CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2021, n. 15789
Fallimento ed altre procedure concordatarie – Domanda di concordato – Liquidazione del compenso del commissario giudiziale
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Latina, con decreto del 24 luglio 2017, dichiarava inammissibile la domanda di concordato presentata da Industria A.O.G. & C. s.n.c.
2. Il medesimo Tribunale riteneva in seguito di non poter provvedere sulla domanda di liquidazione del compenso presentata dal Dott. E.R., già nominato commissario giudiziale ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., dato che la procedura concordataria risultava oramai chiusa, con la conseguente decadenza dei suoi organi.
3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell’istanza di liquidazione, depositato in data 8 gennaio 2018, ha proposto ricorso il Dott. E.R. prospettando due motivi di doglianza.
L’intimata Industria A.O.G. & C. s.n.c. non ha svolto difese.
La sesta sezione di questa Corte, inizialmente investita della decisione della controversia, ha rimesso la causa a questa sezione per la trattazione in pubblica udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 165 l. fall., perché il Tribunale, benché titolare di una competenza liquidatoria esclusiva, ha negato al commissario giudiziale il diritto al compenso sul falso presupposto che la dichiarata inammissibilità della proposta concordataria avesse fatto venir meno tale potere, provocando la decadenza degli organi della procedura, e malgrado non fosse stata concessa al medesimo alcuna preventiva opportunità di presentazione della richiesta di liquidazione del suo compenso.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa valutazione del fatto che il compenso richiesto era quello finale, come tale liquidabile solo una volta intervenuta la definizione della procedura.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono ambedue fondati.
5.1 Il provvedimento impugnato, avendo rifiutato di provvedere sul compenso dovuto al commissario giudiziale, ha carattere definitivo e decisorio ed è quindi ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost..
5.2 L’art. 165, comma 2, l. fall. stabilisce che “si applicano al commissario giudiziale gli artt. 36, 37, 38 e 39”.
Quest’ultima norma, con riferimento al compenso del curatore, prevede, al comma 2, che “la liquidazione del compenso è fatta dopo l’approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l’esecuzione del concordato”.
Il successivo capoverso prescrive, inoltre, che “se nell’incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti”.
5.3 La prima regola che si ricava da questo complesso di norme – indicata espressamente per il fallimento ed applicabile anche al concordato, in ragione del rinvio previsto dall’art. 165, comma 2, l. fall. e dell’assenza di ragioni di incompatibilità – sta nel fatto che la liquidazione del compenso avviene “al termine della procedura” e quindi presuppone l’avvenuta conclusione di tutte le attività di pertinenza del curatore (nel fallimento) o del commissario giudiziale (nel concordato).
E ciò perché solo quando l’intera attività si è conclusa il Tribunale è in grado di apprezzare, in termini quantitativi e qualitativi, il carattere dell’opera professionale da retribuire e liquidare in via definitiva il compenso dovuto.
Per converso, quando tutte le attività non sono terminate è possibile procedere alla liquidazione soltanto di acconti.
5.4 Nel suo sviluppo fisiologico “la procedura di concordato preventivo” – a mente dell’art. 181 I. faIl. – “si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’art. 180”.
Il che tuttavia non significa che il commissario giudiziale cessi in tale momento il suo compito, essendo deputato a sorvegliare l’adempimento del concordato una volta esaurita la procedura, ai sensi dell’art. 185, comma 1, l. fall..
5.5 Nel suo sviluppo patologico la procedura concordataria trova termine invece a seguito di declaratoria di inammissibilità, ex art. 162, comma 2, l. fall., di revoca dell’ammissione al concordato, ai sensi dell’art. 173 l. fall., o di mancata omologa, a mente dell’art. 180 I. faIl.
In tutte queste ipotesi però (ad eccezione del caso in cui la declaratoria di inammissibilità ex art. 162, comma 2, l. fall. avvenga in applicazione dell’art. 179 l. fall.) il commissario giudiziale non è in grado di prevedere con certezza l’esito della statuizione del Tribunale e, quindi, di presentare la propria richiesta di liquidazione del compenso prima del termine della procedura.
5.6 Se ne ricava che tanto in caso di evoluzione fisiologica, quanto in ipotesi di sviluppo patologico non è data la possibilità al commissario giudiziale di richiedere la liquidazione del compenso prima della chiusura della procedura, nell’un caso perché il suo compito non è concluso, nell’altro perché non gli è consentito prevedere gli esiti delle statuizioni del Tribunale.
Per di più non si può non osservare come nel concordato preventivo, a differenza che nel fallimento, non vi sia una norma quale l’art. 117 l. fall. che preveda la liquidazione del compenso del commissario prima della chiusura della procedura.
5.7 Rimane allora da verificare quale significato possa essere attribuito al rinvio a una norma che prevede la liquidazione “al termine della procedura” nell’ambito di un procedimento con simili caratteristiche.
Questo collegio, pur consapevole dell’esistenza di arresti di questa stessa Corte in termini dissonanti (Cass. 16269/2016), ritiene che il rinvio fatto dall’art. 165, comma 2, l. fall.all’art. 39 l. fall.
Possa assumere un senso solo laddove si ritenga che lo stesso implichi un’ultrattività delle funzioni del Tribunale dopo la chiusura del concordato rispetto alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale.
Ultrattività che sussiste non solo ove il concordato omologato importi una successiva esecuzione ma, in linea generale, per tutte le ipotesi in cui non si sia provveduto prima dell’esaurirsi della procedura, per qualsiasi causa (mancata omologa, dichiarata inammissibilità, revoca dell’ammissione), alla liquidazione del compenso.
Diversamente opinando (e volendo valorizzare, come ha fatto il provvedimento impugnato, il venir meno degli organi della procedura a seguito della sua chiusura), si relegherebbe il potere di liquidazione del Tribunale, per effetto della necessità che essa avvenga al termine dell’attività, a un novero di situazioni del tutto marginali, con esclusione tanto dei casi di sviluppo (esecutivo) fisiologico del concordato, quanto delle ipotesi di sviluppo patologico più frequenti, lasciando a un giudice estraneo alla procedura (il giudice delegato alla formazione del passivo o quello ordinario, a seconda che sia stato dichiarato o meno il fallimento), e quindi non a diretta conoscenza dell’andamento del procedimento, il compito di provvedere alla liquidazione.
Sul punto andrà fissato il seguente principio: in tema di procedura concorsuali, il rinvio compiuto dall’art. 165, comma 2, all’art. 39 l. fall. – il cui terzo comma prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga “al termine della procedura” – comporta che, a seguito della chiusura – per qualsiasi causa – della procedura concordataria, il Tribunale competente sulla regolazione del concorso, nonostante la sua formale decadenza, abbia ancora il potere di provvedere alla liquidazione del compenso dovuto al commissario giudiziale, una volta che tutte le sue attività si siano concluse.
6. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Latina, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Latina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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