CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 settembre 2019, n. 22200

Imposta di registro – Atti pubblici di costituzione di servitù su terreni agricoli – Recupero a tassazione

Fatti di causa

La società S. S.p.A. impugnava l’avviso di liquidazione n. 10/1T/003710/000/P003, anno di imposta 2010, con il quale l’Agenzia delle entrate, in applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, recuperava a tassazione la differenza di imposta derivante dall’applicazione dell’aliquota del 15% sulla base imponibile dichiarata, relativamente ad atti pubblici di costituzione di servitù su terreni agricoli, per l’installazione di un metanodotto. La società contribuente riteneva che dalla lettura della norma emergeva che l’atto di costituzione di una servitù prediale dovesse essere sottoposto all’aliquota dell’8% e che la maggiore aliquota del 15% era stata stabilita per il trasferimento della proprietà avente ad oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli a titolo principale. La Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, con sentenza n. 139/1/2014, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava l’avviso di liquidazione. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Molise. I giudici di appello, con sentenza n. 102/1/2018, rigettavano il gravame, ritenendo che la nozione di trasferimento risultasse inadeguata a proposito delle servitù, perché la costituzione non aveva l’effetto di spostare un diritto da un fondo ad un altro, ma di creare fra i beni immobili una relazione giuridica permanete, da cui derivavano diritti ed obblighi. L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo un solo motivo. La società S. S.p.A. si è costituita con controricorso, illustrato con memorie.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, periodi 1 e 3 della Tariffa parte I allegata al d.P.R. 26.4.1986, n. 131, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Parte ricorrente lamenta che secondo i giudici di appello l’interpretazione dell’art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 non lascerebbe adito a dubbi, poiché la servitù prediale è un diritto di godimento e non sarebbe giuridicamente corretto parlare al riguardo di “trasferimento”. Secondo la tesi sostenuta dalla ricorrente, ai fini della risoluzione della controversia, si dovrebbe avere riguardo alla natura del terreno, anzicchè a quella della costituzione della servitù. Il fondo servente su cui graverebbe la costituzione della servitù è un terreno agricolo, pertanto, in presenza di un atto costitutivo di un diritto reale che, non avendo mutato la natura agricola del fondo, grava su un terreno agricolo, tornerebbe applicabile, per la tassazione ai fini dell’imposta di registro, l’aliquota del 15% stabilita dall’art. 1 della tariffa allega al d.P.R. n. 131 del 1986. Si precisa, inoltre, che fino all’entrata in vigore del d.P.R. n. 131 del 1986 non vi era nessun dubbio in ordine alla assoggettabilità all’aliquota del 15% degli atti costitutivi di servitù sui terreni agricoli, sicché andrebbero rimeditate le conclusioni cui è giunta la Corte di V Cassazione, con sentenza n. 16495 del 2003. L’Agenzia delle entrate deduce, altresì, che a nulla vale il fatto che la servitù non possa circolare indipendentemente dalla proprietà del fondo servente, posto che nella specie la costituzione di un diritto reale di godimento implica un trasferimento, in quanto tutti i diritti nascono a titolo derivativo, quindi per trasferimento di una parte dei poteri e facoltà del titolare della proprietà piena.

Le conclusioni offerte dai giudici di appello, secondo parte ricorrente, non potrebbero essere condivise, limitandosi a dare una interpretazione meramente letterale al termine “trasferimento” contenuto in tutti i periodi successivi al primo del citato art. 1, comma 1, della tariffa, che non riguarderebbe gli atti costitutivi di diritti reali di godimento, in quanto non si verificherebbe alcun effetto traslativo.

1.1. Il motivo è infondato per le considerazioni che seguono.

a) L’esame della questione impone una breve riflessione sull’istituto delle servitù prediali.

Ai sensi dell’art. 1027 c.c. la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un diverso proprietario.

Il diritto di servitù è un diritto reale di godimento e, come tale, non si sottrae al principio della cosiddetta immediatezza del potere sulla cosa, che consente al relativo titolare di trarre direttamente utilità dalla cosa stessa, ossia il fondo servente, senza che a tal fine sia necessaria l’intermediazione attiva di un altro soggetto, ossia del proprietario del fondo servente. Al vantaggio del fondo dominante corrisponde una restrizione per il fondo servente. Il contenuto delle servitù non è predeterminato, come avviene per gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui, ma l’autonomia privata gode di ampi margini, con il solo limite dell’utilità per il fondo dominante, oltre il limite, naturalmente, relativo al contenuto di ogni negozio giuridico.

La legge accoglie una nozione volutamente ampia di utilità: essa infatti – precisa l’art. 1028, prima parte – può consistere anche “nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante”. Il concetto di utilitas è talmente esteso da comprendere “qualsiasi vantaggio, anche non economico, che migliori l’utilizzazione del fondo dominante” (Cass. n. 835 del 1980; Cass. n. 2628 del 1984, Cass. n. 434 del 1985). Il concetto di utilità è collegato con quello di predialità, con la conseguenza che l’utilità non può essere identificata soggettivamente, in relazione agli interessi personali del proprietario del fondo dominante, ma deve risultare direttamente e oggettivamente “dalla natura e dalla destinazione del fondo dominante” (Cass. n. 280 del 1974; Cass. n. 2950 del 1975). Ne consegue che l’utilità deve ispirarsi al carattere della predialità, che permea di sé l’intera struttura legale delle servitù.

b) Il diritto di servitù è, innanzitutto, un diritto reale, e della realità esso ha tutti i caratteri essenziali, a cominciare dal dato qualificante della cosiddetta inerenza, che consiste nel rendere inseparabile il diritto di servitù dalla proprietà del fondo dominante.

Il principio della inseparabilità della servitù dal fondo dominante comporta, a sua volta, una serie di regole consequenziali: il diritto di servitù non può essere trasferito separatamente dalla proprietà del fondo dominante (cosiddetta inanienabilità della servitù); non è, inoltre, ammissibile una concessione separata del godimento (che costituisce il contenuto) della servitù, né sotto forma di costituzione di un diritto reale di usufrutto, di uso o anche di servitù, (di qui il brocardo servitus servitutis esse non potest), né sotto forma di un contratto di locazione (cosiddetta incedibilità dell’esercizio della servitù).

Con il trasferimento della proprietà del fondo dominante si trasferiscono normalmente le servitù che ineriscono attivamente a tale fondo, anche se nulla è stato stabilito al riguardo nell’atto di trasferimento (cosiddetta ambulatorietà della servitù). Infine, il diritto di servitù è legato alla proprietà del fondo dominante da un intimo nesso di accessorietà di strumentalità.

c) Questa Corte, come ricordato dall’Agenzia delle Entrate nel ricorso, si è pronunciata in tema di tassazione di servitù prediali con la sentenza n. 16495 del 2003, chiarendo che il nuovo testo della prima parte allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 ha accorpato nell’articolo 1 le disposizioni degli articoli 1 e 1 bis del d.P.R. n. 634 del 1972, dando all’intera materia degli atti traslativi della proprietà dei beni immobili e degli atti traslativi e costitutivi dei diritti reali di godimento sugli stessi, una veste più organica.

Si evidenzia la distinzione introdotta dal primo periodo della tariffa solo per i tipi di atti e non più, come nel sistema precedente per tipi di beni che ne formano oggetto, precisando che: “la distinzione ora corre tra atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili (terreni, fabbricati) e atti traslativi di diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, servitù, uso, abitazione), da una parte, e atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento dall’altra”.

L’interpretazione offerta dalla sentenza n. 16495 del 2003 richiamata, si basa sulla piana lettura della norma, che non sembra contemplare il criterio di gradazione della tassazione fondato sulla natura del bene, facendo riferimento, invece, alla tipologia dell’atto portato alla registrazione.

A tale argomentazione si potrebbe aggiungere la considerazione che l’imposta di registro è “un’imposta d’atto” collegata ad atti o negozi giuridici, i quali devono o possono essere oggetto di registrazione. Questa Corte conclude che: ” se tale è l’architettura della normativa, che, ripetesi, contrappone gli atti traslativi a quelli costitutivi di diritti reali di godimento, quali le servitù prediali, a fa ricedere tra i primi i “trasferimenti coattivi” di immobili o di diritti reali di godimento – sembra indiscutibile che il termine <<trasferimento>> conformemente all’etimo latino, sia stato usato dal legislatore per indicare tutti gli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento. Ulteriore corollario è che il termine in questione non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)”.

Le argomentazioni utilizzate nella sentenza citata sono condivisibili e non vi è motivo di discostarsene, tenuto conto della natura giuridica della servitù.

Sopra, infatti, si è posto in evidenza che la servitù “si costituisce”, poiché si costituisce un diritto reale di godimento, il quale essendo strettamente collegato al concetto di predialità non si trasferisce, sicché l’utilità della servitù si ispira alle caratteristiche di “quel fondo servente”.

Proprio per tornare al concetto di “trasferimento” che non può trovare applicazione alla servitù prediale, si ricorda che la servitù non è autonomamente alienabile, in quanto non può essere trasferita separatamente dalla proprietà del fondo dominante, né può essere ammissibile una concessione separata del godimento della servitù. Ne consegue che va condiviso quanto già affermato da questa Corte, secondo cui: “In tema di servitù si parla, infatti, di costituzione e non di trasferimento, in armonia con il carattere costitutivo che presenta ogni relativa acquisizione, al pari dell’usufrutto e dell’ipoteca” (Cass. n. 16595 del 2003, in motivazione).

Da siffatti rilievi emerge che non può trovare accoglimento la tesi erariale, secondo cui la costituzione di un diritto reale di godimento implica comunque un trasferimento di diritti.

Si sostiene, infatti, nel ricorso che “tutti i diritti nascono a titolo derivativo, quindi, per il trasferimento di una parte del fascio di poteri e facoltà del titolare della proprietà piena”. L’art. 1027 c.c. stabilisce che la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”, pertanto la servitù si costituisce per imporre una utilità e non implica il trasferimento di diritti, ma assicura l’esercizio di un obiettivo vantaggio, riconducibile alla situazione e alla destinazione peculiare del fondo dominante, tale da poterne giovare a chiunque ne divenga proprietario.

d) L’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 prevede, in linea generale, per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota dell’8%. L’aliquota è elevata al 15 % quando il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori a titolo principale o di associazioni o società cooperative di cui agli articoli 12 e 13 della legge 19 maggio 1975, n. 153.

Sulla base dei rilievi espressi, non trova fondamento la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate secondo cui agli atti costitutivi di servitù sui terreni agricoli si applica l’imposta di registro nella misura del 15% anzicchè dell’8%, tenuto conto che il legislatore ha utilizzato i termini “costituzione” e “trasferimento” in ragione della natura giuridica degli atti negoziali che le parti hanno posto in essere, sicché il termine “trasferimento” non può essere riferito ad una accezione più ampia.

Va, pertanto, ribadito il principio già espresso da questa Corte con sentenza n. 16495 del 2003 secondo cui: “Il termine trasferimento contenuto nell’art. 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)“.

2. La sentenza impugnata, pertanto, non merita censura, avendo i giudici di appello correttamente statuito, richiamando l’indirizzo già espresso da questa Corte, che per la costituzione di servitù prediali deve essere applicata l’aliquota fiscale dell’8% e che va escluso che l’espressione “trasmissione” utilizzata al comma 3 dell’art. 1 della prima parte del tariffario allegato al D.P.R. n. 131 del 1986 si riferisca anche alla costituzione di servitù.

In definitiva, il ricorso va rigettato. L’esigua giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate suggerisce la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di lite.