CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 febbraio 2020, n. 2862
Assemblea sindacale – Mancata autorizzazione – Accordo Interconfederale T.U. sulla Rappresentanza 10.1.2014 – Organizzazioni sindacali di categoria firmatarie il c.c.n.I. applicato nell’unità produttiva – Diritto di indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 810 del 20.2.2017 la Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di prime cure, ha escluso valenza antisindacale alla mancata autorizzazione, da parte di B. s.p.a., allo svolgimento di un’ora di assemblea retribuita in data 15.10.2014 convocata dai soli componenti della RSU eletti nelle liste della FIOM-CGIL, rilevando che la presenza di indici letterali e sistematici nell’ambito della Parte Seconda, Sezione Seconda, art. 7 dell’Accordo Interconfederale T.U. sulla Rappresentanza 10.1.2014 (applicabile ratione temporis) depongono tutti per una portata della regola maggioritaria non limitata alla sola attività contrattuale ma estesa alla totalità delle materie ricadenti nella sfera delle attribuzioni delle RSU, tra le quali la facoltà potestativa di indizione dell’assemblea.
2. Avverso l’anzidetta sentenza, FIOM-CGIL ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo, illustrato da memoria, e la società ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 4, 5 e 7 Parte Seconda, Sezione Seconda, del T.U. sulla rappresentanza 10.1.2014 anche in relazione agli artt. 19 e 20 della legge n. 300 del 1970 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato le suddette disposizioni dalle quali si evince chiaramente la titolarità in capo ai singoli componenti la RSU dotati di rappresentatività ex art. 19 cit. di indire assemblee, essendo – i componenti la RSU – subentrati ai dirigenti delle R.S.A (tra i cui poteri rientrava quello di indire assemblee) e cosi disponendo espressamente l’art. 4, comma 5 del T.U. In sintesi, l’approdo interpretativo fornito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 13978 del 2017) con riguardo all’Accordo Interconfederale del 1993 deve ritenersi valere altresì per l’Accordo del 2014.
2. Il ricorso è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 13978 del 2017, sopravvenuta alla sentenza impugnata), intervenute sul testo dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993, hanno affermato determinati principi che – nonostante alcune modifiche lessicali delle disposizioni oggetto di interpretazione – possono essere ribadite anche con riguardo all’Accordo Interconfederale, T.U. sulla rappresentanza, del 2014.
In particolare, la ricostruzione esegetica sistematica degli artt. 4 e 5 del T.U. consente di ritenere assolutamente compatibile la natura di organismo a funzione collegiale della RSU con la legittimazione (anche) della singola RSU a chiedere l’assemblea, come chiaramente delineato dall’art. 20 della legge n. 300 del 1970 e previsto dall’art. 4, comma 5 del T.U. 2014.
L’art. 4, comma 5, del T.U. 2014 prevede: «Sono fatti salvi in favore delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie il c.c.n.I. applicato nell’unità produttiva, i seguenti diritti:
a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, l. n.. 300/1970;
b) diritto ai permessi non retribuiti di cui all’art. 24, l. n.. 300/1970;
c) diritto di affissione di cui all’art. 25 della legge n. 300/1970.»
La disposizione, rispetto al testo dell’Accordo Interconfederale del 1993, ha eliso l’incipit “In tale ambito” (riferito alle sedi negoziali di diverso livello ove concordare condizioni di miglior favore), conferendo, dunque, una portata di maggiore stabilità e assolutezza ai diritti ivi enunciati, tra cui quello di indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori (lett. a). Pertanto, a prescindere dalle condizioni di miglior favore concordate in sedi negoziali di diverso livello, l’Accordo Interconfederale del 2014 sancisce (direttamente, senza delegare altre sedi contrattuali) come intangibile il diritto di indire, anche singolarmente, l’assemblea.
L’art. 5 del T.U. 2014 conferma, poi, il subentro delle RSU alle RSA e ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto delle disposizioni di legge.
Come è noto, inoltre, l’art. 20 della legge n. 300 del 1970 prevede che l’indizione dell’assemblea può avvenire “singolarmente o congiuntamente” da parte delle RSA di cui al precedente art. 19.
Deve dunque ritenersi dirimente il comma 5 dell’art. 4 del T.U. 2014 (alla stessa stregua dell’Accordo Interconfederale del 1993) là dove fa salvo – fra gli altri – in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali firmatarie il CCNL applicato nell’unità produttiva (da intendersi quale rinvio ai criteri di rappresentatività previsti dall’art. 19 della legge n. 300 del 1970 come risultante a seguito della sentenza n. 231 del 2013 della Corte Costituzionale) il diritto di indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue. Con la conseguenza, dunque, che il T.U. del 2014, nella stessa ottica dell’Accordo Interconfederale del 1993, ha confermato la facoltà delle associazioni sindacali, anche presenti all’interno della RSU, di indire singolarmente l’assemblea in quanto non tutti i diritti attribuiti dalla legge alla singola RSA sono stati attratti e si sono disgregati all’interno delle RSU.
Come evidenziato dalle Sezioni Unite innanzi citate, la logica unitaria posta a monte dell’accordo poteva comportare un arretramento di spazi di «specifica agibilità sindacale» (art. 4, comma 4, T.U. del 1993 e del 2014) per quelle associazioni che – essendo stipulanti il CCNL applicato nell’unità produttiva e, in quanto tali, già munite del diritto di costituire RSA (e, conseguentemente, di indire singolarmente l’assemblea ai sensi del combinato disposto dell’art. 20, comma 2 e dell’art. 19, comma 1, lett. b) – avrebbero potuto nutrire più d’una remora rispetto al subentro delle RSU, remore superate una volta assicurata la salvaguardia di già acquisite condizioni di miglior favore di origine sia negoziale che legislativa.
Deve, inoltre, confermarsi la statuizione delle Sezioni Unite ove si rileva che “la limitata eccezione di cui al cit. art. 4, comma 5, non solo non svaluta né natura la RSU, ma neppure pregiudica il principio maggioritario implicitamente evocato da successivo art. 6, comma 3 (che stabilisce la decadenza della RSU in caso di dimissioni e conseguenti sostituzioni dei relativi componenti in numero superiore al 50% degli stessi), e dall’art. 7 (in forza del quale le decisioni relative a materie di competenza delle RSU sono assunte dalle stesse in base ai criteri previsti da intese definite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti l’accordo).
Invero, l’aggiunta, all’art. 7 (avente la rubrica «Decisioni») del T.U. del 2014, dell’esplicito riferimento al principio maggioritario (con contestuale rinvio alla Parte Terza del T.U.), conferma la natura di organismo a funzione collegiale della RSU, la quale dunque assume il principio di maggioranza quale criterio di espressione del principio democratico nel momento decisionale,, senza che tale caratteristica precluda al singolo il mero esercizio di diritti che non importano decisioni vincolanti nei confronti degli altri. È sintomatico che mentre nell’art. 21 della legge n. 300 del 1970 è previsto che l’indizione di referendum debba essere effettuata «da tutte le rappresentanze sindacali aziendali», invece nel precedente art. 20, comma 2, la richiesta di assemblea risulta poter essere avanzata «singolarmente o congiuntamente». Infatti, come sottolineano le Sezioni Unite, il referendum, a differenza di un’assemblea (che può anche limitarsi a mera discussione e confronto), importa sempre un contrarsi, una votazione; e il referendum intanto ha un senso in quanto dia un determinato esito numerico, esito che non può che emerge dalla maggioranza, conformemente – appunto – al principio democratico; invece, là dove si parla di (meri) assemblee, vale a dire di momenti di confronto che precedono o preparano quelli decisionali propriamente detti, la tutela delle voci singole (ed eventualmente dissenzienti) è irrinunciabile.
3. La sentenza impugnata non si è conformata a tali principi, in particolare omettendo di confrontarsi con il tenore lessicale degli artt. 4 e 5 del T.U. del 2014 e con la previsione dell’art. 20 della legge n. 300 del 1970, e deve, pertanto essere riformata.
4. Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 (T.U. sulla Rappresentanza, applicabile ratione temporis), deve essere interpretato nel senso che il diritto d’indire assemblee, di cui all’art. 20 della legge n. 300 del 1970, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell’art. 19 della l. n.. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013.
5. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; questa Corte rinvia per l’applicazione del principio di diritto innanzi affermato alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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