CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 settembre 2018, n. 21706
Lavoro – Tardiva registrazione dei lavoratori – Sanzioni amministrative – Responsabilità principale del trasgressore e dell’obbligato solidale
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 27 settembre 2012, ha confermato, per quanto in questa sede rileva, la sentenza di primo grado, che ha rigettato l’opposizione proposta dalla s.r.l. I. e da S.I. avverso l’ordinanza con la quale la Direzione Provinciale del lavoro di Bergamo aveva ingiunto alla predetta S. e alla società, in qualità di obbligato solidale, il pagamento di euro 6.574,00 a titolo di sanzioni amministrative per violazioni connesse alla tardiva registrazione di quattro lavoratori.
2. La Corte di merito riteneva che: dal contesto della sentenza (non recante in alcuna parte menzione della S.), dal riferimento, per relationem, all’ordinanza-ingiunzione, dall’assenza di questioni in ordine all’individuazione della persona fisica del trasgressore o di altre eccezioni personali del medesimo, si evinceva con certezza che la decisione, di infondatezza dell’opposizione svolta dalla predetta S., in proprio e quale legale rappresentante, si riferiva alla responsabilità principale del trasgressore e a quella dell’obbligato solidale, così raggiungendo lo scopo di definire, in modo completo, l’opposizione e non incorrendo nella nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 156 cpv. cod. proc. civ.; il termine fissato dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, di prescrizione e non già di decadenza, era risultato validamente interrotto e, incontestati il dies a quo e l’efficacia interruttiva degli atti valorizzati dal tribunale, la potestà punitiva era stata tempestivamente esercitata dall’amministrazione; la sanzione, con l’ordinanza-ingiunzione, di un minor numero di lavoratori (quattro), rispetto al più elevato numero (ventidue) risultante dalla contestazione, comportava una mera riduzione della contestazione originaria (e non la contestazione di un fatto diverso) e la richiesta di rimessione in termini, ai fini del pagamento in misura ridotta, prevista dall’art. 16 legge n. 689 cit., costituiva facoltà che l’interessato avrebbe potuto esercitare al fine di evitare la prosecuzione del procedimento sanzionatorio e l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione.
3. Avverso tale sentenza ricorre la s.r.l. I., in persona del legale rappresentate pro-tempore, S.I., con ricorso affidato a tre motivi, cui non ha resistito la Direzione Territoriale del lavoro di Bergamo.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 360, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., dell’art. 6, ult.comma, legge n. 689 del 1981 ed errata motivazione, la parte ricorrente assume che, diversamente da quanto ritenuto della Corte di merito, la sentenza impugnata non abbia raggiunto il suo scopo, definendo il rapporto solidale tra la S. e la società, deprivata del titolo in forza del quale far valere la rivalsa, non ravvisandosi il contesto dal quale ricavare che la S. era parte del processo in proprio, attesa l’irrilevanza della relativa indicazione nell’ordinanza-ingiunzione e costituendo, quest’ultima, un atto estraneo al processo; assume, inoltre, che la parte pretermessa non risulta inequivocabilmente identificabile, tanto da comportare la nullità della sentenza; deduce, infine, che risulta violato il contraddittorio nel giudizio diretto a regolare anche il rapporto solidale tra la società e la S. in proprio.
5. Il motivo non coglie nel segno perché non si confronta con la statuizione impugnata che, con ratio decidendi complessa sorretta da ampio iter argomentativo, include nel contesto decisorio il richiamo all’ordinanza opposta (elemento dunque non esclusivo, diversamente da quanto assume la parte ricorrente), la valorizzazione dell’assenza di questioni, vale a dire di contrapposizione, tra le parti, sulla persona fisica del trasgressore ovvero di eccezioni personali, la proposizione dell’opposizione da parte della S., in proprio e nella qualità di legale rappresentante, circostanze sulle quali nessuna obiezione specifica svolge la parte ricorrente, limitatasi ad incentrare la doglianza sulla pretesa evidenza della convinzione del giudice di primo grado dell’opposizione svolta solo dalla società sulla scorta dei medesimi rilievi verosimilmente svolti in sede di gravame (evocando il verbale di causa, intestazione, svolgimento e dispositivo della sentenza di primo grado).
6. Neanche risulta violato, nella specie, il contraddittorio, posto che, all’esito della delibata validità della sentenza impugnata anche nei confronti della S. in proprio, ne risulta regolato il rapporto solidale tra la predetta e la società.
7. Quanto all’autonomia dell’obbligazione del corresponsabile solidale rispetto all’obbligato principale, vale richiamare i principi affermati dal recente arresto delle Sezioni unite della Corte, con sentenza 22 settembre 2017, n. 22082: «all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà prevista dall’art. 6 legge n. 689 del 1981 non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione. Pertanto, l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, per cui, non dipendendone, essa non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi dell’art. 14, ultimo comma, legge n. 689 del 1981, si estingua per mancata tempestiva notificazione; con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 6, verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interno di tale ultimo rapporto che è invece di sola rilevanza privatistica, l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione»(così Cass., sez. u., n.22082 del 2017, cit. ).
8. Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 28 della legge n. 689 del 1991 e violazione dell’art. 97 Cost., la parte ricorrente assume che il termine ivi disciplinato è di decadenza, come tale non suscettibile di interruzione, conformemente ai principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, con la conseguente richiesta di rimessione al Giudice delle leggi della questione dell’assenza del termine di decadenza nel procedimento previsto dalla citata legge n. 689.
9. Anche il secondo mezzo di censura non è meritevole di accoglimento per essere consolidata, nella giurisprudenza di legittimità, la natura prescrizionale del termine indicato nell’articolo 28 della legge n.689, come ribadito da ultimo, in motivazione, dal già richiamato arresto delle Sezioni unite della Corte, n. 22082 del 2017.
10. Del resto in decisioni risalenti nel tempo (v., fra le altre, Cass. 28 luglio 2009, n.17526 e i precedenti ivi richiamati) risulta già ribadito che la legge n. 689 non prevede alcun termine di decadenza per l’amministrazione e che l’ordinanza-ingiunzione può essere validamente emessa nel termine di prescrizione quinquennale (ancorché detta norma faccia riferimento al termine per riscuotere le somme dovute per le violazioni).
11. Quanto ai denunciati profili di illegittimità costituzionale, non si ravvisa la pretesa rilevanza della questione in ordine all’assenza della previsione legislativa di un potere da esercitare entro un termine decadenziale, argomentata dalla parte ricorrente evocando, con genericità, atti di interruzione della prescrizione che renderebbero prorogabile all’infinito il procedimento, giacché è sufficiente contrapporre che gli atti interruttivi che vengono, nella specie, in rilievo, sono solo quelli individuati dal codice civile, ai quali peraltro il legislatore del 1991 ha inteso espressamente rinviare nel secondo comma del richiamato art. 28.
12. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della legge n.689 cit. e vizio di motivazione, la parte ricorrente assume che l’amministrazione non possa contestare, con l’ordinanza ingiunzione, fatti diversi rispetto a quelli originariamente contestati, e trae da tale premessa la conseguenza che la riduzione degli addebiti in misura rilevante, come nella specie, non possa non comportare un riesame sulla gravità della condotta e sulla misura della sanzione; si duole, infine, che la Corte di merito non si sia conformata ai principi affermati da Cass. n. 25253 del 2006, sulla necessità della notifica degli estremi della violazione al trasgressore in caso di riformulazione del fatto contestato.
13. Anche quest’ultimo mezzo d’impugnazione non è meritevole di accoglimento.
14. In continuità con i principi già affermati da Cass. 2 maggio 2006, n. 10145, va ribadito che, in tema di sanzioni amministrative, sussiste la violazione del precetto posto dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981 – per il quale deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata – tutte le volte in cui la sanzione venga irrogata per una fattispecie – individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma – che sia diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che solo in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore medesimo (in tal senso v. anche, di recente, Cass. 28 luglio 2017, n.18883 e Cass. 4 maggio 2011, n. 9790).
15. La lesione del diritto di difesa, la cui tutela costituisce la finalità del precetto in tema di correlazione tra contestazione e condanna (cfr., fra le altre, Cass 18 febbraio 2000., n.1876) non è ravvisabile nel fatto che l’ordinanza-ingiunzione abbia sanzionato un minor numero di violazioni, ritenendo insufficienti, ai fini della relativa responsabilità, gli elementi raccolti, ciò comportando una mera riduzione della contestazione originaria senza che si configuri, a carico dei responsabili, una nuova violazione, a nulla rilevando che la condotta complessiva possa configurarsi meno grave sotto il profilo soggettivo e ancor meno che la sanzione applicata sia inferiore a quella quantificata nel verbale di contestazione dell’illecito.
16. Peraltro, la possibilità che, terminato il procedimento, l’illecito venga ridotto in sede di applicazione della sanzione, all’esito di una riconsiderazione della fattispecie, ed eventualmente anche su impulso del responsabile, conforma al canone costituzionale di buon andamento il corretto esercizio della potestà pubblica.
17. Vale anche precisare, quanto alla facoltà del pagamento in misura ridotta, che nulla esclude che l’interessato se ne possa avvalere nel corso del procedimento o addirittura per evitare l’emissione dell’ordinanza ingiunzione, non potendo preordinarsi all’esercizio di tale facoltà la necessaria notificazione degli estremi della violazione, rimodulata nella sanzione rispetto alla contestazione originaria.
18. In conclusione, il ricorso va rigettato.
19. Non si provvede alla regolazione delle spese per non avere la parte intimata svolto attività difensiva.
20. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R.115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1-bis.
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