CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 febbraio 2019, n. 3482
Rito del lavoro – Licenziamento – Impugnazione – Improcedibilità – Omessa o inesistente notificazione
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 122/2016, ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da R.M. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la sua impugnativa del licenziamento intimatogli da P.V. s.r.l. in data 2.1.2009.
2. La Corte, respinta l’istanza di rimessione in termini proposta dalla parte appellante in considerazione del mancato coordinamento tra procuratore ad litem e domiciliatario in quanto non integrante una “causa non imputabile” ex art. 153 cod.proc.civ., ha rilevato la decadenza dall’impugnazione a fronte della violazione del termine a comparire di cui all’art. 435, comma 3, cod.proc.civ. avendo, l’appellante, dato corso alle attività di notifica del ricorso (e del pedissequo decreto) solamente in data 4.3.2016 quando mancavano sei giorni all’udienza di discussione.
3. La M. ha proposto ricorso per cassazione nei riguardi della predetta pronuncia, sulla base di tre motivi. La società P.V. s.r.l. (contumace in grado di appello) è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la difesa del ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata e propone querela di falso avverso il verbale di udienza 10.3.2016 ove la Corte di appello ha attestato: “La Corte si ritira in camera di consiglio ed al rientro in aula dà lettura dell’allegato dispositivo di sentenza (ore 19.22)” in quanto il dispositivo sarebbe avvenuto in assenza delle parti ed oltre dieci ore dopo l’apertura del verbale. Invero, alle ore 9.02 la Corte di appello si era riservata di delibare in ordine alla richiesta di remissione in termini formulata dall’appellante.
2. Con il secondo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente escluso la possibilità di rimessione in termini (ai fini della notifica dell’atto di appello) nonostante si fosse trattato di errore informatico del programma di posta elettronica del difensore domiciliatario, circostanza del tutto estranea alla prevedibilità del mittente (dominus della causa).
3. Con il terzo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 435, comma 3, cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) non potendo, la Corte distrettuale, dichiarare l’improcedibilità dell’appello a fronte della notifica, seppur tardiva (ossia a sei giorni di distanza dall’udienza di discussione), del ricorso e non essendo ancora decorso il termine lungo per impugnare.
4. Il primo motivo è infondato.
Nel verbale di udienza (innanzi riportato per esteso) si da atto della lettura del dispositivo, in aula, alle ore 19.22; manca ogni indicazione sulla eventuale presenza di parti al momento della lettura del dispositivo.
Pur tralasciando i profili di inammissibilità della censura per mancata indicazione delle norme ritenute violate, è senz’altro vero che nel rito del lavoro il dispositivo della sentenza deve essere letto in udienza ai sensi dell’art. 429 cod. proc. civ., di talché, secondo la consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la mancata lettura produce nullità che può essere fatta valere come motivo di impugnazione (cfr. Cass. n. 4620 del 1999), ma – innanzitutto – l’espletamento dell’incombente non deve risultare da una esplicita e formale menzione contenuta nel verbale di udienza, ben potendo essere attestata dalla sentenza (cfr. Cass. n. 16312 del 2002). Questa Corte ha altresì ritenuto che l’eventuale intervallo costituito dalla discussione e dalla deliberazione di altre cause non incide sulla validità del dispositivo letto alla fine dell’udienza (Cass., n. 7830 del 1995), così come la eventuale lettura cumulativa dei dispositivi, dopo la discussione delle varie cause (Cass., n. 12061 del 1995); inoltre, l’avvenuta lettura del dispositivo non deve necessariamente risultare dalla sentenza, potendo essere documentata da un qualsiasi altro atto processuale (Cass., n. 1615 del 1998; n. 5847 del 1994; n. 4655 del 1983; 1980 n. 2568), ed anche desumersi per implicito, non essendo necessaria la espressa specificazione del compimento di tale attività nel verbale di causa (Cass., n. 3713 del 1987; n. 1615 del 1998; Cass. n. 19328 del 2014).
In particolare, quanto all’avvenuta lettura della sentenza in assenza delle parti, è stato affermato che l’allontanamento delle parti dopo la discussione orale, e nel periodo di tempo intercorso tra la chiusura della discussione e la deliberazione in camera di consiglio, non appare idoneo a precludere la possibilità di pronunciare sentenza ex 429 cod.proc.civ., in quanto altrimenti opinando l’esercizio del potere decisionale sarebbe rimesso alla arbitraria decisione delle stesse parti di trattenersi o meno in udienza, essendo pertanto escluso che tale condotta possa condizionare il potere del giudice (cfr. Cass. n. 22892 del 2018; si veda altresì, sebbene in relazione alla pronunzia di ordinanze, Cass. n. 10539 del 2007, che proprio in relazione all’ipotesi di ritiro in camera di consiglio, ha escluso che la successiva assenza delle parti in occasione della pronuncia dell’ordinanza imponesse la comunicazione del provvedimento alle parti, ferma restando la piena validità del provvedimento emesso).
Ne consegue che, nella fattispecie in esame, la lettura del dispositivo deve ritenersi validamente avvenuta, come attesta il verbale, in aula (circostanza non oggetto di censura) ancorché in assenza del difensore della M. Invero, il verbale di udienza, redatto a fine giornata, non attesta la presenza di alcun difensore (circostanza, dunque, che non può ritenersi falsamente attestata, come ritiene la ricorrente).
La domanda di sospensione del presente procedimento per proposizione della querela di falso non è meritevole di accoglimento in quanto la querela di falso è proponibile in via incidentale nel giudizio di cassazione solo qualora riguardi atti del medesimo procedimento, ovvero documenti di cui è ammesso il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre è improponibile qualora investa atti del procedimento che si è svolto dinanzi al giudice di merito (cfr. Cass. n. 8377 del 2018).
5. Il secondo motivo è infondato.
L’istituto della rimessione in termini, di cui già all’art. 153 cod.proc.civ., comma 2, dovendo essere letto alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive, trova applicazione non solo nel caso di decadenza dai poteri processuali di parte interni al giudizio di primo grado, ma anche nel caso di decadenza dall’impugnazione per incolpevole decorso del termine (cfr. Cass. n. 9792 del 2012).
Tuttavia, la causa non imputabile – richiesta quale condizione per la rimessione in termini – postula il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza, non già il carattere dell’impossibilità relativa, né tantomeno della mera difficoltà, e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione (cfr. Cass. n. 8216 del 2013; Cass. n. 6503 del 2017).
E’ allora da escludere recisamente che valga ad integrare la “causa non imputabile” l’affidamento, correlato alla modalità telematica adottata (mail del 18.11.2015), nel difensore domiciliatario ai fini dell’impugnazione della sentenza di primo grado, considerato – per giunta – che, come indicato in ricorso, la delega ad impugnare l’atto era stata conferito al difensore domiciliatario altresì mediante “incarico telefonico”.
6. Il terzo motivo è fondato.
Questa Corte ha affermato che: “Nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell’art. 435, comma 3, cod.proc.civ. deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, come nel caso di omessa o inesistente notificazione, bensì la nullità di quest’ultima, sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c. (cfr. Cass. n. 9404 del 2018 con ampia motivazione in ordine ai consolidati arresti giurisprudenziali sul punto; in senso conforme, Cass. n. 22166 del 2018).
E’ infatti evidente che tra inesistenza della notificazione degli atti introduttivi ed altri vizi minori della vocatio in ius (nullità della notifica; mancato rispetto dei termini a comparire) intercorre una differenza qualitativa, data dal fatto che il difetto processuale è meno grave (nullità della notifica, ove posta a raffronto con l’inesistenza) o addirittura non coinvolge proprio in sé l’instaurazione del contraddittorio (notificazione senza rispetto dei termini a comparire), ma solo i tempi utili all’esercizio del diritto di difesa. In particolare, se la notifica sia validamente avvenuta ma senza rispetto dei termini e non vi sia stata costituzione dell’appellato si applica l’art. 164, comma 2, cod.proc.civ. (che non vi è ragione di non estendere al rito del lavoro), con rinnovazione della fase di vocatio in ius (cfr. Cass. n. 9404 del 2018).
Nel caso di specie la parte appellante ha effettuato la notifica senza rispettare i termini a comparire e ne è seguita la contumacia della parte appellata. Ha errato, pertanto, la Corte distrettuale nel ritenere che la tardiva notificazione comportasse la caducazione del processo di appello senza assegnare preventivamente un termine perentorio per rinnovare la notifica ai sensi dell’art. 164, comma 2, cod.proc.civ.
7. In sintesi, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con rigetto degli altri motivi. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, ai principi su affermati.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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