CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 luglio 2020, n. 14026
Dazi doganali antidumping – Accertamento – Maggiori somme da versare – Vizi formali e procedimentali – Sanzioni
Fatti di causa
La s.r.l. I.I.S. impugnava innanzi alla CTP di Milano l’avviso di rettifica d’accertamento N.RU/34064 del 10.06.2013 e l’avviso di irrogazione sanzioni N.278100-711-2013, con il quale l’Ufficio delle Dogane di Milano 2 aveva richiesto il pagamento di maggiori dazi doganali antidumping, nella misura del 23,6% applicabile alle merci provenienti da Taiwan anziché quello preferenziale spettante per le importazioni dalle Filippine, ed una pari somma per sanzioni, asseritamente dovute in relazione alla bolletta d’importazione definitiva Reg.4/S n.4232/N del 16.09.2010; nonché l’avviso di rettifica N. 34049/RU del 10.06.2013, con contestuale provvedimento di irrogazione sanzioni N.278100-709-2013, emesso in relazione a revisione a posteriori dell’accertamento su successiva analoga operazione, documentata nella bolletta d’importazione definitiva Reg.4/S n. 1429/E dell’18.11.2010; il tutto per la complessiva somma di €.57.914,55, oltre l’importo delle sanzioni. Per quanto di interesse nella presente fase, la ricorrente deduceva carenza di prova e motivazione circa l’effettiva origine della merce ed i presupposti per l’applicazione del dazio, la sussistenza della propria buona fede, l’inapplicabilità delle richieste sanzioni, nonché una serie di vizi formali e procedimentali.
Nel costituito contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane di Milano, la CTP adita accoglieva il ricorso ed annullava gli atti impugnati con sentenza N. 8729/21/2015, accogliendo la tesi della carenza probatoria, anche per assenza del rapporto OLAF, in merito al presupposto della provenienza della merce importata.
L’Agenzia soccombente proponeva appello, al quale resisteva la Società importatrice, e la CTR della Lombardia, con la sentenza oggetto del presente ricorso, ha respinto il ricorso, ritenendo assorbite le questioni riproposte dalla Società, ed ha compensato le spese del grado: manifestata condivisione delle conclusioni raggiunte dai primi Giudici circa l’insufficienza della prova prodotta dall’Agenzia circa la non provenienza della viteria dalle Filippine, o quanto meno circa la mancata esecuzione in quel Paese di lavorazioni sostanziali su semilavorati provenienti da Taiwan, la CTR, preso atto della produzione in appello dei rapporti OLAF, ha rilevato che “I report parziali OLAF fanno solo cenno del presunto trasbordo Cano/Tapu, costituiscono meri indizi o sospetti ma neanche quello finale del 9.12.2015 contempla, pur nella fase della conclusione delle indaginiuna prova piena da utilizzare nei giudizi nazionali D’altro canto i documenti posti a base degli accertamenti di revisione doganale provano che la merce aveva subito una lavorazione nelle Filippine come attestato dai certificati di origine (codice W ossia worked nelle Filippine) trattandosi di prodotti trasportati da Taiwan come semilavorati acquistati da Everstep e rivenduti a Cano Corporation che li ha ceduti, come prodotti finiti nelle Filippine, alla Italbolt. anche il fatto che le Autorità Filippine hanno revocato i FORM A alle società filippine – ma solo nel 2013 e quindi successivamente non può che costituire un labile indizio…”.
L’Agenzia soccombente ricorre per cassazione sulla base di unico motivo, al quale resiste la Società Italbolt con controricorso, nel quale ripropone a sua volta tutte le questioni rimaste assorbite.
All’esito della pubblica udienza del 17 maggio 2019, udite le conclusioni del Procuratore Generale ed i difensori delle parti, come riportate in epigrafe, la Corte ha pronunciato sentenza.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 9 Reg. CEE n. 1073/1999 e violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: la CTR Lombardia, “non avendo riconosciuto alle risultanze delle indagini OLAF la piena valenza probatoria riconosciuta dalla…normativa dell’Unione”, sia in quanto richiamata nell’atto di accertamento, sia in virtù della diretta acquisizione agli atti del giudizio ed integrata con la produzione in secondo grado, ha negato l’efficacia probatoria privilegiata riconosciuta dagli artt. 9 e 10 del menzionato Regolamento, quella cioè di costituire prova presuntiva dei fatti accertati ed invertire l’onere della prova contraria a carico del contribuente, e ribadita dall’univoco indirizzo interpretativo di questa Corte, formatosi con numerose pronunce, delle quali la ricorrente riporta le massime ed alcuni brani (pagg.11-16 del ricorso). Conseguentemente tale errore applicativo della norma, avrebbe determinato altresì violazione dei principi generali in tema di onere della prova sanciti nell’art. 2697 c.c., avendo fatto carico all’Agenzia della mancata prova delle condizioni per l’applicazione dei maggiori dazi, prima fra tutte la provenienza originaria delle merci importate da Taiwan, Paese assoggettato a dazi antidumping.
A tali motivi la controricorrente replica contestando l’interpretazione dell’art. 9 prospettata dalla ricorrente, e deduce che l’efficacia probatoria privilegiata competerebbe esclusivamente alle sole relazioni finali dell’OLAF, purché siano “redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato…interessato”; laddove quelle prodotte in giudizio non avrebbero alcuna forma paragonabile a quella dei PVC redatti dagli organi verificatori italiani, né sarebbero state rispettate le norma di garanzia previste per i contribuenti (avvisi e consegna di copia). Inoltre secondo la ricorrente gli atti OLAF prodotti in giudizio riporterebbero solo meri sospetti del contestato transhipment, non conterrebbero accertamenti circa la provenienza delle merci da Taiwan, che risulterebbe soltanto dalle dichiarazioni delle società filippine che hanno acquistato e rivenduto le merci, peraltro dichiarando di aver acquistato semilavorati (semi finished fastners) e rivenduto prodotti finiti (full thread fastners), in accordo con i certificati di origine riportanti la sigla W (worked); non indicherebbero i presupposti per l’applicazione dell’aliquota antidumping da applicare; infine indicherebbero la revocabilità delle agevolazioni fruite dalle ditte filippine (Cano e Tapu), una volta accertato il transhipment ed ove le fatture e polizze di carico riportino la dizione “finished SSF”; sicché, in assenza di un esame di compatibilità anche astratta (mediante codici) tra semilavorati e prodotti finiti, le relazioni non avrebbero assolutamente provato il transhipment. Deduce infine che, pur negando la lavorazione nelle Filippine, in assenza di prova certa sulla provenienza, l’Agenzia avrebbe dovuto applicare il dazio generico per il Paesi terzi.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
E’ noto che l’art.9 Reg. CEE n. 1073/1999 (sostanzialmente identico l’odierno art. 11 Reg. CEE n. 883/2013) prescrive che “1. Al termine di un’indagine, l’Ufficio redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’Ufficio sui provvedimenti da prendere.
2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse».
La corrente interpretazione fornita da questa Corte circa la valenza probatoria di tali documenti ispettivi (recentemente ribadita da Cass. sez. V 21.03.2019 n. 7993) è che, salva la prova piena e privilegiata dei fatti accaduti alla presenza degli operanti o dagli stessi direttamente percepiti e constatati, “gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1073 del 1999 hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria” (Cass. sez. V 21.04.2017 n. 10118; Cass. sez.V 27.07.2012 n. 13496; Cass. sez.V ord. 2.03.2009 n. 4997; Cass. sez.V 24.09.2008 n. 23985); e gli stessi accertamenti “ben possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo; omissis sono inoltre utilizzabili quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF anche i documenti acquisiti e la comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso delle indagini espletate, compresi i verbali delle operazioni di missione” che, siccome contenenti elementi utili, siano stati trasmessi alle autorità nazionali (Cass. sez.V 8.03.2013 n.5892; Cass. sez.V 3.08.2012 n.14036; Cass. sez.V 27.07.2012 n.13496).
Orbene, i giudici sia di primo che di secondo grado hanno affermato, in punto di prova del transhipment di prodotti di viteria in acciaio provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese nel porto franco di Subic Bay nelle Filippine, che “I report parziali OLAF fanno solo cenno del presunto trasbordo Cano/Tapu costituiscono meri indizi o sospetti ma neanche quello finale del 9.12.2015 contempla, pur nella fase della conclusione delle indagini, una prova piena da utilizzare nei giudizi nazionali”‘, aggiungendo nel capoverso conclusivo, che “anche il fatto che le autorità filippine hanno revocato i Form A alle società filippine – ma solo nel 2013 e quindi successivamente di cui è causa – non può Costituire un labile indizio e non certo una prova secondo i canoni indicati nell’art. 2697 c.c.”.
Tali affermazioni violano sotto due profili i principi giuridici che questa Corte ha ripetutamente affermato in punto di valore probatorio dei rapporti ispettivi OLAF e dei documenti e relazioni dagli stessi utilizzati o elaborati. Sotto un primo profilo affermare che sia i rapporti preliminari che quello finale OLAF, nella specie sopravvenuto in corso di giudizio e ritualmente prodotto in secondo grado, non costituiscono prova piena dei fatti in essi accertati non comporta che essi non abbiano alcuna efficacia probatoria, e precisamente quell’efficacia di prova presuntiva attribuita loro dalla giurisprudenza nazionale sopra citata ed invocata dall’Agenzia ricorrente, sufficiente a sostenere l’avviso impugnato, salva la possibilità per la Società contribuente di fornire prova contraria alla tesi dell’operazione elusiva del regime doganale restrittivo. Per altro aspetto la CTR, degradando quelle risultanze a meri sospetti o indizi privi di significatività, non corroborabili neppure alla stregua degli ulteriori accertamenti effettuati delle successive revoche dei certificati Form A alle imprese importatrici filippine ritenute responsabili di aver emesso le false attestazioni di trasformazione dei prodotti di viteria semilavorati importati dalla Cina, ha negato che a quei verbali e documenti possa essere attribuita alcuna valenza probatoria, escludendo persino l’efficacia di presunzione legale semplice, determinante l’inversione a carico dell’importatrice dell’onere probatorio in ordine ad elementi fattuali o logici idonei a contrastare od escludere la tesi del transhipment, così contravvenendo alla regola di giudizio espressa nel co. 1 dell’art. 2729 c.c. e, di riflesso, violando il principio fondamentale in tema di onere della prova sancito nell’art.2697 c.c..
E’ ovvio poi che nell’attribuire l’efficacia probatoria appropriata il Giudice debba tener conto del principio, di recente ribadito dalla citata Cass. n. 7993/2019, per il quale i verbali OLAF sono assimilabili ai PVC, la cui valenza probatoria è “diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale ; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio”.
La stessa controricorrente ha implicitamente riconosciuto, almeno in linea di principio, la valenza indiziaria dei reports e dei documenti OLAF acquisiti, contestandone l’utilizzabilità ed opponendo valutazioni, come sopra riassunte, circa il contenuto degli stessi, peraltro a suo dire validamente contrastata dagli stessi documenti allegati ai reports (pagg.12 segg. del controricorso); valutazioni, tuttavia, che la CTR ha totalmente pretermesso in ragione della nulla valenza probatoria attribuita ai predetti verbali e documenti, i quali invece dovranno costituire oggetto di autonomo esame, unitamente all’intero contesto probatorio legittimamente acquisito in giudizio, alla luce dei principi ribaditi in accoglimento del ricorso dell’Agenzia.
Con l’accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza deve essere cassata ed il giudizio deve essere rimesso alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà la controversia provvedendo altresì sulle ulteriori eccezioni dell’odierna controricorrente, ove ritualmente riproposte nel corso del giudizio, nonché sulle spese anche della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia innanzi alla CTR della Lombardia in diversa composizione per la decisione anche in ordine alle spese della presente fase di legittimità.
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