CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 maggio 2018, n. 10906
Fallimento del datore di lavoro – Ammissione allo stato passivo – Accoglimento – Adeguata prova delle pretese creditorie – Ricorso inammissibile – Difetto di specifica indicazione del fatto storico asseritamente omesso
Fatti di causa
Con decreto dell’11 giugno 2013, il Tribunale di Vasto, in accoglimento dell’opposizione proposta da G. S. avverso lo stato passivo del Fallimento G. P. s.n.c., dal quale era stato escluso per difetto di adeguata prova delle pretese creditorie insinuate, lo ammetteva per l’intero credito insinuato di € 100.774,36, a titolo di differenze retributive e di T.f.r., oltre rivalutazione monetaria fino alla data di esecutività dello stato passivo ed interessi legali fino alla progressiva vendita dei mobili in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis n. 1 c.c. e per gli interessi maturati fino all’annata anteriore a quella in corso alla data del fallimento in via chirografaria, ai sensi dell’art. 2749 c.c.
Preliminarmente esclusa l’inammissibilità del ricorso in assenza di osservazioni del creditore al progetto di stato passivo, siccome sua mera facoltà, nel merito, sulla scorta delle risultanze dei verbali delle dichiarazioni testimoniali assunte nel giudizio del lavoro interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento della datrice resistente, il Tribunale riteneva provati la riconducibilità delle mansioni di responsabile capo squadra svolte da G. S., alle dipendenze di G. P. s.n.c. dal 9 novembre 1998 al 12 dicembre 2003 e dal 7 maggio all’ 11 ottobre 2004, al IV livello del CCNL Edilizia Industria, in luogo del III attribuitogli e il maggiore orario lavorativo prestato rispetto a quello retribuitogli. Ed esso ne liquidava l’ammontare nella misura richiesta, in base agli analitici conteggi allegati, non specificamente contestati.
Avverso tale sentenza la curatela fallimentare, con atto notificato il 1° agosto 2013, proponeva ricorso per cassazione con due motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente deduce omessa e insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, anche in relazione all’art. 116 c.p.c., per la parziale utilizzazione, nell’accertamento della superiore qualifica e del maggiore orario di lavoro svolto e nella conseguente liquidazione dell’entità del credito, delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio davanti al giudice del lavoro interrotto per effetto del fallimento della società datrice, senza neppure completamento dell’istruzione probatoria e sulla base di dichiarazioni generiche e scarsamente attendibili dei testi specificamente indicati, né un’adeguata giustificazione argomentativa.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, per la non corretta liquidazione delle spese in favore del lavoratore vittorioso, pure nell’esatta individuazione dello scaglione tariffario corrispondente al valore di causa, per l’entità minima della prestazione professionale del suo difensore e tenuto conto della non particolare complessità della vicenda dedotta in giudizio e delle questioni giuridiche trattate, tuttavia in applicazione dei valori medi e non minimi, senza alcuna motivazione in ordine ai criteri adottati.
3. Il primo motivo, relativo ad omessa e insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso del malgoverno delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio davanti al giudice del lavoro interrotto per il fallimento della società datrice, è inammissibile.
3.1. Esso è palesemente generico, in violazione della specificità prescritta dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., per omessa trascrizione integrale dei documenti e dei verbali di causa di cui è lamentata la non corretta valutazione, così da non consentirne a questa Corte alcuna verifica (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).
3.2. Il vizio motivo denunciato è poi inconfigurabile, alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporìs, per difetto di specifica indicazione del fatto storico asseritamente omesso, neppure avendone trattato la sentenza impugnata, atteso il mancato rispetto, che deve essere rigoroso, delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., in ordine all’individuazione dal ricorrente del “fatto storico”, il cui esame sia stato appunto omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisività” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498): con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
3.3. Esso si risolve così nella sostanziale contestazione della valutazione probatoria del Tribunale, riservata in via esclusiva al giudice di merito e condotta con argomentazioni congrue e coerenti (al terzultimo e penultimo capoverso di pg. 2 del decreto), insindacabili in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più nei rigorosi limiti introdotti dal già richiamato testo novellato dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., tenuto conto dell’espressa consapevolezza del valore probatorio degli elementi raccolti in altro giudizio tra le stesse parti, alla stregua di prova atipica (Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4652; Cass. 20 gennaio 2015, n. 840) acquisita in “assenza di un’espressa opposizione” della curatela odierna ricorrente (come esposto nella prima parte del terz’ultimo capoverso di pg. 2 del decreto).
4. Il secondo motivo, relativo a violazione o falsa applicazione di una norma di diritto per la non corretta liquidazione delle spese in favore del lavoratore vittorioso, è parimenti inammissibile.
4.1. In disparte la genericità della denuncia, in assenza di specificazione della norma violata che già la rende inconfigurabile, posto che la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, in sede di legittimità possono essere denunziate solo violazioni del criterio della soccombenza ovvero liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali: con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 19 novembre 2014, n. 24635). Il che evidentemente la curatela non ha fatto con il mezzo scrutinato.
5. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento G. P. s.n.c. alla rifusione, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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