CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2018, n. 20560
lllegittimità del licenziamento – Lavoratore con diritto all’applicazione della L. n. 104/1992 – Ripensamento del lavoro e delle mansioni da affidare allo stesso – Assenze dal lavoro ascrivibili a carente e non adeguata organizzazione del lavoro – Irrilevanza ai fini del computo del periodo di comporto
Fatti di causa
1. Con sentenza del 19.8.2016, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza definitiva del Tribunale di Udine – che aveva, con sentenza non definitiva, escluso la legittimazione passiva di alcuni degli originari intimati (compagnie di brokeraggio) ed aveva, con sentenza definitiva, respinto integralmente il ricorso -, accertava e dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato da I. M. s.p.a. nei confronti di A. V. il 31.8.2005, ordinava alla società di reintegrare il predetto nel posto di lavoro sino al sopravvenire di valida causa di risoluzione del rapporto stesso e la condannava a pagare al V. le retribuzioni maturate dal settembre 2005 in poi, con gli accessori di legge, confermando nel resto l’impugnata decisione.
2. Rilevava la Corte che erano fondati i motivi dell’appello principale del V. quanto alla violazione dell’art. 2087 c.c. e del d. lgs. 626/94 sul rilievo che il predetto, assunto quale ausiliario alla vendita con diritto all’applicazione della L. 104/92, era affetto da diabete mellito con ulcera plantare al piede e che la riduzione dei turni di lavoro, applicata dall’azienda dopo un infortunio occorso al lavoratore nel marzo 2004, non era sufficiente a tutelare la sua condizione di invalido, occorrendo un totale ripensamento del lavoro e delle mansioni da affidare allo stesso (sottoposto ad un carico lavorativo usurante), a ciò conseguendo che le assenze dal lavoro del ricorrente ed appellante dal febbraio 2005 in poi erano ascrivibili a detta carente e non adeguata organizzazione del lavoro e, quindi, irrilevanti ai fini del computo del periodo di comporto. Doveva, secondo la Corte, essere respinta ogni pretesa risarcitoria fondata sul preteso episodio infortunistico del 25.2.2005, laddove andava, invece, accolta, per le ragioni esposte, la domanda proposta in relazione al licenziamento per superamento del periodo di comporto, in ragione dell’ascrivibilità dello stato di malattia del ricorrente alla sua precedente adibizione a mansioni incompatibili con le condizioni di salute.
3. Quanto alla domanda di risarcimento del danno da infortunio, la dinamica di quest’ultimo era ritenuta incompatibile con la descrizione datane dall’interessato e veniva escluso che le ulcere al piede fossero conseguenze del sinistro, essendo stato accertato che le stesse costituissero complicanza della patologia diabetica sofferta. Da ciò discendeva che fossero liberi da ogni pretesa gli appellati Q., Zurich e Generali Ass.ni in quanto chiamati in causa per la sola manleva della società I. M. quanto alle pretese risarcitone.
4. Di tale sentenza domanda la cassazione la spa I. M., affidando l’impugnazione a quattro motivi – illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. -, cui resistono, con distinti controricorsi, A. V. e M. Q.. Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensive.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ed è dedotta nullità della sentenza per avere la Corte d’appello accertato il superamento del comporto quale conseguenza dell’assegnazione a mansioni non confacenti allo stato di salute del V., in assenza di specifica domanda di parte – vizio di extrapetizione e mutatio libelli (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.) -, sul rilievo che l’inesistenza dell’infortunio del 25 febbraio 2005 e comunque l’esclusione di ogni incidenza causale sulle patologie, su cui si fondavano le pretese reintegratone e risarcitone del V. sia in primo grado che in appello, erano state confermate dalle c.t.u. disposte sia in primo che in secondo grado, e che il ricorrente non aveva mai chiesto che fosse accertata l’illegittimità del licenziamento per essere il superamento del comporto da imputare allo svolgimento di mansioni incompatibili con il suo stato di salute. Si assume che non era mai stata seguita tale prospettazione nel ricorso introduttivo di primo grado e che l’eccezione al riguardo era stata tempestivamente sollevata dalla I. M. in sede di appello, allorché controparte aveva introdotto per la prima volta il tema delle mansioni collegandole al comporto in assenza dell’episodio infortunistico, precisamente nelle memorie del 10.6.2016 ed all’udienza di discussione del 23.6.2016, ove aveva posto in essere una inammissibile mutatio libelli, rispetto alla quale non poteva esservi pronuncia. Vi era stata, secondo l’assunto, una sostanziale modificazione della causa petendi, fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e fondate su un fatto costitutivo radicalmente differente, con conseguente mutamento del thema decidendum.
2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 134 c.p.c. ed è dedotta la nullità del secondo grado di giudizio per avere la Corte di appello disposto la rinnovazione della c.t.u. con ordinanze non motivate. Si sostiene che sia stato nominato nuovo ausiliare in relazione a quesiti relativi a questioni già risolte in prime cure e che la Corte del merito, oltre che all’accertamento del nesso di causalità tra infortunio e malattia, ha avuto riguardo alle “emergenze istruttorie maturate anche medio tempore riservandosi il relativo quesito” in modo illegittimo nella parte in cui, senza domanda del V., è stata estesa l’indagine anche alle mansioni concretamente svolte dal predetto. Si rileva che la nullità degli atti endoprocessuali di ammissione della c.t.u. comporti la nullità di tutti i successivi, inclusa la sentenza impugnata.
3. Con il terzo motivo, sono ascritti alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c. c., dell’art 116 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo controverso: omessa pronuncia sull’assenza di nesso causale tra mansioni assegnate al V. e superamento del comporto, nonché tra evento infortunistico del 25 febbraio 2005 e superamento del comporto, assumendosi il suddetto vizio per avere escluso il CTU che le mansioni assegnate al ricorrente, per quanto non confacenti al suo stato di salute, abbiano concorso in alcun modo all’aggravamento dello stesso. A fronte di un’inequivocabile ed evidente conclusione della c.t.u. nel senso dell’esclusione di nesso causale anche tra mansioni svolte ed evoluzione naturale della patologia determinante il superamento del comporto, la Corte di appello avrebbe tratto conclusioni opposte, non considerando che il V. aveva imputato tutte le assenze successive al 25 febbraio all’infortunio asseritamente subito e non, invece, all’assegnazione a mansioni non consone al suo stato di salute.
4. In subordine, nel quarto motivo, ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 e 2236 c.c. e dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per avere la Corte di appello escluso la responsabilità del medico competente. Si insiste, per l’ipotesi di rigetto dei primi tre motivi, per la cassazione della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto ed accertato la responsabilità del medico competente, dott. Q., ed il correlativo obbligo di tenere la società manlevata ed indenne da tutti i danni cagionati, non solo dei danni non patrimoniali, in tal senso essendo stata formulata la domanda.
5. Il primo motivo è inammissibile, posto che, ai fini dell’esame della denunziata extrapetizione, la società ricorrente avrebbe avuto l’onere di riportare gli esatti termini del ricorso introduttivo, con precisa trascrizione delle conclusioni ivi rassegnate, al fine di consentire a questa Corte di verificare l’evidenziato scostamento rispetto al thema decidendum delineatosi in rapporto ai fatti ed alle ragioni dedotti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
6. Va, invero, evidenziato come, ai fini della identificazione della “causa petendi” posta dalla parte a base della domanda, non rilevano tanto le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta, sicché è compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa. Ne consegue che la enunciazione formulata dalla parte delle ragioni di diritto su cui la sua pretesa si fonda può valere a circoscrivere la cognizione del giudice solo nella misura in cui essa stia a significare che la parte medesima ha inteso trarre dai fatti esposti soltanto quelle e non altre conseguenze giuridiche (cfr., tra le altre, Cass. 2.3.2006 n. 4598) e tanto non è consentito verificare nella specie, in assenza di un puntuale richiamo dell’atto introduttivo nei precisi termini della sua articolazione.
7. Quanto al secondo motivo, quello nello stesso enunciato dalla ricorrente è un principio che attiene alle nullità della c.t.u. e non alla ammissione di consulenza tecnica d’ufficio, mezzo istruttorio (e non prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario. Peraltro, a prescindere dal rilievo che le ordinanze risultano motivate, anche l’assunto secondo cui l’accertamento del nesso di causalità tra infortunio e malattia ha avuto riguardo, in maniera non consentita, ad emergenze istruttorie maturate medio tempore, con estensione della relativa indagine anche al contenuto delle mansioni del V., è destituito di giuridico fondamento, posto che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345, comma 3, c.p.c., che deriva dal carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di impugnazione, non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche attraverso l’affidamento di una consulenza tecnica d’ufficio (cfr., da ultimo, Cass. 27.6.2017 n. 15945).
8. Va ugualmente disatteso il terzo motivo, in quanto con lo stesso, in primo luogo, si denunziano inammissibilmente i vizi di cui al 360 n. 3 e 5 e non quello di cui al n. 4 c.p.c., in relazione ad una prospettata omissione di pronunzia ed, in ogni caso, deve rilevarsi che il V., nel controricorso, riporta ampi stralci del ricorso introduttivo, nonché le relative conclusioni, in cui si evidenzia che l’invocata esclusione dei periodi di malattia dal comporto era fondata anche sulla asserita violazione, da parte del datore, degli obblighi posti a tutela delle condizioni di lavoro e sull’affidamento da parte del predetto di compiti che avevano determinato un aggravamento dello stato di salute del lavoratore.
In sentenza si dà atto che, sin dall’inizio della causa, il V. aveva rilevato di essere stato assegnato a mansioni incompatibili con il suo stato di salute, di avere richiesto invano un mutamento delle stesse, di avere continuato a svolgere compiti che ne aggravavano le condizione di salute.
9. Ogni altra valutazione effettuata dalla Corte di Trieste sulla base di quanto risultante dall’elaborato peritale del marzo 2016 (v. pag 19 della sentenza impugnata), in cui il dott. P. osserva di avere riscontrato la sottoposizione del V., dopo il marzo 2014, ad un carico lavorativo usurante dell’apparato locomotorio con ripercussioni sulla sua condizione generale di salute ed evidente incidenza del tipo di lavoro svolto sulle difficoltà deambulatone, attiene al merito della controversia, sicché le censure, nei termini in cui risultano formulate, mirano in modo inammissibile a sollecitare una rivisitazione del merito. Le difficoltà deambulatone evidenziate in sede di c.t.u. e dimostrate dal ricorso da parte del V. a presidi ortopedici quale il tutore rigido alla caviglia e la scarpa con plantare, diversamente da quanto assume la società ricorrente, sono state dalla Corte ricondotte a malattie causate dalle circostanze e modalità lavorative, con la conseguenza che i periodi di assenza derivatine, al pari di quelli conseguenti ad infortuni, non rilevano ai fini del comporto, così come affermato nella sentenza impugnata (cfr. Cass. 7730/04 con riguardo a soggetto collocato al lavoro ex L. 482/68 e degli oneri datoriali).
10. L’ultimo motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza e specificità quanto all’individuazione dei termini della proposta domanda di manleva. Peraltro, è stata esclusa ogni responsabilità del sanitario, in termini di responsabilità a monte idonea a determinare l’obbligo del predetto di tenere indenne la società dai danni cagionati al lavoratore (In tali termini la sentenza a pag 17: Vi furono diverse visite da parte del medico competente nel 2001 e nel 2002 con segnalazione pure al V. di una “qualche possibilità di tutela” ed il medico competente ebbe a provvedere, ma solo nel senso di riduzione della durata dei turni lavorativi. Per oltre due anni, nonostante la vigenza del principio generale di cui all’art. 10, 2° comma I. 68/1999 in tema di adibizione a mansioni non confacenti, le attività di verifica furono attivate a livello locale solo nel 2003 e per oltre 2 anni l’impresa nulla fece di concreto al riguardo. La società I. M. non ha dato prova di avere fornito al servizio di prevenzione ed al medico competente le informazioni in merito a) alla natura dei rischi, b) organizzazione del lavoro, programmazione ed attuazione delle misure protettive e preventive, c) descrizione degli impianti e degli processi produttivi ai sensi del d. Igs 81/2008 art. 18 comma 2).
11. Alla luce delle esposte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto complessivo del ricorso.
12. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate, in favore delle parti costituite, come da dispositivo. Nulla va statuito nei confronti delle altre parti rimaste intimate.
13. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del V. e del Q., delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuno, in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
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