CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 ottobre 2022, n. 29034
Prestazioni – Indennità di accompagnamento – Requisiti sanitari – Insussistenza – Indebito assistenziale – Somme erogate in esecuzione di titolo giurisdizionale riformato in sede di impugnazione – Ripetibilità
Fatti di causa
1. Con sentenza del 22 maggio 2019, la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato l’impugnazione proposta da M.L. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza di primo grado, che aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo richiesto dall’INPS alfine di ottenere la restituzione degli importi erogati a titolo di indennità di accompagnamento nel periodo 10 marzo 2004 – 28 febbraio 2012, oltre che interessi e spese, in ragione del passaggio in giudicato della sentenza n. 133 del 2013 della Corte d’appello di Campobasso, con la quale era stata accertata l’insussistenza dei presupposti sanitari necessari per ottenere la prestazione.
2. La Corte d’appello, con la sentenza ora impugnata, ha precisato che la sentenza n. 133 del 2013 era stata resa in seguito alla riassunzione dell’originario giudizio, iniziato nell’anno 2005, conseguente alla declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per violazione nei riguardi dell’INPS della regola del litisconsorzio necessario, essendo stati chiamati in causa dalla L. solo il Ministero dell’Economia e la Regione Molise; pertanto, solo con il passaggio in giudicato della sentenza n. 133 del 2013, che aveva negato la sussistenza dello stato sanitario, si era consolidato il presupposto dell’indebita erogazione della prestazione seguita alla emanazione, da parte della Regione, del decreto di concessione della previdenza assistenziaie.
3. Per tale ragione, nessun giudicato interno si era determinato per non aver l’INPS richiesto la restituzione in seno a quel giudizio, né poteva dirsi maturata la prescrizione quinquennale eccepita, trattandosi di indebito, o irripetibile l’erogazione per effetto dello stato di buona fede della parte privata, la quale non aveva proposto alcuna domanda amministrativa utile ai fine di ottenere un accertamento positivo del diritto all’indennità di accompagnamento da opporre in compensazione.
4. Avverso tale sentenza ricorre M.L. sulla base di quattro motivi illustrati da memorie. Resiste l’INPS con controricorso e successiva memoria.
5. La Sezione sesta di questa Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 23546 del 2021, ha rimesso la causa alla Sezione ordinaria atteso il rilievo nomofilattico della questione sollevata con il quarto motivo di ricorso relativo alla interpretazione dell’art. 52 I. n. 88 del 1989.
Ragioni della decisione
6. In primo luogo, va osservato che la ricorrente non ha richiesto la discussione orale, ai sensi dell’art. 23 co. 8 bis, d.l. n. 137/2020 conv., con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77, le cui disposizioni continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 16 d.l. n. 228 del 2021 conv. in I. n. 15 del 2022.
Pertanto, non essendo prevista la partecipazione delle parti, non assume rilievo la richiesta di differimento della discussione per impedimento del difensore, datata 19 aprile 2022,
7. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza per motivazione mancante, incomprensibile, apparente in ragione del fatto che il rinvio operato per relationem alla sentenza di primo grado era carente di motivazione rispetto alle censure proposte.
8. Con il secondo motivo, si deduce l’omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione a violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in tema di preclusione del giudicato e violazione del procedimento di cui all’art. 416 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata aveva stabilito l’autonomia della domanda restitutoria senza considerare che la domanda giudiziale riassunta aveva avuto la stessa ampiezza di quella proposta inizialmente e cioè l’accertamento della invalidità totale ed il diritto a percepire l’indennità di accompagnamento; l’INPS era stato consapevole sin dalla propria costituzione in giudizio del fatto che l’indennità era stata erogata in virtù della sentenza annullata ed avrebbe dovuto proporre anche su questo punto la propria pretesa finalizzata ad ottenere la restituzione degli importi corrisposti medio tempore. Non avendo proposto tali difese, il punto della restituzione non era più deducibile, non potendo procedersi ad alcuna parcellizzazione della domanda.
9. Con ii terzo motivo di ricorso, si deduce ia violazione degii artt. 99, 100 e 102 c.p.c., la carenza di legittimazione dell’INPS, la violazione dell’art. 130 d.lvo. n. 112 del 1998 e del principio di irretroattività, nullità della sentenza per motivazione incomprensibile. Ciò in ragione della motivazione addotta in ordine al regime di sostituzione processuale e sostanziale.
10. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 52 I. n. 88 del 1989. Si espone che la sentenza ne aveva escluso l’applicabilità alla materia dell’indebito assistenziale anche se in tal modo si era finito per negare il rilievo dell’assoluta mancanza di dolo in capo all’accipiens.
11. L’ordinanza interlocutoria, quanto all’ultimo motivo, ha evidenziato la portata nomofilattica della questione giuridica sottesa alla presente vicenda processuale, posto che la richiesta di restituzione ha ad oggetto somme erogate in ragione di un provvedimento amministrativo di riconoscimento della prestazione emesso all’esito di sentenza di primo grado poi annullata ed in cui il pagamento ha continuato ad essere effettuato per anni, anche successivamente al venir meno dell’originario titolo giudiziale e permanendo il titolo amministrativo.
12. Il primo motivo è infondato.
13. Questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito che la riformulazione 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutica dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass. SU 8053/2014); e che il vizio in questa sede denunciato, è riscontrabile solo ove il percorso argomentativo sia totalmente mancante ovvero esso risulti del tutto inidoneo ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. ex multis Cass. 22598/2018; Cass. 20293 del 2019).
14. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza è strutturata su di un percorso logico ben individuabile, non meramente assertivo che consente, con contenuti certamente al di sopra della sufficienza costituzionale, di comprendere le argomentazioni della Corte in base alle quali è stato accertato il diritto dell’INPS ad ottenere la restituzione delle somme erogate alla ricorrente nel periodo compreso tra il primo marzo 2004 ed il 28 febbraio 2012. La sentenza ha superato le eccezioni opposte dalla odierna ricorrente, relative alla preclusione da giudicato, al difetto di legittimazione attiva dell’Inps per il periodo precedente alla legge n. 248 del 2005, della prescrizione quinquennale e della irripetibilità delle somme in ragione dello stato di buona fede dell’accipiens e della destinazione delle somme a soddisfare esigenze primarie di vita. Il vizio dedotto, pertanto, non trova riscontro nell’esame della sentenza.
15. li secondo motivo è pure infondato. La ricorrente deduce che la sentenza impugnata ha violato il giudicato, formatosi anche sull’azione di ripetizione di quanto erogato in dipendenza della sentenza di condanna poi riformata, determinatosi per la mancata impugnazione della sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 133 del 2013. L’INPS avrebbe dovuto far valere in tale sede la richiesta di restituzione derivante dalla declaratoria di nullità della sentenza di accoglimento della domanda, senza possibilità di agire in via autonoma.
16. Tale tesi non è conforme ai principi affermati da questa Corte, ai quali va data continuità; la sentenza d’appello che, in riforma quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce, in mancanza di un’espressa statuizione di condanna alla ripetizione di dette somme, titolo esecutivo, occorrendo all’uopo che il solvens formuli in sede di gravame – per evidenti ragioni di economia processuale ed analogamente a quanto disposto dall’art. 96 c.p.c., comma 2 e art. 402 c.p.c., comma 1, – un’apposita domanda in tal senso, ovvero attivi un autonomo giudizio, tenendo conto che, ove si determini in quest’ultimo senso, non gli sarà opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia, perché la rinuncia implicita alla domanda di cui all’art. 346 c.p.c. ha valore processuale e non anche sostanziale (vedi Cass. 1072018 n. 18062).
17. Si è infatti osservato che in relazione alla domanda – proposta nella fase di gravame – di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado impugnata, il giudice di appello opera quale giudice di primo grado, in quanto detta domanda non poteva essere formulata precedentemente; da tanto consegue che, se il giudice dell’impugnazione omette, in tale qualità, di pronunziarsi sul punto, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l’omessa pronunzia con ricorso in cassazione o di riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che la mancata impugnazione della sentenza determini la formazione del giudicato (cfr. Cass. 1162008 n. 15461; 14253 del 2019).
18. li terzo motivo è infondato. Nuovamente, non sussiste la violazione del minimo motivazionale richiesto dall’art.111 Cost., posto che la sentenza impugnata ha dato contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto l’INPS legittimato a pretendere la restituzione dei ratei erogati facendo riferimento al regime di sostituzione processuale e sostanziale dell’INPS al Ministero dell’Interno introdotto con l’art. 130 del D.igs. n. 112/1998, in vigore dall’171998 e trovando conferma di ciò nel pagamento effettuato dall’Inps e non dal Ministero dell’Interno.
19. Anche il quarto motivo non può trovare accoglimento. Deve, in primo luogo, evidenziarsi, in fatto, che le somme pretese dall’INPS sono pacificamente quelle erogate a seguito del decreto di concessione adottato dalla Regione Molise in esecuzione della sentenza del Tribunale di Campobasso, provvisoriamente esecutiva, n. 562008, che fu poi annullata dalla sentenza della Corte d’appello n. 413 del 2009 (vd. esplicitamente quanto evidenzia la stessa ricorrente a pag. 2 del ricorso per cassazione). Si è trattato cioè di erogazioni avvenute iussu iudicis e non per errore dell’autorità che le dispose.
20. La giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha sempre distinto tale ipotesi le une dalle altre in relazione alla teorica possibilità di fare comunque applicazione della disciplina di favore in materia di indebito sia esso previdenziale che relativo a prestazioni di tipo assistenziale in ragione dello stato di buona fede dell’accipiens (Cass. n. 10832 del 2000; Cass. n. 11208 del 2003, nel caso, in riferimento all’art. 1 della legge 23.12.1996 n. 662, che limitava la ripetibilità di prestazioni previdenziali).
21. Si è affermato che la disciplina relativa ai pagamenti di indebiti previdenziali, con i relativi limiti alla ripetibilità, trovando causa in un errore dell’Istituto, non è applicabile in relazione ai pagamenti effettuati sulla base di un provvedimento emesso dal giudice a titolo provvisionale e successivamente revocato, né a quelli effettuati in esecuzione di sentenze non passate in giudicato, riformate in sede di impugnazione, essendo in tal caso l’obbligo fondato sull’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ. e sull’assoggettamento del percettore (indipendentemente dal suo dolo) al rischio dell’attuazione della tutela giurisdizionale invocata.
22. E’, dunque, evidente che in questi casi la restituzione delle somme erogate sulla base di un titolo giurisdizionale poi riformato non è consequenziale ad altro se non al consolidamento dell’attività giurisdizionale che non genera alcun affidamento nella fase in cui il titolo è ancora non definitivo.
23. La normativa di settore che tutela la buona fede dell’accipiens (sia in campo previdenziale ex art. 52 I. n. 88 del 1989 che nell’ambito assistenziale) non trova applicazione in relazione ai pagamenti effettuati dall’istituto previdenziale in esecuzione di sentenze non passate in giudicato riformate in sede di impugnazione, poiché in tal caso l’obbligo di restituzione si fonda sul disposto dell’art 336, secondo comma, c.p.c. e sull’assoggettamento del percettore (indipendentemente dalla ravvisabilità o meno di un suo dolo) al rischio dell’attuazione della tutela giurisdizionale invocata e ciò atteso il definitivo accertamento dell’insussistenza del titolo alla percezione ed il correlativo assoggettamento del percettore dell’indebito all’obbligo (indipendentemente dalla ravvisabilità o no del dolo del medesimo) di sopportare il rischio dell’attuazione della tutela giurisdizionale invocata.
24. Peraltro, anche a ritenere diversamente, intendendo preminente il rilievo da accordare alle esigenze tipiche delle misure assistenziali, non può che giungersi ad un giudizio negativo sulla fondatezza del motivo.
25. Questa Corte ha infatti precisato che il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell’affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione (…) non sia (.•.) addebitabile al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993, n. 431)
26. In materia di indebito assistenziale, questa Corte ha individuato, in relazione alle singole e diversificate fattispecie esaminate, una articolata disciplina che distingue vari casi, a seconda che il pagamento non dovuto afferisca alla mancanza dei requisiti reddituali (Cass. n. 13223 dei 2020; n. 26036 del 2019; n. 28771 del 2018), di quelli sanitari, di quelli socioeconomici, cioè incollocazione al lavoro o disoccupazione (Cass. n. 31372 del 2019), a questioni di altra natura (come ad es. l’esistenza di ricovero ospedaliero gratuito nel caso dell’indennità di accompagnamento (Cass. 5059 del 2018) o, ancora, in via generale alla mancanza dei requisiti di legge.
27. Le disposizioni sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza, in via generale, dei requisiti di legge (escludendosi, quindi, le norme che regolano espressamente la sorte dell’indebito per difetto del requisito sanitario o di quello reddituale) vanno individuate nel D.L. n. 850 del 1976, art. 3-ter, convertito in L. n. 29 del 1977, secondo cui Gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento, nonché nel D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988, che recita Con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1 e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte.
28. Si tratta, dunque, di norme speciali rispetto all’art. 2033 c.c. (v. Cass. n. 19638 del 2015 cit. e successive conformi, fra le quali Cass. n. 17216 del 2017), che limitano la restituzione ai soli ratei indebitamente erogati a decorrere dalla data dei provvedimento che accerta l’indebito, restando esclusa la ripetizione delle somme precedentemente corrisposte.
29. Nel caso in esame, la disciplina appena illustrata non può trovare applicazione in quanto si è di fronte ad una ipotesi di mancanza radicale ab origine di tutti i requisiti per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, attribuita ed erogata nonostante la integrale riforma della sentenza per la esecuzione della quale era stato emesso il decreto della Regione, situazione per la quale non è possibile ipotizzare una ignoranza incolpevole della parte.
30. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
31. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura dei 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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