CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 maggio 2018, n. 19699
Reati tributari – Soglia di punibilità dell’omesso versamento IVA – D.Lgs. n. 158 del 2015 – Innalzamento della soglia di punibilità – Applicabilità alle violazioni precedenti – Sussiste
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 17 maggio 2017, il Tribunale di Bari ha rigettato l’istanza, presentata dall’imputato, diretta ad ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., delle sentenze del 12 aprile 2013 e del 14 gennaio 2015, relative ai reati di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, aventi per oggetto l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto entro il termine, per importi non superiori a quello della nuova soglia di punibilità prevista a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015.
2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha presentato, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
Con un unico motivo di doglianza, si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 673 cod. proc. pen. e dell’art. 2, secondo e quarto comma, cod. pen. Secondo l’argomentazione difensiva, la modifica legislativa intervenuta con il d.lgs. n. 158 del 2015, che ha elevato alla somma di € 250.000,00 la soglia oltre cui l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto assume rilevanza penale, avrebbe reso non punibili le condotte dell’imputato, oggetto delle due sentenze di condanna in relazione alle quali il ricorrente ha invocato la disciplina dell’art. 673 cod. proc. pen. Il Tribunale, invece, considerata l’intervenuta irrevocabilità delle sentenze di condanna, ha rigettato la richiesta, ritenendo applicabile l’art. 2, quarto comma, cod. pen. Si rileva, Infine, la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la pronuncia impugnata determinerebbe un’ingiusta disparità di trattamento tra i soggetti imputati del medesimo reato, ma giudicati in tempi diversi, tenendo conto che, nell’ipotesi in esame, le modifiche legislative avrebbero comportato la parziale abrogazione di una norma penale incriminatrice e non una semplice successione di leggi penali.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è fondato.
Infatti, il giudice dell’esecuzione ha erroneamente rigettato l’istanza presentata dall’imputato, ritenendo che le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, pur incidendo su un elemento costitutivo del reato e pur rendendo le condotte contestate penalmente irrilevanti, non avrebbero comportato alcuna abolitio criminis, ma soltanto «un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, rispetto al quale trova applicazione la disciplina dell’art. 2, comma 4, cod. pen.». La retroattività della norma favorevole sarebbe, dunque, preclusa dall’intervenuta irrevocabilità delle sentenze di condanna.
Tuttavia, questa Corte ha già avuto occasione di ribadire che, quando l’abolitio criminis viene dedotta in sede esecutiva, al giudice è richiesta la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale; ciò anche se la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività, come nel caso di specie. In tale ipotesi, il giudice dell’esecuzione, qualora non ritenga sufficiente l’analisi del capo di imputazione, può anche scendere nell’esame degli atti processuali per verificare ed accertare, attraverso di essi, la consistenza ed i contorni della condotta, senza però valutare di nuovo il fatto, mediante un giudizio di merito non consentito (ex multis, Sez. 3, 25 ottobre 2016, n. 5248; Sez. 6, 10 marzo 2003, n. 22539). Nel caso in esame, lo stesso giudice dell’esecuzione ha riconosciuto la circostanza che i versamenti omessi dall’imputato non superano la soglia di punibilità introdotta dalla modifica legislativa del 2015. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, perché, essendo pacifico che i fatti non sono più previsti dalla legge come reati, questa Corte può direttamente procedere alla revoca delle relative sentenze di condanna, nei confronti del ricorrente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e revoca le sentenze del tribunale di Bari del 12 aprile 2013 e del 14 gennaio 2015, nei confronti di R.C..
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