CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 dicembre 2018, n. 31755
Licenziamento collettivo – Criterio di scelta – Assenza di nesso causale con le eccedenze – Natura discriminatoria
Fatti di causa
La Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 403/2017, in sede di procedimento ex lege n. 92/2012, aveva accolto il reclamo avverso la decisione del Tribunale di Firenze, proposto da B.S. e B.D. nei confronti di U.S. assicurazioni spa, dichiarando la nullità dei licenziamenti intimati dalla società ai predetti lavoratori, condannando la medesima a reintegrare i dipendenti nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura di tante mensilità, commisurate all’ultima retribuzione globale di fatto, maturate dal licenziamento al ripristino del rapporto, oltre accessori e regolarizzazione previdenziale.
La corte di appello aveva ritenuto illegittimo il licenziamento collettivo in cui erano ricompresi i lavoratori per vizio della procedura di cui all’art. 4 della legge n. 223/91, in quanto non coerente il criterio di scelta convenzionale dei dipendenti da licenziare con la situazione di eccedenza individuata dalla società datrice di lavoro nella iniziale comunicazione di inizio della procedura collettiva e dalla stessa posta a fondamento della scelta adottata. In particolare il Giudice del gravame aveva valutato la non corrispondenza tra l’area della crisi in origine individuata ed i criteri di scelta applicati trasversalmente a tutto il personale, pur in assenza di una accertata fungibilità dei singoli lavoratori.
Quanto alle conseguenze sanzionatorie la stessa Corte aveva osservato che il criterio dell’accesso a pensione, se pur condivisibile in teoria quale strumento concordato di selezione dei licenziandi, perché di minor impatto sociale, nel caso di specie era risultato discriminatorio in quanto applicato in totale assenza di nesso causale con le eccedenze in origine individuate dal datore di lavoro. La natura discriminatoria del licenziamento aveva quindi determinato la applicazione delle tutele di cui ai primi due commi del nuovo articolo 18 della l. n. 300/70.
Avverso detta decisione la U.S. proponeva ricorso affidato a 10 motivi cui resistevano con controricorso i due lavoratori. La ricorrente depositava memoria successiva.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo la società denuncia la falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della I.n. 223/91 (ex art. 360 n. 3 c.p.c.), avendo la Corte territoriale ritenuto illegittimo il licenziamento per la non coerenza tra la lettera di apertura della procedura indicativa di esuberi di personale in un determinato settore e la successiva applicazione del criterio di selezione a tutto il personale (e non soltanto a quello dell’originario settore valutato).
2) Con il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 5 I.n. 223/91 (ex art. 360 n. 3 c.p.c.) per aver, la Corte territoriale, ritenuto che la situazione di esubero rappresentata nella comunicazione di avvio del procedimento delimiti l’oggetto della successiva interlocuzione con le parti sindacali e vincoli la scelta dei lavoratori da licenziare al solo settore in crisi di eccedenza.
3) con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 l. n. 223/91 e ex art. 360 n. 3 c.p.c.), per aver, la corte fiorentina ritenuto, erroneamente, che il criterio della “fungibilità delle mansioni” fosse necessario per la applicazione dei criteri selettivi a tutto il personale. A riguardo la società rileva la estraneità di detto criterio al contenuto delle disposizioni, e comunque la pacificità del suddetto requisito nella procedura selettiva effettuata nel caso di specie.
I motivi possono essere trattati congiuntamente poiché attengono al medesimo profilo inerente la corretta interpretazione delle norme richiamate con riguardo al rapporto tra comunicazione iniziale di avvio della procedura e successivo ambito di applicazione dei criteri per la scelta dei lavoratori da licenziare.
Con riguardo alla natura della comunicazione iniziale questa Corte ha chiarito che “in tema di collocamento in mobilità e licenziamento collettivo, la comunicazione di avvio della procedura ex art. 4, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 rappresenta una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro” (Cass. 6959/2013). La funzione assegnata è dunque finalizzata alla garanzia di trasparenza del procedimento cui si è dato inizio e delle ragioni di apertura del medesimo da parte dell’azienda.
Con riguardo all’ambito aziendale di riferimento si è osservato che “In tema di licenziamento collettivo, il doppio richiamo operato dall’art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991 alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, comporta che la riduzione del personale deve, in linea generale, investire l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d’azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre. Ne consegue che il riferimento al “personale abitualmente impiegato”, aggiunto all’originario testo dell’art. 4, comma 3, della legge n. 223, dal d.lgs. n. 151 del 1997, comporta che i profili professionali da prendere in considerazione sono quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all’esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità. La dimostrazione della ricorrenza delle specifiche professionalità o comunque delle situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione, costituisce onere probatorio a carico del datore di lavoro” (Cass. n. 22825/2009).
I principi esposti chiariscono come il rapporto tra comunicazione iniziale di apertura del procedimento e successiva individuazione dell’ambito interessato alla selezione dei lavoratori da licenziare non sia di stretta e rigorosa corrispondenza, allorché la funzione della prima è diretta alla individuazione dell’ambito in cui è emersa la necessità della riduzione, ma non alla concreta applicazione della stessa, per la quale occorrerà guardare l’intero complesso aziendale, e ciò anche se il criterio di selezione individuato sia quello della maggiore vicinanza al pensionamento.
Questa Corte ha chiarito in proposito che “In tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo del lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al prepensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura, valorizzando tale soluzione, in linea con la volontà del legislatore sovranazionale, espressa nelle direttive comunitarie recepite dalla l. n. 223 del 1991 e codificata nell’art. 27 della Carta di Nizza, il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico. (Cass. 19457/2015; Conf. Cass. n. 21374/2016).
Dai principi esposti risulta quindi che, sebbene la comunicazione abbia rilievo fondamentale ai fini della trasparenza delle scelte aziendali, della esatta individuazione della crisi dell’azienda e della possibilità di cogestione della stessa, ciò non impedisca ai successivi accordi di individuare criteri convenzionali, quale la possibilità di pensionamento, da applicare trasversalmente a tutti i dipendenti e non solo a quelli appartenenti al settore afflitto dalla eccedenza.
In tema di “fungibilità” (cfr Cass. 22825/2009, n. 7752/2006) si è affermato che il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, comporta che la riduzione del personale deve, in linea generale, investire l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d’azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre. La Corte ha, altresì, precisato che non è possibile limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti ad un reparto se detti lavoratori sono idonei ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti e che la dimostrazione della ricorrenza delle specifiche professionalità o comunque delle situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione, costituisce onere probatorio a carico del datore di lavoro (Cass. n. 6112/2014).
Deve evidenziarsi come il criterio della fungibilità si inserisca , quale causa dirimente, nel contesto in cui il datore di lavoro voglia procedere a selezionare i licenziandi solo in riferimento ad un solo settore , ed in tal caso deve dare prova della non fungibilità delle mansioni di quei dipendenti, e ciò nel presupposto che in linea generale la riduzione del personale debba riguardare l’intero complesso aziendale (Cass. 6112/2014). La Corte territoriale, in una situazione in cui il datore di lavoro, pur avendo individuato in origine un settore in sofferenza, aveva scelto, concordemente alle parti sociali, di estendere a tutti i settori dell’azienda la scelta dei licenziandi, ribaltando i principi richiamati, ha invece ritenuto che per realizzare la selezione su tutto il personale dovesse essere fornita la prova della fungibilità, con ciò contravvenendo ai richiamati principi. I motivi risultano quindi fondati.
3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione del RD 12/1941 art. 65, in quanto la Cassazione fissa principi generali e non si occupa di casi concreti, e dunque aveva errato la corte territoriale nel ritenere “legato” il principio enunciato in Cass. n. 14170/2014 al solo caso concreto in esame.
Il motivo risulta inconferente in quanto la corte territoriale non ha negato la funzione nomofilattica della Cassazione limitandosi a ricollegare il principio enunciato ad un caso differente da quello attualmente in esame per evidenziarne la non applicabilità .
4) Con il quinto motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già discusso tra le parti quale la pacificità della fungibilità del personale . Parte ricorrente richiama ed inserisce in ricorso parte del ricorso in opposizione e della memoria in prima fase in cui è affermata la fungibilità. Questa non risulta essere mai stata contestata e comunque la censura risulta assorbita da quanto sopra detto con riferimento al motivo n. 4).
5) Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo quale la circostanza che i centri di liquidazione sinistri (per i quali era stata originariamente denunciata l’eccedenza di personale), non costituissero autonome unità produttive ma semplici articolazioni su base territoriale.
Anche tale motivo può ritenersi assorbito dall’accoglimento dei motivi nn. 1), 2), e 4).
6) L’ottavo motivo è diretto a censurare la valutazione della corte territoriale sulla natura discriminatoria del criterio del pensionamento, se scollegato dall’originario ambito di delimitazione della procedura. Si richiama a riguardo quanto già sopra evidenziato sul rapporto tra comunicazione iniziale ed ambito di selezione del personale da licenziare e circa l’adozione legittima di criteri che ” minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico”. (Cass. 19457/2015; Conf. Cass. n. 21374/2016). Il motivo deve quindi ritenersi in tal senso assorbito dall’accoglimento dei motivi menzionati.
7) Con il 9″ motivo è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, quale la sussistenza di personale in esubero, comunque giustificativo della legittimità del licenziamento collettivo. Con il 10″ motivo è censurata l’applicazione dell’art. 18, 1 e 2° comma, I.n. 300/70, per sanzionare il licenziamento ritenuto discriminatorio.
Entrambi i motivi risultano assorbiti dall’accoglimento dei motivi nn. 1, 2,e 4.
Il ricorso deve quindi essere accolto con riferimento ai motivi 1), 2) e 4) e cassata la sentenza; deve essere rigettato il terzo motivo e considerati assorbite tutte le ulteriori censure. Con riguardo ai motivi accolti la causa deve essere rinviata alla corte di appello di Firenze in diversa composizione, perché decida alla luce dei principi enunciati, nonché sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche sulle spese di legittimità.
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