CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2018, n.14822
Notariato – Sanzioni disciplinari – Violazione del dovere di diligenza e lettura personale dell’atto – Prova per presunzioni ricavata dal numero degli atti stipulati
Fatti di causa
Il Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia, in seguito alle adunanze del 27.7 e del 5.8.2015 chiedeva l’avvio del procedimento disciplinare nei confronti del notaio M. A. per violazione degli art.80 e 147 lettere a), b) e c) della Legge notarile, sul presupposto della violazione degli art.14 lettere a) e b), 31 comma 3 lettere a) e b) e 33 del codice deontologico. In particolare, veniva mossa al notaio la contestazione di aver tenuto una condotta integrante illecita concorrenza in danno degli altri notai, in relazione:
(a) all’indicazione in alcune fatture di una voce “varie ” non dettagliata;
(b) al ricorso a procacciatori di affari cui il notaio avrebbe corrisposto compensi non altrimenti giustificati; (c) a comportamenti frettolosi nella stipula degli atti, determinanti errori di repertoriazione e di indicazione dell’orario nella chiusa. Il Consiglio notarile, ritenuta la sussistenza degli addebiti, richiedeva alla Commissione di Disciplina l’applicazione della sanzione della sospensione per cinque mesi.
All’esito del contraddittorio la CO.RE.DI., con decisione del 7.2.2014, riteneva il notaio responsabile degli addebiti e applicava la sanzione così come richiesta.
Proponevano autonomi reclami avverso tale decisione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e il notaio M. Il Consiglio notarile si costituiva in entrambi i giudizi, che venivano riuniti.
Con la decisione oggi impugnata la Corte di Appello di Roma riteneva innanzitutto inammissibile il reclamo del P.M. in quanto diretto a denunciare solo il difetto di motivazione del provvedimento del CO.RE.DI. Riteneva inoltre inammissibili le deduzioni difensive del Consiglio notarile, nella parte in cui la contestazione delle spese non giustificate era stata estesa (solo innanzi la Corte di Appello) ad oltre 530 fatture, per un totale di € 56.840,22 a fronte di una iniziale contestazione limitata ad un numero minore di documenti, per un totale di € 6.500,00. Riteneva invece ammissibile, perché non violativa del diritto di difesa del notaio, la produzione di due ulteriori fatture relative alla diversa contestazione relativa al ricorso all’opera di procacciatori, oltre alle 4 che costituivano oggetto della contestazione iniziale. Nel merito, la Corte territoriale respingeva i motivi di gravame e confermava il provvedimento impugnato, ritenendo ingiustificata l’indicazione di voci non dettagliate in fattura, dimostrato -anche mediante presunzioni- il ricorso a procacciatori di affari e documentata la superficialità nell’esecuzione della prestazione, alla luce del numero
di atti risultanti in determinate giornate e della loro collocazione temporale, come risultante dal repertorio e dal contenuto degli atti stessi.
La Corte di Appello respingeva inoltre la richiesta di applicazione, in favore del notaio, del beneficio del ravvedimento operoso e delle circostanze attenuanti di cui all’art.144 della Legge notarile, ritenendo a tal fine insufficiente la restituzione, operata dal M. in favore dei clienti, delle somme non giustificate contenute nelle fatture oggetto della contestazione.
Interpone ricorso per la cassazione di detta decisione il notaio M., affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso il Consiglio notarile, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo, al quale resiste il notaio con ulteriore controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 2700 c.c. e 24 Cost., nonché degli art. 31 comma 1 lettere a) e c) del codice deontologico e 147 comma 1 lettera b) della legge notarile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Ad avviso del M., la Corte territoriale avrebbe deciso in difetto di prova degli addebiti contestatigli e con modalità idonee a compromettere il suo diritto di difesa sotto due profili distinti: (1) innanzitutto, attribuendo tout court fede privilegiata al verbale di audizione in sede disciplinare, senza considerare che detta fede non si estenderebbe all’intrinseca verità delle dichiarazioni riportate nell’atto pubblico né alla loro effettiva corrispondenza alle intenzioni dell’autore; (2) in secondo luogo, in quanto la Corte territoriale non avrebbe considerato che le fatture emesse da M. P. Srl nei confronti del notaio M. sarebbero relative ad attività preparatorie rispetto alla stipula degli atti notarili assolutamente analoghe a quelle svolte da Asnodim per conto del Consiglio notarile; il ricorrente sostiene che se non è illecita l’opera di A., non lo può essere neanche quella di M. P. Il motivo è infondato.
Per quanto riguarda il verbale di audizione, va osservato che la Corte territoriale non si è limitata ad affermare la veridicità del contenuto del verbale stesso alla luce della fede privilegiata che lo assiste, ma ha fornito una motivazione articolata, nel cui ambito ha considerato anche la circostanza che il P.M. aveva chiesto in data 16.12.2016 l’archiviazione sull’esposto presentato dal notaio, “teso a denunciare il carattere ritorsivo della iniziativa disciplinare del Consiglio” (cfr. pag. 7 della decisione impugnata). Da tale circostanza, la Corte di appello ha evidentemente tratto argomenti di prova circa l’attendibilità del contenuto del verbale di audizione, posto che la diversa versione proposta dal M. in sede penale non aveva, per l’appunto, trovato conferma.
In relazione alle fatture emesse da M. P. Srl, invece, va osservato che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’esistenza del procacciamento di affari sulla base di una serie di convergenti indizi, in larga parte indipendenti dalle fatture anzidette. In particolare, la Corte di appello dà atto (cfr. pag.6 della sentenza) che il notaio si era difeso affermando di aver ricevuto personalmente gli incarichi dagli inquilini; che la vendita in blocco di immobili pubblici costituisce operazione unitaria in relazione alla quale è opportuno il coordinamento e il coinvolgimento di un solo notaio; che l’inoptato di dette cessioni veniva trasferito a C. C., che l’aveva acquistata tramite la sua controllata C. G. P. Srl, sicché C., non essendo terza rispetto all’operazione, non poteva rivestire il ruolo di procacciatrice di affari; ed infine, che le fatture di M. P. Srl si riferivano ad attività di supporto e di preistruttoria collegate alle decine di rogiti di cui si compone la predetta vendita in blocco. Il giudice territoriale ha evidenziato dettagliatamente tutti i riferiti argomenti, deducendo in dettaglio (cfr. pag.7 della sentenza): (1) che l’acquirente della quota inoptata della dismissione in blocco era C. G. I. Srl, soggetto che – pur partecipato da C. per il tramite di Latina G. I. Srl – era tuttavia formalmente diverso da C.; (2) che il fatto che la canalizzazione degli incarichi avvenga per il tramite di un soggetto terzo ovvero di un acquirente di taluni cespiti non muta la sostanza della vicenda e non esclude la sussistenza dell’addebito, posto che la norma disciplinare mira ad evitare comunque il ricorso ad opera di induzione alla scelta del notaio, a prescindere dalla posizione di colui che la svolge ed ancorché essa venga resa a titolo gratuito; (3) che, nel caso specifico, la canalizzazione degli incarichi sul notaio M. era avvenuta tramite l’ente di inquilinato; (4) che a nulla rilevava la circostanza che l’incarico fosse stato conferito al notaio dai singoli inquilini, poiché tale elemento (peraltro necessitato, attesa la natura personale della prestazione di cui si discute) non esclude l’esistenza di una precedente attività di induzione da parte di C.; (5) che i principi fissati dal codice deontologico a tutela della concorrenza tra i notai non ammettono deroga neanche in presenza di una operazione di vendita in blocco di beni di enti pubblici, posto che in ogni caso la designazione del notaio deve essere il frutto di una libera e incondizionata scelta del contraente; (6) che i detti principi non arretrano neanche di fronte agli interessi pubblici sottesi alle vendite in blocco, posto che è sempre fatta salva, anche in presenza di convenzioni tra Distretti notarili ed Enti che procedono alla dismissione in blocco dei loro beni, la facoltà del singolo acquirente di designare tempestivamente un notaio di sua fiducia al posto del professionista suggerito; (7) che tali inalienabili principi di libertà della scelta del notaio non sono derogati neanche dalle esigenze organizzative sottese alla vendita in blocco; (8) che l’esistenza del procacciamento vietato si desume dalle fatture emesse da M. P. Srl, sia perché questa società ha rapporti di cointeressenza con C. C., che la indicò (circostanza, questa, che la Corte da per ammessa dal notaio M.), sia perché le fatture non sono dettagliate e quindi non è possibile individuare le attività preparatorie che M. P. Srl avrebbe, in ipotesi, svolto per conto del notaio M. e verificare la corrispondenza dei relativi importi alle prestazioni effettivamente rese.
Tutti questi elementi, considerati evidentemente in modo unitario dalla Corte di appello nell’ambito dell’articolata motivazione del rigetto del gravame proposto dal notaio M., non sono adeguatamente censurati dal motivo in esame, che si limita a proporre un parallelismo tra l’attività che sarebbe stata svolta da M. P. Srl nel caso specifico e quella che invece verrebbe offerta a tutti in notai dalla A.: di talché, secondo il ricorrente, se la seconda è lecita, deve esserlo anche la prima. Il ragionamento non appare condivisibile, da un lato in quanto il parallelo di cui anzidetto non viene affatto considerato dalla Corte di appello che, come detto, è pervenuta alla sua decisione di rigetto sulla scorta di un iter logico-argomentativo assolutamente indipendente e quasi per nulla attinto dal motivo; e, dall’altro lato, posto che la valutazione che il giudice è tenuto ad operare attiene necessariamente al caso specifico che gli viene sottoposto e non si può risolvere nell’astratto richiamo della liceità di altro, e differente, contesto. Peraltro, giova osservare che nel caso di specie il notaio M., dopo aver proposto la similitudine di cui si discute, non si è curato di dedurre, né di documentare, la pretesa corrispondenza delle attività in concreto svolte da M. P. Srl e da A.: con il che il suo assunto si risolve in una mera asserzione, sfornita di qualsivoglia riscontro a livello contenutistico.
Inoltre, il Collegio osserva che dall’attenta lettura della ordinanza impugnata (cfr. pag.9) si rileva che la CO.RE.DI. prima e la Corte d’appello poi hanno anche accertato una concorrente attività di procacciamento di affari da parte di Ideale Immobiliare, sulla base di alcune fatture emesse da tale società (in particolare, le nn.78, 80, 84 e 87 del 2014) per totali € 3.500, riferite a sette diversi atti. A queste fatture si aggiungono le due ulteriori, ritenute ammissibili dalla Corte territoriale, n.41 e 49 del 2014, relative al bimestre giugno-luglio 2014 di € 500 ciascuna, relative ad un atto di compravendita, nonché la fattura n.30 del 2014 di € 1.000 relativa a due atti del 31.5.2014. Nulla viene dedotto dal ricorrente circa l’attività di procacciamento svolta da Ideale Immobiliare, onde l’ordinanza va tenuta ferma anche sullo specifico punto. Ed inoltre, dall’esame complessivo del rapporto tra detta società ed il notaio M., così come emergente dalla sentenza impugnata, risulta che in concreto la sussistenza del procacciamento sia stata accertata sulla base di fatture emesse per totali € 5.500 (€ 3.500 – € 500 + € 500 + € 1.000) in riferimento ad un totale di 11 atti: l’esatta determinazione di un importo fisso per ciascun atto (€ 500) è ulteriore elemento che il giudice territoriale ha evidentemente considerato ai fini della sua decisione, e che non risulta in alcun modo attinto dal motivo. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c., degli artt. 14 comma 1 lettera b) del codice deontologico, dell’art. 147 comma 1 lettera b) della legge notarile, nonché dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Secondo il ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nel non considerare che la personalità della prestazione non è esclusa dall’eventuale svolgimento non contestuale di tutte le prestazioni tipiche del ruolo del notaio. Inoltre, la Corte avrebbe compromesso il diritto di difesa del notaio non ammettendo i capitoli di prova finalizzati proprio a dimostrare l’assicurazione della personalità della prestazione, in tal modo trasformando una presunzione semplice in una piena prova. Inoltre, la Corte di merito avrebbe errato nel prendere ad esempio le due giornate del 25 giugno 2014 e del 29 luglio 2014, senza considerare la giurisprudenza della S.C che ammette Pirrilevanza, ai fini della prova della frettolosa esecuzione della sua prestazione, dell’elevato numero di atti stipulati in ridotti margini di tempo.
Anche in questo caso, il motivo non coglie nella sua interezza l’articolato ragionamento fatto proprio dalla Corte di appello: quest’ultima infatti ha respinto il gravame del M. rilevando nell’ordine (cfr. pag.10 della sentenza impugnata): (1) che nei periodi esaminati dagli organi disciplinari (giugno-luglio 2014 e novembre- dicembre 2014) era stata riscontrata la “incongmen^a del dato temporale con il numero redatto di atti”; (2) che in particolare nelle due giornate- campione del 26 giugno e del 29 luglio si erano registrati, rispettivamente, sei atti in sessanta minuti (nella prima) e 15 mutui e tre compravendite (nella seconda); (3) che se l’elevato numero di atti non costituisce ex se indice di frettolosità, ciò nondimeno la stessa S.C ha stabilito che “il notaio ha pur sempre l’obbligo di assistere anche nella fase dell’atto le parti chiarendo in sede di lettura ogni dubbio richiesto dalle medesime, sicché la frettolosità del notaio può essere presuntivamente dedotta quando il tempo dedicato alla stipula dell’atto non è neppure sufficiente alla lettura dell’atto stesso e in tal caso è onere del notaio provare la corretta esecuzione della prestazione (4) che tale onere non era stato assolto, nello specifico, dal M. posto che i capitoli di prova attenevano alle attività preparatorie e di identificazione delle parti, le quali non possono incidere significativamente sui tempi della stipula; (5) che inoltre i capitoli dedotti dal notaio erano valutativi, e quindi inammissibili, per la parte in cui si riferivano alla correttezza della prestazione da quegli resa in concreto.
Anche in questo caso, il ricorrente non coglie appieno l’articolato ragionamento della Corte territoriale e il motivo non appare meritevole di accoglimento. Peraltro, detto ragionamento appare convincente, in quanto “La prova che il notaio sia venuto meno al dovere di diligenza e di lettura personale dell’atto può essere desunta in via presuntiva anche semplicemente dal numero degli atti rogati, quando esso sia tale che il tempo teoricamente dedicato alla formazione di ciascun di essi non sia neppure sufficiente a dame integrale lettura “(Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 28023 del 21/12/2011, Rv. 620943).
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 144 comma 1 della legge notarile, 14 comma 1 lettera a) del codice deontologico, 147 comma 1 lettere b) e c) della legge notarile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., perché la Corte di appello non avrebbe considerato il ravvedimento operoso del notaio e non gli avrebbe concesso le attenuanti previste dall’art. 144 comma 1 della legge notarile nonostante il fatto che egli si era adoperato per eliminare le conseguenze dannose del fatto addebitatogli, restituendo ai propri clienti le somme esposte nelle fatture come “spese varie” e non dettagliate.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 147 comma 1 lettera a) della legge notarile e 24 Cost. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. perché la Corte territoriale non avrebbe considerato la natura sussidiaria della disposizione di cui al citato art. 147 comma 1 lettera a) della legge notarile, per effetto della
quale lo specifico addebito relativo alla lesione del decoro e prestigio della classe notarile potrebbe essere contestata soltanto in assenza di diversa specifico addebito.
Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 144 comma 1 della legge notarile e dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., perché il giudice di merito avrebbe dovuto considerare quantomeno il ravvedimento operato dal notaio in relazione alle somme restituite ai clienti, posto che la norma fa riferimento al “fatto addebitato” e non invece all’addebito.
I tre motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Va innanzitutto osservato che, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello nell’impugnata sentenza, l’art. 14 del codice deontologico dei notai sanziona la mancata e documentata specificazione di anticipazioni, onorari, diritti e compensi, ovvero l’emissione irregolare di fatture a fronte di prestazioni rese. La norma, nel prevenire qualsiasi condotta ispirata alla non corretta fatturazione, non è diretta a tutelare soltanto la trasparenza nei confronti del cliente, ma anche quella verso il Fisco e, indirettamente, la concorrenza tra i notai, posto che l’erronea appostazione in fattura di una determinata somma ad onorari o a spese comporta, rispettivamente, l’applicazione ovvero l’esenzione dell’I.V.A., con conseguente effetto sull’importo finale fatturato e riflessi sul corretto svolgimento della concorrenza all’interno della classe notarile. Il ravvedimento quindi, quand’anche fosse configurabile -come argomenta il ricorrente- in riferimento alla sola parte della condotta relativa alla fatturazione, e non invece – come ritiene la Corte di appello – all’intero ambito dell’ampia contestazione mossa al notaio M., dovrebbe quantomeno esaurire l’area di offensività della specifica condotta, e quindi riferirsi non soltanto al rapporto tra notaio e clientela, ma anche a quello diverso tra notaio e fisco.
E’ assorbente rilevare che con riferimento al secondo aspetto, il ricorrente non ha dedotto di aver proceduto all’annullamento delle fatture erroneamente emesse, all’emissione di nuove fatture corrette ed al pagamento delle imposte dirette e indirette dovute all’Erario.
A fronte delle esposte considerazioni, non è possibile ritenere integrata l’ipotesi della completa eliminazione del pregiudizio.
Sotto altro – e conclusivo – profilo va osservato che la condotta complessivamente posta in essere dal notaio M. costituisce un illecito plurioffensivo: la Corte di appello ha dato rilievo (cfr. pag.12 della sentenza impugnata) alla natura non occasionale della violazione, al numero delle infrazioni commesse, agli effetti di concorrenza sleale verso gli altri notai, complessivamente intesi, che la scorretta fatturazione comporta, alla sottrazione – sul piano fiscale – di componenti di reddito all’area dell’imposizione I.V.A., alla lesione del prestigio del singolo notaio e del decoro dell’intera classe notarile, alla percezione in ultima analisi di somme indebite soggette a ripetizione (con conseguente applicazione anche dell’art.80 della legge notarile), alla mancata dimostrazione dell’effettiva esistenza di spese idonee a giustificare le voci generiche in concreto esposte nelle fatture contestate, ed infine all’irrilevanza della modestia del singolo importo, considerato che l’importo totale percepito dal notaio contra legem ammonta, nei due bimestri oggetto di indagine, ad oltre € 6.000. Tutte queste considerazioni confermano, appunto, la natura plurioffensiva della condotta contestata al notaio M. e la non completa riparazione rappresentata dalla sola restituzione delle somme alla clientela.
La Corte di appello ha quindi correttamente escluso i benefici invocati dal M. e la statuizione merita di essere confermata.
L’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, con il quale il Consiglio notarile lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativamente alla mancata integrale riparazione del danno da parte del notaio M. rimane evidentemente assorbito nel rigetto del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale. Stesso dicasi per l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale condizionato, che è stata sollevata dal M. nel controricorso depositato in resistenza in relazione alla pretesa assenza di soccombenza in capo al ricorrente incidentale. Eccezione che, in ogni caso, non è fondata, posta la natura condizionata dell’impugnazione incidentale.
Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1 comma 17 della Legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del Testo Unico di cui al D.P.R n. 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale, dichiarando assorbito quello incidentale condizionato.
Condanna il ricorrente principale al pagamento in favore del controricorrente delle spese del grado, che liquida in € 5.200 di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R n. 115/2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della Legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1- bis dello stesso art. 13.
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