CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 maggio 2020, n. 8584
Tributi – IVA – Importazione merce di provenienza extracomunitaria – Indebito utilizzo della qualifica di esportatrice abituale
Fatti di causa
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza del 27 maggio 2013, ha respinto l’appello proposto da S.P. s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso della contribuente volto ad ottenere l’annullamento dell’avviso di rettifica dell’accertamento notificatole il 24.10.2012 dall’Agenzia delle Dogane per il recupero dell’IVA su merci di provenienza extracomunitaria che la società, avvalendosi indebitamente della qualifica di esportatrice abituale, aveva importato nel 2008 e nel 2009 omettendo il versamento dell’imposta.
La CTR, rilevato che non era controversa la condotta contestata nell’avviso, ma solo se essa integrasse o meno il delitto di contrabbando aggravato, e che il 18.5.011 l’Agenzia aveva trasmesso alla competente Procura della Repubblica notizia di reato, ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’appellante.
S.P. propone ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi.
Resiste l’Agenzia delle Dogane con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8, commi 1, lett. c, 2 e 3, d.P.R. n. 633 del 1972, e – nel contempo – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere i giudici d’appello escluso la sua qualifica di esportatrice abituale per gli anni 2008/2009 per la sola ragione che essa non aveva effettuato esportazioni nell’anno precedente, nonostante l’indagine andasse compiuta per un triennio, senza tener conto che la mancata presentazione della dichiarazione d’intenti non preclude all’importatore che ne ha diritto di avvalersi ex post dell’agevolazione.
2. Il motivo è inammissibile.
3. La CTR, con accertamento che neppure forma oggetto di specifica censura, ha infatti rilevato che “non è mai stato contestato dalla parte il rilievo riguardante la simulazione dello stato di esportatore abituale e, quindi, l’utilizzo di un plafond Iva inesistente…”: il mezzo in esame introduce dunque una questione di fatto del tutto nuova, che, non avendo mai formato oggetto di contraddittorio nei precedenti gradi di merito, non poteva essere dedotta per la prima volta nella presente sede di legittimità (fra moltissime, Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 25299 del 2014).
4. Resta assorbita la prima delle censure svolta nel secondo motivo, con la quale S.P. sostiene che il reato di contrabbando non era configurabile posto che, contrariamente a quanto affermato dall’Ufficio nel p.v.c., essa non aveva simulato lo stato di esportatrice abituale, che le competeva legittimamente.
5. Con l’ulteriore censura dedotta nel secondo motivo – che denuncia violazione degli artt. 292, 295 e 303 TULD – e con il terzo motivo – che denuncia violazione dell’art. 70, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 – la ricorrente sostiene che i fatti sui quali si fondava l’avviso non integravano il reato di contrabbando aggravato; assume a riguardo che l’art. 303 TULD sanziona il comportamento fraudolento commesso mediante dichiarazioni relative alla “qualità, quantità e valore delle merci destinate all’importazione definitiva”, che nella specie non le era stato contestato, mentre il mancato versamento dell’Iva all’importazione, che non è imposta diversa dall’Iva interna, costituisce un mero illecito amministrativo, passibile unicamente di una sanzione pecuniaria, con la conseguenza che il termine di prescrizione della relativa pretesa tributaria decorre dalla data della presentazione della singola bolletta doganale.
6. Anche queste ragioni di doglianza, che pongono la medesima questione e possono essere congiuntamente esaminate, vanno dichiarate inammissibili.
7. Va in primo luogo rilevato che la ricorrente, in ossequio al principio della specificità del ricorso di cui all’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c., avrebbe dovuto riprodurre nei motivi il contenuto dei documenti (l’avviso di pagamento notificatole; la comunicazione di reato inviata dall’Agenzia alla Procura) sui quali le censure si fondano, ovvero allegarli al ricorso o, quantomeno, indicare l’esatta sede processuale in cui erano stati prodotti, al fine di consentire a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare se davvero l’avviso si fondasse su fatti integranti unicamente un illecito amministrativo.
8. Le censure, in ogni caso, ancorché rubricate sotto il profilo del vizio di violazione di legge, attengono in realtà ad una questione di mero fatto (la natura dell’illecito in questione) che è stata conformemente decisa da entrambi i giudici del merito e rispetto alla quale, pertanto, ai sensi dell’art. 348 ter u. co. c.p.c. novellato dal d.l. n. 83/012, convertito dalla I. n. 134/2012 (applicabile anche al processo tributario: Cass. S.U. n. 8053/014), non è più proponibile il ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, 1° co. c.p.c..
9. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 84 TULD, 78 Reg. CEE n. 2913 del 1992 e 11, comma 5, d.lgs. n. 374 del 1990: assume che, non essendo stata data prova della effettiva promozione dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, e attesa l’evidente mancanza di un’effettiva fattispecie delittuosa, il termine triennale di prescrizione dell’accertamento sarebbe in ogni caso decorso.
10. Il motivo è inammissibile, per le ragioni appena esposte ai parr. 7 ed 8, nella parte in cui ribadisce che l’avviso si fondava su fatti integranti un mero illecito amministrativo; è invece infondato laddove sostiene che, in difetto di promovimento dell’azione penale, il termine di prescrizione tornerebbe a decorrere dalla data di ciascuna dichiarazione doganale, atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’azione di recupero a posteriori dei tributi doganali può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla contabilizzazione dell’importo quando la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente, alla sola condizione che la notitia criminis sia trasmessa nel corso dell’originario termine di prescrizione, e non dopo la sua scadenza (Cass. nn. 7562/015, 8046/013, 5384/012), essendo, per contro, irrilevante l’esito – di condanna o assolutorio – del giudizio penale e persino l’archiviazione della notizia di reato (Cass. nn. 16728/016, 13483/016).
11. Il ricorso va, in conclusione, integralmente rigettato.
12. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza secondo la misura espressa in dispositivo,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Dogane le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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