CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 febbraio 2019, n. 3441

Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Maggior reddito imponibile – Notificazione

Rilevato che

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro P.F. per la cassazione della sentenza n. 91/04/11 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria (di seguito C.T.R.), depositata l’11/08/2011 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento di un maggior reddito imponibile ai fini Irpef per l’anno di imposta 2004 di 88.397,00 euro, riconoscendo una maggiorazione di imposta, pari a 36.604,00 euro, oltre interessi e sanzioni;

2. nei confronti del Sig. P., esercente la professione di Ginecologo, erano state individuate delle movimentazioni di denaro, precisamente versamenti e prelevamenti sui conti correnti, non giustificati dal reddito da lavoro autonomo dichiarato e che facevano presumere l’esistenza di ulteriori redditi non dichiarati;

il contribuente, nell’impugnare l’avviso di accertamento, indicava una serie di soggetti, quali beneficiari degli assegni emessi, sostenendo che gli stessi erano stati chiamati a svolgere lavori di sistemazione del terreno di sua proprietà, a seguito dell’ordinanza del sindaco di La Spezia, che aveva imposto il compimento delle opere necessarie alla messa in sicurezza del pendio;

inoltre, giustificava il prelevamento di 25.000,00 euro, effettuato nel corso di sette mesi, come collegato a spese familiari e gli assegni versati per 16.408,00 euro, quali affitti arretrati e quote condominiali non pagate da parte della società I.M. di B.D. & C. per due fondi dì sua proprietà siti in La Spezia;

3. la C.T.P. di La Spezia, con la sentenza 191/06/08, accoglieva il ricorso proposto, ritenendo fondate le giustificazioni del ricorrente;

4. avverso la sentenza di primo grado, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, con cui evidenziava che: il contribuente, in riferimento ai prelevamenti, si era limitato a depositare fotocopie di 24 assegni contestati, senza indicare la ragione del pagamento sostenuto; in riferimento ai versamenti, aveva prodotto la documentazione, volta a dimostrare l’esistenza di contratti di locazione di beni immobili con la società I.M. s.a.s., ma dalla fotocopia degli assegni del 30 aprile 2004, nonché dell’assegno del 31/07/2004, non poteva evincersi, con certezza, la causale del versamento, né la provenienza del medesimo; infine, con riferimento alle spese, sostenute per il mantenimento familiare, ammontanti a 25.000,00 euro, tali somme non potevano considerarsi rivolte alle spese familiari, risultando già ulteriori somme prelevate a tale titolo;

5. la C.T.R., con la sentenza oggetto di impugnazione, rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado, ritenendo che la documentazione ed i chiarimenti forniti dal contribuente non fossero suscettibili di alcuna confutazione, così come non appariva eccessiva la spesa di euro 25.000,00 per i bisogni della famiglia;

6. a seguito del ricorso, notificato in data 29/10/2012 e ricevuto presso il difensore costituito in data 31/10/2012, Franco P. è rimasto intimato;

7. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16 gennaio 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

Considerato che

1.1. con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 26967 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;

secondo la ricorrente, le giustificazioni addotte dal contribuente, a sostegno della provenienza delle somme movimentate, non sono idonee a superare la presunzione dell’esistenza di compensi non dichiarati;

in particolare, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio (che aveva evidenziato che il contribuente svolgeva l’attività di ginecologo in regime di libero professionista, che nell’anno di imposta 2004 aveva dichiarato una perdita pari a 8.104,00 euro, che nello stesso periodo di imposta aveva movimentato denaro mediante emissione di assegni, prelevamenti e versamenti per un totale di 88.937,00 euro) sarebbe stato onere del contribuente dimostrare che le somme relative alle movimentazioni bancarie erano estranee alla produzione del reddito e, dunque, non potevano essere considerate nella determinazione dell’imponibile;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.;

secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza, prima ancora che scarna, risulta essere meramente apparente;

la CTR, infatti, non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate, che, se fossero state adeguatamente valutate, avrebbero condotto, senz’altro, ad un diverso convincimento;

anche il riferimento contenuto nella motivazione della sentenza alla “regolarità dei movimenti bancari”, come espressivo di un convincimento, maturato dal Giudice in merito alla estraneità del reddito del denaro movimentato, non sarebbe idoneo a palesare l’iter logico – giuridico, attraverso il quale la C.T.R. è pervenuta alla decisione adottata;

1.2. i motivi sono da esaminare congiuntamente, perché connessi;

essi sono in parte fondati fondati, con riferimento ai versamenti, e vanno accolti per quanto di ragione;

1.3. in relazione al primo motivo giova premettere che in materia di accertamenti bancari, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 4829/2015; 5758/2018) è ferma nel ritenere che, qualora l’accertamento, effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. 600/1973, comma primo, n. 2), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili;

a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del DPR n. 600/1973 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole «o compensi», ed ha ridefinito il perimetro applicativo della norma relativa ai prelevamenti, la presunzione si applica ai movimenti bancari di prelevamento, solo se essi riguardano un imprenditore e non un lavoratore autonomo, come nel caso di specie;

ne consegue che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai soli versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, mentre è venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale relativamente ai prelevamenti sui conti correnti (Cass. nn. 16697 del 09/08/2016, 19029 del 27/09/2016);

nell’ambito del quadro normativo sopra delineato, la sentenza impugnata non fa corretta applicazione della presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati sul conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, che era onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili;

passando al dedotto vizio motivazionale, la sentenza della C.T.R. non giustifica adeguatamente la decisione adottata, poiché in essa non è dato rinvenire alcun riferimento, sia pure a confutazione, delle argomentazioni.

dell’Agenzia delle Entrate, anche alla luce del diverso regime probatorio dei prelevamenti e dei versamenti;

l’Ufficio, infatti, aveva dedotto che dagli assegni, relativi ai versamenti per complessivi 21.002,30 euro, non era possibile evincersi né la causale, né la provenienza dei medesimi, avendo il contribuente semplicemente indicato il nominativo dell’emittente;

nessuno di tali elementi è specificamente preso in considerazione dalla sentenza impugnata al fine di motivare sul superamento della presunzione legale di cui all’art. 32 citato;

la sentenza, infatti, si limita a rilevare che la documentazione ed i chiarimenti circa la regolarità dei movimenti bancari del contribuente non sono suscettibili di confutazione e che la somma di euro 25.000,00 per spese familiari non appare eccessiva;

di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata, con riferimento alle operazioni di versamento, con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, affinché motivi adeguatamente in ordine ai rilievi contenuti nei motivi di appello dell’Agenzia, tenendo presente il diverso regime probatorio tra le operazioni di versamento e di prelievo, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, nei limiti di cui alla parte motiva;

cassa la sentenza impugnata con riferimento alle operazioni di versamento e rinvia alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.