricorrente non trascrive il testo della procura cui la sentenza si riferisce, non deposita l’atto contestualmente al ricorso per cassazione, né fornisce indicazioni per un facile reperimento dell’atto stesso nel presente giudizio, così violando gli oneri di cui agli artt. 366 comma 1 nr. 6 cod. proc. civ. e 369 comma 2 nr. 4 cod. proc. civ., imposti anche in presenza di vizi riconducibili all’art. 360 nr. 4 cod. proc. civ. (cfr. Cass., sez. un. nr . 8078 del 2012, in motivazione, paragr. 4.2).
L’omissione, all’evidenza, impedisce di verificare la decisività delle questioni prospettate, sia sotto il profilo della sussistenza di un vizio di nullità piuttosto che di inesistenza, come tale astrattamente sanabile ex art. 182 cod. proc. civ, sia in relazione alle modalità di rilascio della procura che si assume avvenuta con atto notarile.
Ciò posto, comunque è infondata la censura tendente ad affermare l’erroneità della sentenza impugnata per la mancata applicazione del disposto dell’art. 182 cod. proc. civ., con l’effetto di sanare la carenza del mandato ad litem.
Va considerato che il giudizio di primo grado è stato introdotto nell’anno 2008; il testo dell’art. 182 cod.proc.civ., comma 2, introdotto dalla legge nr. 69 del 2009, art. 46, comma 2, che ha previsto l’obbligo del giudice di assegnare alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio della necessaria autorizzazione ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa, non è, pertanto, applicabile alla presente fattispecie, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 58 comma 1 della stessa legge, come costantemente interpretata da questa Corte.
Il testo applicabile, ratione temporis, è piuttosto quello che attribuisce al giudice la facoltà di assegnare alle parti “un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni salvo che si sia avverata una decadenza”.
Il confronto rende evidente che è solo con il nuovo testo che si introduce per la procura alle liti, oltre che per i vizi di rappresentanza ed assistenza, la concreta possibilità di una sanatoria o rinnovazione (cfr. Cass., sez. lav. nr. 30245 del 2017) e tale palese effetto innovativo delle regole processuali non può confondersi con il diverso problema della eventuale immanenza nell’assetto processuale preesistente alla legge nr. 69 del 2009, di un principio generale che imponesse, e non solo consentisse, al giudice di procedere alla regolarizzazione delle situazioni irregolari. Di tale questione, invero, si occuparono le Sezioni Unite del 19 aprile 2010 nr. 9217 (non seguite da Cass. nr. 3700 del 2012 e nr 12686 del 2016), che, infatti, ebbero ad oggetto la diversa fattispecie di invalida costituzione in giudizio della persona incapace, inabilitata ed assistita dal curatore e non ipotesi di procura alle liti irregolare.
Pertanto, come già, più volte, affermato da questa Corte (ex plurimis, Cass. 1055 del 2015, nr. 591 del 2015, nr. 36 e 37 del 2015; nr. 27557 del 2014; nr. 9392 del 2013; nr. 21754 del 2013 ), con orientamento al quale si intende dare continuità in questa sede, quando le sezioni unite, nel 2010, hanno affermato che “l’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”, hanno offerto un criterio interpretativo dell’art. 182, comma 2, cod.proc.civ. relativamente al contenuto di tale disposizione prima della entrata in vigore delle modificazioni apportate nel 2009, non anche con riferimento ad un contenuto normativo per l’innanzi inesistente, quale è quello relativo alla rilevazione di un vizio che determina la nullità della procura al difensore.
In conclusione, il ricorso va complessivamente respinto e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, in difetto di dichiarazione di esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., unitamente a quelle del contributo unificato di cui all’art. 13 del DPR nr. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dell’INPS, che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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