CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2018, n. 20554
Licenziamento intimato in forma orale – Secondo licenziamento comunicato a mezzo di ufficiale giudiziario – Impugnazione – Termine di decadenza
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Napoli con sentenza resa pubblica in data 11/1/2016 rigettava il reclamo proposto ex art. 58 I. 92 del 2012 da S. T. nei confronti della s.p.a. V. B. avverso la sentenza resa inter partes dal Tribunale di Nola con la quale erano state respinte le domande attoree volte a conseguire la declaratoria di nullità ed illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato oralmente il 15/2/2008 e di quello intimato per giusta causa nel settembre 2008.
A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava, in estrema sintesi, che il primo licenziamento era da ritenersi nullo ed inefficace perché intimato in forma orale; il secondo, comunicato a mezzo di ufficiale giudiziario in data 26/12/2008, non risultava impugnato entro il termine decadenziale di cui all’art. 6 legge n. 604 del 1966; onde non poteva farsi luogo alla tutela reintegratoria invocata dal lavoratore.
Avverso tale decisione S. T. interpone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Ha resistito con controricorso la società intimata che ha spiegato ricorso incidentale condizionato sostenuto da quattro motivi, avverso il quale S. T. ha notificato controricorso ex art. 371 comma 4 c.p.c.
La società ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2969 c.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Ci si duole della declaratoria di decadenza dalla impugnazione del secondo licenziamento emessa dalla Corte distrettuale, nella carenza di un’espressa eccezione ritualmente formulata da parte della società resistente.
2. Il motivo va disatteso in ragione dei profili di inammissibilità che lo connotano.
I vizi del processo non rilevabili d’ufficio possono, invero, essere conosciuti dalla Corte di cassazione solo se, e nei limiti in cui, la parte interessata ne abbia fatto oggetto di specifico motivo di ricorso, nel rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito.
Costituisce invero, acquisizione del diritto vivente che il ricorso per cassazione debba uniformarsi al canone dell’autosufficienza, quale requisito di contenuto-forma nella esposizione dei motivi di impugnazione che ne condiziona l’ammissibilità, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, da cui discende che l’esame diretto degli atti che la corte è chiamata a compiere è circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato. Secondo l’insegnamento di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso è funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio ed è soddisfatto laddove il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, imponendo alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non imponga proprio per questa ragione in un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale (ex plurimis, vedi Cass. 2/8/2016 n. 16103).
3. Nella fattispecie, il canone di specificità del motivo di censura non risulta rispettato, essendosi limitato il ricorrente a dedurre la omessa formulazione da parte datoriale, nel primo atto difensivo, della eccezione di decadenza dalla impugnazione, omettendo di richiamare – secondo modalità improntate a doverosa completezza – il tenore di tale atto, di cui ha riportato (e depositato, come da elenco apposto in calce al ricorso), solo un mero stralcio.
Sotto altro versante, non può, peraltro, sottacersi che dalla parziale succinta trascrizione dell’atto difensivo articolato dalla società, si desume che il datore di lavoro ha comunque eccepito “la decadenza dall’impugnazione del licenziamento” (così testualmente riportata al rigo quarto della pagina 5 del presente ricorso), onde la censura non si sottrae in ogni caso, ad un giudizio di infondatezza.
4. Con la seconda critica è denunciata violazione degli artt. 2 e 6 L. 604 del 1966 in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. Si deduce che il secondo licenziamento intimato in data 11/9/2008, non sarebbe stato comunicato al lavoratore, di guisa che neanche potrebbe soggiacere ai termini decadenziali di impugnazione di cui alla legge n. 604 del 1966.
5. Con la terza censura il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
Ribadisce che il recesso intimato in data 11/9/2008 sarebbe stato “scoperto dal lavoratore attraverso la verifica Inps” svolta il 27/10/2008, alla quale “può ragionevolmente ancorarsi la conoscenza del licenziamento”. Nell’ottica descritta, erronei erano da ritenersi gli approdi ai quali era pervenuta la Corte distrettuale, avendo egli impugnato tempestivamente il provvedimento, in data 11/11/2008.
6. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la trattazione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.
Le doglianze formulate dal ricorrente muovono tutte dall’erroneo presupposto che in data 11/9/2008 un licenziamento sia stato intimato dalla società e che sia stato tempestivamente impugnato, non incorrendo, pertanto, nella decadenza accertata dal giudice del gravame; ma l’assunto è privo di fondamento ove si faccia richiamo ai principi regolatori dell’istituto del recesso che è negozio di natura unilaterale recettizia.
Come affermato da questa Corte in numerosi approdi (vedi di recente Cass. 29/03/2017 n. 8136) non è rilevante il momento in cui è maturato il proposito di licenziare il dipendente, né l’eventuale esternazione dell’atto a terzi, ma è necessario che l’intento negoziale si traduca in un atto giuridico diretto alla persona nella cui sfera giuridica è destinato a produrre effetti, affinché possano decorrere i termini connessi al compimento dell’atto di risoluzione del rapporto.
Dalla natura del recesso quale atto unilaterale recettizio nei confronti del lavoratore ed in quanto tale ex artt. 1334 e 1335 c.c. produttivo di effetti soltanto dal momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario, discende che la comunicazione ad un terzo e non destinata anche al lavoratore, non può fare considerare il recesso come già perfezionatosi sol perché il lavoratore medesimo ne sia fortuitamente venuto a conoscenza. Analogamente, non rileva che l’intento di licenziare un dipendente sia comunque maturato prima (ad esempio in seno al consiglio di amministrazione o in altri): finché esso non sia stato manifestato con atto avente efficacia esterna in quanto diretto al destinatario, è inidoneo a risolvere il rapporto (così in motivazione, Cass. cit. n.8136/2017).
Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata – e pur tralasciando di considerare il difetto di specificità che connota anche tale censura laddove non riporta il tenore del preteso atto di recesso 11/9/2008 né della relativa impugnativa in data 11/11/2008 – deve ritenersi immune da censure la statuizione con la quale la Corte distrettuale, disattendendo la prospettazione di parte appellante, ha accertato che il secondo licenziamento è stato comunicato mediante ufficiale giudiziario in data 26/12/2008 e non è stato oggetto di alcuna impugnazione anteriormente alla instaurazione del giudizio nel marzo 2013;
così decadendo il ricorrente dall’esercizio del diritto, per non aver impugnato il licenziamento entro i termini sanciti dall’art. 32 comma 1 della L.183 del 2010, applicabili anche ai licenziamenti intimati anteriormente al 24/11/2010 ex d.l. n. 225/2010, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (ex plurimis, vedi Cass. 29/11/2016 n.24258).
7. Il quarto motivo prospetta violazione degli artt. 2 L. 604 del 1966 e 7 L. 300 del 1970 in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si deduce, in relazione al recesso oggetto di delibazione, che la natura disciplinare che lo sorreggeva, avrebbe imposto il rispetto degli oneri di preventiva contestazione degli addebiti sanciti dalla disposizione statutaria invocata.
8. Il motivo va disatteso.
Non può sottacersi che anche lo scrutinio di tale asserita ragione di illegittimità del licenziamento è inibito dalla intervenuta decadenza del ricorrente dall’esercizio del diritto, che logicamente assorbe ogni doglianza attinente alla correttezza della procedura disciplinare intrapresa dalla parte datoriale e culminata nella irrogazione del provvedimento espulsivo; e ciò al di là di ogni pur rilevante considerazione in ordine alla novità della questione sollevata, che non risulta sia stata trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, ingenerando a carico del ricorrente l’onere – nello specifico rimasto inadempiuto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione (ex multis vedi Cass. 22/4/2016 n. 8206).
In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso principale è respinto, restando assorbito il ricorso incidentale proposto in via condizionata dalla società intimata con il quale è stata sollevata questione di decadenza dalla impugnazione di entrambi i licenziamenti per mancata proposizione del ricorso entro il termine perentorio di 270 giorni (poi ridotti a 180) ex art. 32 c. 1 L. 183/2010 ed art. 2 c. 54 d.l. 225/2010 conv. in I. 10/2011 (primo motivo), e si è prospettata violazione degli artt. 2 e 6 L. 604/66 nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione alla dedotta intimazione in forma scritta, del primo licenziamento in data 14/2/2008; (secondo motivo).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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