CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 giugno 2018, n. 14578
Imposte dirette – IRPEG – Accertamento – Cessione terreno con destinazione edificatoria – Plusvalenza
Svolgimento del processo
G.P., con cinque motivi, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 134/22/11, depositata il 18.04.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Ha rappresentato che il contenzioso traeva origine dall’avviso di accertamento n. RCG030102291/2005 relativo all’IRPEG dovuta dalla società S. s.r.l. per l’anno d’imposta 2000, con il quale era contestata la mancata dichiarazione della plusvalenza di vecchie £ 180.000.000, realizzata in quell’anno con la vendita di un terreno con destinazione edificatoria.
Il ricorrente, che contestava la sua legittimazione perché attinto dall’atto impositivo solo per la qualità di ex socio della suddetta società, in liquidazione alla data del 2.05.2000, poi cessata e cancellata dal Registro delle imprese il 7.11.2003, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che però rigettava l’impugnazione con sentenza depositata il 13.10.2009. L’appello conseguentemente proposto dal contribuente era respinto con la sentenza ora impugnata.
Il G. censura la sentenza:
con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato il giudice regionale su punti decisivi della controversia;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., perché, per quanto comprensibile dal ricorso, non era stata sollevata alcuna questione sulla notificazione dell’avviso di accertamento, esaminata invece dal giudice regionale;
con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., qui riportando una pluralità di norme del codice civile e di precedenti giurisprudenziali, lamentando la mancanza di fondamento giustificativo della richiesta a lui rivolta dall’ente impositore in ordine al pagamento del debito tributario della società, affermando infine l’illegittimità della pretesa erariale sorta durante la liquidazione;
con il quarto motivo per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., asserendo che né i giudici né l’Amministrazione avevano accertato se la mancanza del pagamento fosse dipesa “dalla colpa di questi” (riferito ai soggetti indicati nell’art. 2495 c.c.);
con il quinto motivo per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, “prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio”, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per l’assoluta carenza di motivazione della pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria.
In conclusione chiedeva la cassazione della sentenza, senza rinvio o con rinvio ove ritenuti necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Si costituiva l’Agenzia, che eccepiva molteplici questioni di inammissibilità dei motivi di ricorso e comunque la mancanza di fondamento.
Alla pubblica udienza del 28 marzo 2018, dopo la discussione, il P.G e le parti concludevano. La causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile. Esso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c.; riporta poi svariati punti dell’atto d’appello e della successiva memoria presentata in data 11.2.2011, quindi riporta la motivazione della sentenza del giudice regionale, concludendo «di tutta evidenza e come i giudici di secondo grado non abbiano tenuto conto delle conclusioni dedotte nella memoria depositata rendendo la sentenza viziata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.».
Deve innanzitutto avvertirsi che il motivo è privo del riferimento al vizio di legittimità che si ritiene di denunciare, ossia del riferimento a quale delle ipotesi indicate nell’art. 360 c.p.c. vada ricondotta la doglianza. Nel giudizio di legittimità è infatti richiesto, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica di esso, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo, tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c., è proposto; dall’altro si esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (cfr. Cass., Sez. 3, sent. n. 18421 del 2009).
Nel caso di specie vi è un riferimento all’art. 112 c.p.c., e poi si lamenta l’omessa pronuncia su punti decisivi della controversia, con ciò già rendendosi incomprensibile se si voglia fare riferimento alla rubrica del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 oppure al n. 5. Non soccorre poi lo sviluppo argornentativo del motivo, che riporta gli atti senza individuare specificamente la parte errata della sentenza. Peraltro il motivo si conclude con l’invocazione della violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento alle conclusioni dedotte nella memoria e non nell’atto di impugnazione, cui sarebbe stato al più riconducibile l’omessa pronuncia.
È inammissibile anche il secondo motivo. Con esso si lamenta congiuntamente la violazione di norme di diritto e il vizio di motivazione, senza tuttavia alcuna specifica distinzione tra i due vizi richiamati nell’art. 360 c.p.c., utile a comprendere la specificità delle censure nei confronti della sentenza impugnata. Peraltro sotto il primo profilo si lamenta la violazione di legge senza indicare quale norma sia stata violata. A tal fine questa Corte ha reiteratamente affermato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., sent. n. 24298 del 2016; n. 635 del 2015; n. 1603 del 2013; 3010 del 2012). Nel caso di specie il motivo è del tutto carente. Parimenti incomprensibile è il denunciato vizio di motivazione. Se poi con esso si è voluto censurare la pronuncia del giudice d’appello per aver affermato che la notifica dell’avviso di accertamento al G. era corretta, lamentando che mai era stata messa in discussione tale notificazione, e se quindi si voleva attribuire una qualche autonomia a questo motivo di ricorso sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura non coglie nel segno perchè il giudice regionale ha detto l’esatto contrario, rilevando che «non era in contestazione la regolarità della notifica dell’atto di accertamento bensì la legittimità della richiesta di pagamento nei confronti di un socio» (ultima pagina della sentenza).
Le ragioni di inammissibilità del secondo motivo vanno ribadite per dichiarare inammissibile anche il terzo motivo. Ciò è tanto più evidente considerato che l’intero motivo si dilunga in un elenco di articoli del codice civile e nel riferimento a precedenti giurisprudenziali che non sono utili ad evidenziare né quale sia la specifica norma o le norme violate, né quale sia il punto sul quale si lamenta l’omessa, carente o contraddittoria motivazione.
Inammissibile è il quarto motivo con il quale si lamenta contestualmente la violazione dell’art. 112 c.p.c., la generica violazione di legge, infine un vizio di motivazione, senza alcuna specificità.
Infine è inammissibile il quinto motivo, con il quale si lamenta sempre la violazione di legge e il vizio di motivazione. Esso, oltre che inammissibile per le ragioni già enunciate con riferimento agli altri motivi di ricorso, è ulteriormente viziato dal fatto che oggetto della censura è l’avviso di accertamento e non la sentenza, trascurando che il giudizio di legittimità è giudizio limitato alla critica della sentenza, richiedendo quindi la specifica individuazione della parte di essa oggetto di censura.
In conclusione il ricorso è inammissibile. All’esito del giudizio segue la soccombenza del G. nelle spese di giudizio, che vanno liquidate in favore della Agenzia nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alla rifusione in favore della Agenzia delle spese di giudizio, che si liquidano in € 7.000,00 oltre spese prenotate a debito.
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