CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 febbraio 2019, n. 3662
Contratto a tempo determinato – Nullità – Utilizzo abusivo da parte delle pubbliche amministrazioni
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Ancona, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado, la quale aveva rigettato la domanda di P. M., che nel convenire in giudizio la C. spa, aveva domandato: la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato, stipulato in forma non scritta, decorrente dal 14.9.2009, l’accertamento della sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato far tempo dalla stessa data, la condanna della società al risarcimento dei danni da retribuzioni perdute dalla data del 14.7.2010 sino alla ripresa dell’attività lavorativa.
2. La Corte territoriale ha condiviso la sentenza impugnata quanto alla ritenuta illegittimità della clausola di durata apposta al contratto per l’assenza della forma scritta e quanto alla affermata inapplicabilità della disciplina contenuta nel d. Igs. n. 368 del 2001.
3. Ha rilevato che risultava provato che la C. spa, che gestiva il servizio pubblico di trasporto locale, era una società a capitale interamente pubblico e non ad azionariato misto e che, pertanto, trovava applicazione l’art. 18 c. 1 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, con il quale il legislatore ha imposto alle società che gestiscono servizi pubblici a totale partecipazione pubblica di adottare metodi di reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi rispettosi dei principi di cui al c. 3 dell’art. 35 del d. Igs. n. 165 del 2001 ed ha anche accertato che il M. era stato assunto dalla C. spa rispetto alla quale la C. mobilità srl era del tutto estranea.
4. La Corte territoriale ha osservato l’art. 36 del richiamato decreto n. 165 del 2001 impone il divieto di conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato e che l’intero apparato sanzionatorio contenuto nella suddetta disposizione è conforme alla direttiva 1999/70/CE perché idoneo a sanzionare l’abusivo utilizzo dei contratti a termine da parte delle pubbliche amministrazioni.
5. Essa, poi, ha escluso la fondatezza della domanda risarcitoria correlata alla mancata percezione delle retribuzioni perdute per la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro in ragione dell’insussistenza del diritto alla conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e della inconfigurabilità di un danno “in re ipsa” correlato alla illegittima apposizione del termine di durata.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P. M. sulla base di sei motivi, ai quali ha resistito con controricorso C. spa.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
Sintesi dei motivi
8. Il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.:
9. con il primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1 c. 2 del d. Igs. n. 165 del 2001 per avere la Corte territoriale, in considerazione del solo dato dell’intestazione delle quote sociali in capo a soggetti pubblici, e in violazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 28329 del 2011, ritenuto che la società C. spa è una pubblica Amministrazione ovvero un soggetto di diritto pubblico;
10. deduce che la predetta società è una società per azioni di diritto privato e sostiene che essa, in quanto tale, è esclusa dal novero delle pubbliche amministrazioni alle quali fanno riferimento gli artt. 1 c. 2 e 36 del d.lgs. n. 165 del 2001;
11. richiamando numerose decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte e la sentenza n. 28699/2010 della II sezione penale, assume che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché l’ente locale ne possiede le azioni, in tutto o in parte;
12. deduce che: sebbene l’oggetto sociale della C. spa sia costituito dalla “gestione di trasporto urbano, suburbano ed extraurbano nonché di ogni altro servizio che, rispetto al trasporto, presenti carattere di connessione, strumentalità e complementarietà e che sia ritenuto utile per l’attività sociale”, è previsto che la predetta società possa svolgere anche servizi che “fuoriescono dalla rigorosa nozione di servizio pubblico”, ed esercitare tali attività direttamente o a mezzo di società controllate o collegate e di acquisire partecipazioni anche di minoranza in società o imprese aventi oggetto analogo o affine al proprio; la C. spa detiene il 65% del capitale sociale della C. mobilità, che per il restante 35% appartiene alla società privata Macerata Bus srl; la C. per previsione statutaria può compiere tutte le operazioni finanziarie, commerciali, industriali, mobiliari o immobiliari reputate utili dal Cd A;
13. asserisce che, ai sensi dell’art. 23 bis, del d.l. n. 112 del 2008, il servizio pubblico locale a rilevanza economica non è necessariamente destinato ad essere svolto da enti o società controllate da un ente pubblico ma può essere affidato anche a imprenditori privati; afferma che lo statuto della C. spa, sotto il profilo gestionale, è riferibile allo statuto di un’impresa commerciale di diritto comune e che, pertanto, essa non può essere equiparata alla P.A solo perché è società a capitale interamente pubblico;
14. con il secondo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 1 c. 1 della L. n. 133 del 2008, per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile alla C. spa la regola del reclutamento mediante concorso pubblico e non applicabile, invece, l’art. 23 bis del richiamato D. L. n. 112 del 2008; deduce all’uopo la sussistenza del requisito della “rilevanza economica” del servizio pubblico locale; assume che, poiché il decreto Ministeriale, che avrebbe dovuto disciplinare le procedure di reclutamento del personale delle società la cui attività ha rilevanza economica, non era stato emanato al tempo della domanda di conversione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, la conversione del rapporto dedotto in giudizio avrebbe potuto essere disposta;
15. con il quarto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, e dell’art. 97 della Costituzione, per avere Corte territoriale ritenuto applicabile alla C. spa il divieto di conversione del rapporto a termine illegittimo previsto dall’art. 36 c. 5 del d. Igs. n.165 del 2001;
16. assume che dall’art. 18 del citato d.l. n. 112 del 2008 non si ricava l’estensione del divieto di conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato previsto dall’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 perché l’art. 18 richiama solo l’art. 35 del d. Igs. n. 165 del 2001; asserisce che il divieto di conversione è diverso dall’obbligo di assunzione previsto dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 richiamato dall’art. 18 del D.L. n. 112 del 2008;
17. con il quinto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 in relazione all’art. 1 e 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, alla clausola 3 dell’Accordo Quadro di cui alla direttiva 1999/70/Ce, ai principi enunciati dalla CGE nelle sentenze Vassallo e Marosu, per avere la Corte territoriale escluso la applicabilità del d. Igs. n. 368 del 2001 ai rapporti di lavoro alle dipendenze con la pubblica amministrazione; sostiene che sia il d.lgs. n. 368 del 2001, sia la direttiva 1999/70/Ce si applicano anche ai rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione, che con il d. I. n. 112 del 2008 “è stato riscritto l’art. 36 del d. Igs. n. 165 del 2001” rimuovendosi il divieto di reiterazione dei contratti a tempo determinato e, quindi, l’ostacolo alla verificazione dell’evento sanzionato dall’art. 5 c. 4 bis del d.lgs. n. 368 del 2001 (superamento dei 36 mesi);
18. assume, inoltre, che con la L. n. 102 del 2009 il legislatore ha escluso l’operatività rispetto all’impiego pubblico solo di alcune disposizioni del d.lgs. n. 368 del 2001 ma non di quelle relative al rapporto di lavoro a tempo determinato e ribadisce che i rapporti di lavoro che fanno capo alle società per azioni a partecipazione pubblica, che gestiscono servizi pubblici locali, conservano la natura privatistica con conseguente applicabilità delle disposizioni contenute nel d.lgs. n.368 del 2001. Invoca le decisioni del Consiglio di Stato n. 5649 del 2011 e delle SSUU di questa Corte.
19. con il sesto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c. 5 del d. Igs. n. 165 del 2001 in relazione alle clausole 4, 5 e 8 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, agli artt. 1 e 5 del d. Igs. n. 368 del 2001, agli artt. 2, 3, 35 e 41 Costituzione, violazione dell’art. 249 del Trattato CE, per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e la domanda di risarcimento del danno; asserisce che la Corte territoriale ha reso la misura sanzionatoria inefficace e inadeguata in termini di dissuasività e di effettività per prevenire l’illegittimo ricorso ai contratti a tempo determinato e che l’interpretazione dell’art. 36 c. 5 del d. Igs. n. 165 del 2001 che onera il lavoratore di provare il danno subito a seguito dell’illegittimo ricorso ai contratti a termine è illegittima e non conforme all’ordinamento comunitario;
20. ai sensi dell’art. 360 c. 4 cod.proc.civ.
21. con il terzo motivo nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132, 156, 161 cod.proc.civ. e 111 della Costituzione per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sui capi della domanda contenuti nella memoria depositata nel giudizio di primo grado relativi alla “rilevanza economica” del servizio di trasporto pubblico locale svolto dalla C.; deduce la natura dirimente di tale questione e richiama la documentazione allegata all’atto di appello;
22. ai sensi dell’art. 360 c. 1 n, 5 cod.proc.civ.. motivazione insufficiente in ordine alla rilevanza attribuita alla circostanza fattuale della natura della C. spa come società a capitale interamente pubblico (primo motivo); motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione agli artt. 18 e 23 bis del D. L. n. 112 del 2008 (secondo motivo): omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla natura di società esercente un servizio pubblico a rilevanza economica della C. spa come socio maggioritario della C. mobilità Sc.p.a. e al conseguente suo esonero dalla disciplina delle assunzioni mediante procedure concorsuali pubbliche (terzo motivo). Esame dei motivi
23. Come già evidenziato (punto 2 di questa sentenza) la Corte territoriale ha confermato la statuizione del giudice di primo grado,che aveva dichiarato la nullità del termine apposto non in forma scritta al contratto stipulato con l’odierno ricorrente e avente decorrenza dal 14.9.2009 al 14.7.2010.
24. Essa ha anche accertato (punto 3 di questa sentenza) che dalla prova documentale era emerso che la C. spa, datrice di lavoro del ricorrente, è una società a capitale interamente pubblico e non ad azionariato misto e che il M. era stato assunto dalla C. spa rispetto alla quale la C. mobilità srl era del tutto estranea.
25. Le censure formulate ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ. sono inammissibili.
26. Quelle che addebitano alla sentenza insufficienza motivazionale in ordine alla rilevanza attribuita alla natura della C. spa (primo motivo) e insufficienza e contraddittoria motivazione in ordine agli artt. 18 e 23 bis del D, L. n. 112 del 2008 (secondo motivo) sono inammissibile perché l’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 29.1.2013) consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. SSUU 8053/2014, 8054/2014).
27. La denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (terzo motivo) è inammissibile perché il fatto sul quale si sarebbe consumato il vizio di omesso esame non ha portata decisiva in quanto la circostanza che la società Mobilità Sepa è società mista partecipata dalla C. spa non esclude l’applicazione nei confronti di quest’ultima dell’art. 18 c. 1 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008 (“infra”, punti 35 e 36 di questa sentenza).
28. Va anche rilevato che le censure, al di là del titolo delle rubriche e delle prospettazioni sviluppate in ciascuno dei motivi in esame, sollecitano, in realtà, il riesame del merito della causa e la rivalutazione del materiale probatorio, non ammissibili in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011,20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005), in ordine alla natura della C. spa e ai suoi rapporti con la C. mobilità srl.
29. E’ infondata la censura formulata nel terzo motivo, che addebita alla sentenza impugnata omessa pronuncia in ordine alla eccepita natura della C. spa di società esercente “un servizio pubblico a rilevanza economica” e in ordine al conseguente esonero della C. dall’obbligo di applicare le procedure di pubblicità nel reclutamento del personale prima della emanazione del D.P.R. n. 168 del 2010 (censura, come detto, formulata anche ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso).
30. Va osservato che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice sulla domanda o sul motivo di impugnazione ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.
31. Ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa o dell’eccezione fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 17361/2017, 17956/2015, 21612/2013, 20311/2011).
32. Nel caso di specie la Corte territoriale, dopo avere dato conto delle censure formulate dall’appellante nei confronti della sentenza impugnata, ha, come già evidenziato (punti 3 e 24 di questa sentenza), rigettato la domanda sul rilievo che risultava provato che la C. spa era società a capitale interamente pubblico e non ad azionariato misto, che la C. Mobilità srl era estranea alla C. spa, e che, in conseguenza, nei confronti di quest’ultima trovava applicazione l’art. 18 c. 1 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008.
33. Il vizio denunciato, pertanto, deve essere escluso.
34. Tanto precisato, le censure formulate nel primo, nel secondo, nel terzo, nel quinto e nel sesto motivo, nella parte in cui imputano alla sentenza la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 368 del 2001, 35 e 36 del d. Igs. n. 165 del 2001, dell’Accordo Quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE , dell’ art. 249 del Trattato CE , degli artt. 18 e 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla I. n. 133 del 2008, sono infondate in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte in tema di reclutamento del personale delle società partecipate (“infra” punti 39 e sgg. di questa sentenza).
35. Diversamente da quanto opina il ricorrente (secondo motivo), l’art. 23 bis c. 10 lett.a), del d. I. 25.6.2008 n. 112 convertito con mod. dalla L. 6.8.2008 n. 133 n. 112, introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 6 agosto 2008 n. 133, nel testo applicabile “ratione temporis”, si limita a riservare al Governo l’emanazione di uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di prevedere “l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale” e non deroga affatto alla immediata operatività nei confronti delle società a totale partecipazione pubblica, che gestiscono servizi pubblici locali, dei criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001.
36. Poiché è stato accertato (punto 3 di questa sentenza) che la C. spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce il servizio pubblico di trasporto, trova applicazione immediata l’art. 18 del d. d.l. n 112 del 2008, convertito con modifiche dalla I. n. 133 del 2009.
37. Tale disposizione, nel testo applicabile “ratione temporis” (il contratto dedotto in giudizio è stato stipulato il 14.9.2009), risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del d.l. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”.
38. Il comma 2 bis prevede, inoltre, che “le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311”.
39. Questa Corte (Cass. 6818/2018, 3621/2018) ha già osservato che, con la disposizione in commento il legislatore, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono.
40. Le sentenze innanzi richiamate hanno evidenziato che la norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche “connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica” ed ha anche osservato che la giurisprudenza costituzionale distingue la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale l’art. 18 del d.l. n. 112/2008 costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011).
41. Deve, inoltre, osservarsi che, in tema di società partecipate, le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017).
42. Detta ricostruzione sistematica è stata fatta recentemente propria dal legislatore, che all’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2016 (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) ha previsto che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.
43. Quanto ai rapporti di lavoro, l’art. 19 richiama al comma 1 le disposizioni del capo I, 4 titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi, facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, al comma 2 dell’art. 19 impone alle società a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” ed al comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2.
44. Il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilità delle società partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165/2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro giustificazione nella natura del socio unico o maggioritario e negli interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario (Cass. 3621/2018).
45. Si è dato conto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonché dell’evoluzione del quadro normativo perché da entrambi non si può prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione dell’art. 18 del d.l. n. 112/2008 e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di contratti di lavoro a termine.
46. Quanto al primo aspetto, premesso che non può dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, ritiene il Collegio che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determini la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. perché la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente (Cass. nn. 6818 e 3621 del 2018).
47. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, hanno osservato che, in linea generale, occorre tener conto della “tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità …. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”.
48. Hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo” (Cass. SSUU 26724/2017).
49. L’applicazione alla fattispecie in esame del principio di diritto richiamato induce ad escludere che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive possa solo generare responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione.
50. Valgono le considerazioni già espresse da questa Corte in merito al rapporto fra procedura concorsuale ex art. 35 del d.lgs n. 165/2001 e contratto di lavoro, in relazione al quale si è osservato che “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale”(Cass. n. 6818/2018, 3621/2018, 13884/2016).
51. Va, quindi, esclusa la portata innovativa dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175/2016 che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali.
52. Al riguardo, è utile evidenziare che sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti dall’art. 18 del d.l. n. 112/2008 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicché la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).
53. Una volta affermato che per le società a totale partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità.
54. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale.
55. Va, poi, osservato che le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e 7759/2017 hanno solo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dall’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112/2008, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo.
56. Non si ravvisano il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimità costituzionale della normativa per violazione dell’art. 3 Cost.
57. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purché rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C- 53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler).
58. A sua volta la Corte Costituzionale, che come si è già detto in più pronunce ha evidenziato la assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società partecipate, ha escluso che una difformità di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al d.lgs. n. 368/2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’art. 97 Cost. ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003), esigenze che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato art. 18 del d.l. n. 112/2008 (Corte Cost. n. 68/2011).
59. Nei casi in cui si assuma la illegittimità di unico contratto a termine intercorso fra le parti, non rilevano i principi affermati dalla Corte di Giustizia con l’ordinanza del 12 dicembre 2013 in causa C- 50/13, perché la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 CE è applicabile nella sola ipotesi di reiterazione abusiva (Corte di Giustizia 23.4.2009 in cause riunite da C-378/07 a C-380/07, punto 90).
60. Il Collegio, in continuità con l’orientamento già espresso da questa Corte (Cass. 6818/2018, 3621/2018 e nn. 4632, 5315, 5319, 5456, 28253 del 2017), ritiene che nell’ipotesi di ritenuta illegittimità di un unico contratto non possa neppure trovare applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5072/2016, perché l’agevolazione probatoria è stata ritenuta necessaria al solo fine di adeguare la norma interna alla direttiva eurounitaria, nella parte in cui impone l’adozione di misure idonee a sanzionare la illegittima reiterazione del contratto.
61. Ove venga in rilievo, come nella fattispecie dedotta in giudizio, in cui è stata dedotta la illegittimità del termine apposto al contratto stipulato il 14.9.2009 (ricorso pg. 2), non vi è alcuna ragione per disattendere la regola, immanente nel nostro ordinamento e richiamata anche dalle Sezioni Unite, in forza della quale il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che assume di averlo subito.
62. Sono invece estensibili anche alla fattispecie in esame le considerazioni espresse nella richiamata sentenza n. 5072/2016 in ordine alla impossibilità di far coincidere il danno con la mancata conversione, posto che il pregiudizio è risarcibile solo se ingiusto e tale non può ritenersi la conseguenza che sia prevista da una norma di legge, non sospettabile di illegittimità costituzionale o di non conformità al diritto dell’Unione.
63. A detti principi di diritto si è correttamente attenuta la Corte territoriale, che nel respingere la domanda risarcitoria, ha escluso che il danno potesse coincidere con la perdita del posto di lavoro e, precisato che il danno non può mai essere ritenuto “in re ipsa”, ha rilevato che il ricorrente aveva omesso qualsiasi allegazione al riguardo.
64. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
65. Le spese seguono la soccombenza.
66. L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza allo stato dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del c. 1-bis, dello stesso art. 13. (Cass. 7368/2017, 18523/2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.
Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del c. 1-bis, dello stesso art. 13.
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