CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 marzo 2019, n. 6542
Rapporto di agenzia – Pagamento di somme illegittimamente trattenute a titolo di storno provvigioni – Conclusione di un nuovo contratto – Responsabilità dell’agente
Fatti di causa
Con sentenza n. 182 del 2014 la corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame di P.P., agente della U. spa, subentrata quale società incorporante alla D.A. spa, avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, emesse dal tribunale di Pesaro, che aveva respinto parzialmente la domanda del P. avente ad oggetto la condanna della società al pagamento di somme illegittimamente trattenute a titolo di storno provvigioni, che la società aveva compensato con provvigioni dovute all’agente, riconoscendo tali storni relativamente ai soli contratti stipulati dalla preponente dopo il 27.6.2006 e accogliendo quindi la domanda riconvenzionale della preponente avente ad oggetto un credito di maggior importo, così condannando l’agente al pagamento in favore della società della differenza, ammontante ad euro 15.895,39.
Per la corte territoriale nella transazione raggiunta in sede sindacale tra le parti il 27.7.2006 – in occasione della chiusura del rapporto di agenzia con la snc di cui l’odierno ricorrente era socio e la conclusione di un nuovo contratto con il solo P. come agente – le parti si davano atto che la stipula di detto nuovo contratto era subordinato alla risoluzione consensuale del precedente e che l’agente aveva rinunciato ad ulteriori pretese derivanti dal pregresso rapporto a fronte del pagamento delle somme indicate nella transazione, atto che conteneva altresì la liquidazione di posizioni creditorie residue anche della preponente.
Secondo la Corte le clausole 7 ed 8 di tale accordo sindacale stabilivano che rimaneva comunque la possibilità di riconsiderare le “responsabilità dell’agente” ove queste dovessero eventualmente emergere in relazione al “mancato buon fine dei contratti di vendita stipulati in costanza di mandato e con riferimento anche al pregresso rapporto di agenzia risolto il 31 luglio 2006”.
In particolare per la corte era rimasta ancora vigente la possibilità di “operazioni di addebito / riaccredito “successivamente alla cessazione del primo contratto di agenzia.
Inoltre ha escluso la sentenza impugnata che il P. avesse contestato gli storni effettuati dalla preponente ed in particolare il credito di quest’ultima, risultante dal conteggio di chiusura del rapporto di agenzia e dalla documentazione allegata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P. affidato a due motivi, a cui ha opposto difese con controricorso la D.A. spa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame su un punto decisivo della controversia discusso tra le parti (art. 360 c. 1 n. 5.c.p.c.), in particolare con riferimento all’errata interpretazione data dalla corte di merito dell’accordo sindacale del 27.6.2006 intervenuto tra le parti, in violazione degli artt. 1362, 1366, 1371 c.c., oltre che dell’art. 1748, 6 comma c.c.: la corte distrettuale avrebbe interpretato erroneamente le clausole dell’accordo transattivo di cui ai numeri 7 ed 8, perché se era vero che il punto 8 dell’accordo precisava che ” in merito all’eventuale verificarsi della fattispecie di cui al punto 7 (vizi gravi nei contratti di vendita, mancato buon fine dei contratti stipulati in costanza del pregresso rapporto di agenzia) era il P. ad impegnarsi ad assumersi verso la D.A. ” tutte le operazioni di addebito/accredito per storni provvigioni e saldo conto clienti scaturenti dai contratti di vendita non andati a buon fine in virtù del pregresso rapporto di agenzia risolto il 31.7.2006″, non di meno tale punto 8 estendeva la conseguenza anche al caso di eventuali riaccrediti.
Ciò significava, ad avviso del ricorrente, che dovevano perdurare in capo all’agente non solo sopravvenienze passive, ma anche quelle attive, costituite da eventuali accrediti. Si era invero nei fatti verificato che la D.A. avesse effettuato anche dei riaccrediti relativi a contratti stipulati anteriormente al 27.7.2006 e, tuttavia, un patto che consentisse all’agente di accettare solo eventuali riaccrediti effettuati da parte del preponente, senza possibilità di controllo, sarebbe stati in contrasto anche con quanto previsto dall’art. 1748, 6 comma c.c.
Il motivo è in parte inammissibile ed è comunque infondato.
Ed infatti, a parte l’inesatta formulazione di “omesso esame di un punto decisivo discusso tra le parti” ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., quando poi di fatto la censura ha ad oggetto un’errata interpretazione dell’accordo transattivo in termini di violazione dei canoni di ermeneutica di cui agli art. 1362 e ss c.c., il motivo non può andare esente da un giudizio di inammissibilità per difetto di autosufficienza, in violazione dell’art. 366 c. 2 n. 6 c.p.c., per non avere il ricorrente trascritto nel ricorso l’accordo transattivo e comunque trascritto, in maniera completa ed esaustiva, tutte le clausole contrattuali di cui lamenta l’errata interpretazione, così non consentendo un immediato e diretto esame da parte di questa corte, necessario per effettuare un esatto e compiuto controllo sulla correttezza o meno della ratio decidendi svolta dalla sentenza impugnata.
Ma comunque il motivo è infondato atteso che il tenore della clausola – per la parte della stessa trascritta in ricorso in cui si precisa : “il sig P…. dichiara sin d’ora di impegnarsi ad assumere verso D.A. :a) tutte le eventuali operazioni di addebito/accredito per storni provvigioni e saldo conti clienti scaturenti da contratti di vendita non andati a buon fine in virtù del pregresso rapporto di agenzia risolto il 3.7.2006″ – non consente di ritenere che si tratti di pattuizione sfavorevole all’agente nei termini vietati dall’art.1748 c.6 c.c., non contenendo alcuna rinuncia da parte dell’agente alle provvigioni eventualmente maturate in corso di rapporto.
Ed invero l’ interpretazione della clausola offerta dalla corte di merito non può essere sindacata se non in termini di un preciso vizio di errore ermeneutico di cui agli artt. 1362 e ss. c.p.c., vizio che, tuttavia, non è stato chiaramente individuato, nel senso che il ricorrente non chiarisce come ed in che modo uno dei richiamati canoni ermeneutici sia stato violato, a tale fine non bastando il sollecitare un possibile diverso esito interpretativo (cfr tra le tante Cass. n. 15471/2017).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che il credito vantato dalla D.A. non fosse stato oggetto di contestazione da parte dell’agente, mentre nella memoria difensiva depositata in primo grado tale contestazione sarebbe stata svolta.
Il motivo, per come formulato, è inammissibile per due ordini di ragioni. Ed infatti, nel caso in esame la sentenza di appello della corte distrettuale ha confermato la sentenza di primo grado, basandosi dichiaratamente su ragioni inerenti alla medesima questione di fatto posta a base della sentenza di primo grado, configurandosi così un’ipotesi di cd “doppia conforme”, con ulteriore limitazione della censura di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (cfr Cass. 23021/2014) applicandosi in questo caso, ratione temporis, la novella di cui all’art. 348 ter ultimo comma , in quanto l’appello è stato depositato successivamente all’11.9.2012.
Conseguentemente il ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo, avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr Cass. n. 5528/2014, cass. n. 26774/2016).
Nel caso in esame infatti la corte di merito ha condiviso la valutazione effettuata dal giudice di prime cure , che aveva ritenuto non contestate le circostanze di fatto.
Ma il motivo è inammissibile anche perché privo di specificità, atteso che a ben vedere la doglianza del P. ha ad oggetto l’omessa valutazione da parte della corte di merito non di un fatto storico, ma proprio della domanda di restituzione delle somme che unilateralmente la mandante aveva stornato, domanda che a dire del ricorrente “era contenuta nella domanda principale”. Pertanto trattandosi di un vizio costituito da un omesso esame di parte della domanda principale, dunque di un error in procedendo, andava formulato in termini di vizio inficiante la validità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia, seguendo altresì l’obbligo del pagamento del doppio contributo di cui all’art. 13 DPR n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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