CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 novembre 2011, n. 32685

Professionista – Iscrizione d’ufficio alla Gestione separata – Omessi contributi – Differimento del termine di pagamento – Prescrizione – Dies a quo – Rilevabilità d’ufficio

Fatti di causa

1.- L’ingegnere T.P., con ricorso del 4 marzo 2016, ha proposto opposizione contro l’avviso di addebito emesso dall’INPS sul presupposto dell’iscrizione d’ufficio alla Gestione separata, a decorrere dall’anno 2008, e ha dedotto l’infondatezza della pretesa vantata dall’Istituto e, in subordine, l’estinzione del diritto per intervenuta prescrizione.

Con sentenza n. 1784 del 3 maggio 2019, il Tribunale di Palermo ha accolto l’eccezione di prescrizione, considerando come dies a quo del relativo termine quinquennale la scadenza del termine stabilito per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi (art. 18, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241). Il giudice di primo grado ha compensato le spese.

2.- La decisione è stata appellata dall’INPS, che ha censurato, in primo luogo, la mancata considerazione della proroga al 6 luglio 2009 dei termini stabiliti per il versamento dell’imposta, per effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 giugno 2009.

La pronuncia di primo grado meriterebbe censura anche nella parte in cui non ha individuato il dies a quo della prescrizione nella data di presentazione della dichiarazione dei redditi, cui il professionista deve allegare il modello RR sezione II, con l’indicazione dei contributi a debito per l’anno d’imposta dichiarato, degli eventuali acconti pagati e dei contributi a credito portati in compensazione.

Ad ogni modo, la mancata compilazione del modello RR si atteggerebbe come occultamento doloso del debito.

Il P. ha censurato, con appello incidentale, la compensazione delle spese del primo grado.

Con sentenza pronunciata il 29 ottobre 2020 e pubblicata il 10 dicembre 2020 con il numero 896/2020, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello principale e ha accolto l’appello incidentale e, per l’effetto, ha condannato l’INPS, in parziale riforma della sentenza di primo grado, a rifondere alla parte appellata le spese del primo grado, onerando la parte appellante anche delle spese del secondo grado.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che:

a) la prescrizione decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, che non costituisce presupposto del credito contributivo;

b) non rileva il differimento al 6 luglio 2009 del termine di versamento delle imposte sui redditi per i professionisti soggetti agli studi di settore, in quanto tale dilazione non si applica alla fattispecie in esame;

c) l’Istituto, provvisto di poteri ispettivi, non si trova nell’impossibilità di far valere il diritto, che non s’identifica in un impedimento soggettivo o in un ostacolo di mero fatto, ma postula una causa giuridica che ostacoli l’esercizio del diritto;

d) neppure si ravvisa un occultamento doloso del debito: il professionista ha riportato i redditi da lavoro autonomo nell’apposita sezione del modello unico, condotta che di per sé esclude la volontà di eludere gli obblighi di legge; l’Istituto stesso, prima del luglio 2014, non aveva affermato alcun obbligo d’iscriversi alla Gestione separata per i professionisti che fossero in posizione analoga a quella del P.;

e) è fondato l’appello incidentale del P., in favore del quale devono essere liquidate le spese del primo grado: in tema di prescrizione, gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità erano già univoci.

3.- L’INPS impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Palermo, con ricorso notificato mediante PEC I’11 febbraio 2021 e affidato a un solo motivo.

4.- T.P. resiste con controricorso.

5.- Il ricorso è stato originariamente assegnato alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, cod. proc. civ.

5.1.- Su proposta del relatore designato, che aveva ritenuto il ricorso manifestamente fondato, alla luce della mancata applicazione del differimento del termine per il versamento dei contributi di cui all’art. 1, comma 1, del d.P.C.m. 4 giugno 2009, il Presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, a norma dell’art. 380-bis, primo comma, cod. proc. civ.

5.2.- La parte controricorrente, in prossimità dell’adunanza, ha depositato la memoria illustrativa di cui all’art. 380-bis, secondo comma, cod. proc. civ., osservando che la questione del differimento sancito dal d.P.C.m. 4 giugno 2009 non è stata delineata nel motivo di ricorso.

5.3.- Con ordinanza 23 febbraio 2022, n. 6027, la Corte in camera di consiglio ha ritenuto necessario approfondire la questione, di valenza nomofilattica, della rilevabilità d’ufficio della corretta individuazione del termine di prescrizione dei contributi, soprattutto nell’ipotesi «in cui la Corte territoriale abbia espressamente escluso l’applicazione del d.P.C.M. pure invocato dall’I.N.P.S.».

La causa, pertanto, è stata rimessa alla pubblica udienza di questa sezione, in applicazione dell’art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ.

6.- Fissata all’udienza pubblica del 7 luglio 2022, la causa è stata tuttavia trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

6.1.- Il Procuratore generale ha chiesto di rigettare il ricorso, in quanto inammissibile e comunque infondato: la questione della decorrenza della prescrizione non sarebbe stata correttamente introdotta nel processo.

6.2.- La parte ricorrente ha presentato in cancelleria la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1.- L’INPS denuncia (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) violazione degli artt. 2935 e 2941, n. 8, cod. civ., in relazione all’art. 2, commi 26-31, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e all’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111.

Avrebbe errato la Corte d’appello di Palermo nell’escludere la sospensione della prescrizione per doloso occultamento del debito, nel caso di omessa compilazione del quadro RR, «adibito alla determinazione dei contributi da parte del Fisco».

Solo la compilazione del quadro RR avrebbe consentito all’INPS di verificare la produzione di un reddito da lavoro autonomo, assoggettato all’obbligo d’iscrizione alla Gestione separata. Il professionista, omettendo di compilare il quadro RR, avrebbe violato un obbligo di legge, volto a tutelare «interessi di carattere pubblicistico», e avrebbe determinato non una mera difficoltà di accertamento, ma l’impossibilità materiale dell’Istituto di avere cognizione dei dati occultati.

Anche il semplice mendacio su dati che la legge impone di dichiarare sarebbe sufficiente a integrare il dolo. L’INPS invoca, a tale riguardo, «una presunzione di occultamento», che spetterebbe al lavoratore autonomo superare.

Ad avviso del ricorrente, nessuna prescrizione, pertanto, si sarebbe compiuta.

2.- Il ricorso è fondato, nei termini e per i motivi di seguito precisati.

3.- La questione rimessa dall’ordinanza interlocutoria concerne il tema della prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata, sul quale sono oramai costanti gli orientamenti di questa Corte, che devono essere anche in questa sede ribaditi.

3.1.- La prescrizione decorre «dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. nn. 27950 del 2018, 19403 del 2019, 1557 del 2020): l’obbligazione contributiva nasce infatti in relazione ad un preciso fatto costitutivo, che è la produzione di un certo reddito da parte del soggetto obbligato, mentre la dichiarazione che costui è tenuto a presentare ai fini fiscali, che è mera dichiarazione di scienza, non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria» (Cass., sez. lav., 19 aprile 2021, n. 10273; in senso conforme, anche Cass., sez. lav., 3 giugno 2022, n. 17970, punto 14).

Per quanto il debito contributivo sorga sulla base della produzione di un certo reddito, la prescrizione dell’obbligazione decorre dal momento in cui scadono i relativi termini di pagamento, come dispone l’art. 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155: i contributi obbligatori si prescrivono «dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati».

3.2.- I termini di versamento dei contributi sono definiti dall’art. 18, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241: «i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi».

Quanto a tali ultimi termini, l’art. 12, comma 5, del menzionato d.lgs. n. 241 del 1997 demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la possibilità di modificare i termini riguardanti gli adempimenti dei contribuenti relativi a imposte e contributi dovuti in base allo stesso decreto, tenendo conto delle esigenze generali dei contribuenti, dei sostituti e dei responsabili d’imposta o delle esigenze organizzative dell’amministrazione.

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, rinviene dunque un inequivocabile fondamento nel d.lgs. n. 241 del 1997 e concorre ad attuarne e a integrarne le previsioni: a tale decreto, considerato nelle sue interrelazioni e in una prospettiva sostanziale, si devono riconoscere, pertanto, natura regolamentare e rango di fonte normativa, come questa Corte ha in più occasioni affermato (sentenza n. 17970 del 2022, cit., punto 18; di recente, sempre in ordine ai d.P.C.m. in esame, Cass., sez. lav., 3 agosto 2022, n. 24047, punto 23, e Cass., sez. VI-L, 15 luglio 2022, n. 22336, e 11 luglio 2022, n. 21816), con orientamento che la parte controricorrente non contesta.

3.3.- Quanto ai contributi relativi all’anno 2008, viene in rilievo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 giugno 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009.

L’art. 1, comma 1, del citato d.P.C.m. così stabilisce: «I contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalla dichiarazione dei redditi e da quella dell’imposta regionale sulle attività produttive entro il 16 giugno 2009, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui all’art. 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascun studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze, effettuano i predetti versamenti: a) entro il 6 luglio 2009, senza alcuna maggiorazione; b) dal 7 luglio 2009 al 5 agosto 2009, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo».

Si deve avere riguardo al primo termine del 6 luglio 2009, che la fonte regolamentare stabilisce per il pagamento dell’importo dovuto, senza maggiorazioni di sorta: è da tale momento che sorge l’obbligo contributivo e l’INPS può dunque far valere i propri diritti.

3.4.- Quanto alla latitudine soggettiva del differimento, questa Corte, alla luce dell’univoco dettato letterale della previsione del decreto, ha chiarito che ne beneficiano tutti i contribuenti, allorché esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore. Il differimento, dunque, non si applica soltanto a «coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi fossero fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione» (sentenza n. 10273 del 2021, cit.).

Pertanto, «ciò che rileva, ai fini di detto differimento, è il dato oggettivo dello svolgimento di un’attività economica riconducibile tra quelle per le quali siano state elaborati studi di settore e non la condizione soggettiva del singolo professionista di effettiva sottoposizione al regime fiscale derivante dall’adesione alle risultanze degli studi medesimi» (Cass., sez. VI-L, 11 agosto 2022, n. 24668; nello stesso senso, fra le molte, Cass., sez. VI-L, 26 luglio 2022, n. 23314 e n. 23309, punto 8, e Cass., sez. VI-L, 15 luglio 2022, n. 22336).

4.- La sentenza impugnata, nel far decorrere la prescrizione dal 16 giugno 2009, ha trascurato di tener conto del differimento al 6 luglio 2009, applicabile in base alle richiamate previsioni del decreto, inscindibilmente connesse con la fonte primaria.

L’unico motivo di ricorso si appunta sulla sospensione della prescrizione.

L’ordinanza interlocutoria ha rimesso la causa a questa sezione allo scopo di valutare se, a fronte d’un ricorso così strutturato, sia rilevabile d’ufficio in questa sede – o sia per contro preclusa dal “giudicato interno” – la questione della corretta individuazione della decorrenza del termine di prescrizione dei contributi.

L’individuazione del dies a quo della prescrizione non soltanto ha priorità logica rispetto al tema della sospensione, posto dall’unico motivo di ricorso, ma si rivela anche dirimente: la considerazione del dies a quo sancito dalla legge (6 luglio 2009) renderebbe efficace l’atto interruttivo datato 2 luglio 2014 e potenzialmente superflua quella disamina sulla sospensione che il motivo di ricorso presuppone.

5.- La questione rimessa alla pubblica udienza, che trascende il contenzioso sulla contribuzione previdenziale, si profila con caratteri peculiari, che non consentono di evincere elementi risolutivi dalle pronunce menzionate dall’Istituto nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza (pagina 3).

Nei giudizi decisi con tali pronunce (Cass., sez. VI-L, 18 febbraio 2022, n. 5312, 3 febbraio 2022, n. 3457, e 14 ottobre 2021, n. 28123; Cass., sez. lav., 8 novembre 2021, n. 32467, 19 aprile 2021, n. 10273, e 23 febbraio 2021, n. 4899), l’individuazione del dies a quo della prescrizione formava oggetto di uno specifico motivo di ricorso e risultava dunque – senz’ombra di dubbio – controversa.

Nel presente giudizio, le doglianze non investono ex professo l’identificazione del dies a quo del termine applicabile. Tale specificità ha generato i dubbi interpretativi, che sono all’origine della scelta di rimettere la causa alla pubblica udienza e di sollecitare così l’apporto dialettico del Pubblico Ministero e delle parti.

6.- L’analisi deve prendere le mosse dai tratti distintivi della prescrizione, che si riverberano anche sui profili processuali della rilevabilità d’ufficio e del giudicato interno, d’importanza cruciale ai fini dell’inquadramento dell’odierna questione.

7.- Elemento costitutivo della prescrizione (art. 2934 cod. civ.) è l’inerzia del titolare del diritto per il tempo determinato dalla legge (Cass., S.U., 25 luglio 2002, n. 10955).

La parte, alla cui iniziativa l’eccezione è riservata (art. 2938 cod. civ.), ha soltanto l’onere di allegare tale elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare dell’effetto estintivo che scaturisce dal protrarsi dell’inattività (da ultimo, Cass., S.U., 13 giugno 2019, n. 15895, in tema di azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel rapporto di conto corrente).

8.- La determinazione della durata, necessaria per il verificarsi dell’estinzione, si configura come una quaestio iuris connessa all’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale delineato dalla legge (sentenza n. 10955 del 2002, cit.).

Spetta al giudice qualificare l’inerzia alla stregua del pertinente schema normativo astratto, che può divergere da quello indicato dalle parti e così condurre all’individuazione di un termine più esiguo o più ampio (Cass., sez. III, 7 maggio 2021, n. 12182).

Come quaestio iuris si atteggia anche l’individuazione del momento iniziale della prescrizione, che costituisce il fulcro della questione prospettata con l’ordinanza interlocutoria. Il giudice è chiamato a valutare d’ufficio il momento iniziale, senza essere vincolato dalle deduzioni delle parti (di recente, Cass., sez. lav., 3 agosto 2022, n. 24047, punto 21; Cass., sez. VI-L, 10 novembre 2021, n. 33169, punto 10).

L’erronea individuazione del termine applicabile, del suo inizio o del suo epilogo, non inficia, pertanto, la valida proposizione dell’eccezione (Cass., sez. lav., 27 ottobre 2021, n. 30303; Cass., sez. I, 27 luglio 2016, n. 15631), in quanto involge aspetti eminentemente giuridici, rimessi per loro natura al vaglio del giudice (iura novit curia).

Tale vaglio s’impone anche in sede di legittimità, a condizione che non siano necessari accertamenti di fatto. Accertamenti che il caso di specie non richiede, poiché l’exordium praescriptionis è sancito una volta per tutte, con portata generale, da una fonte normativa, che questa Corte è tenuta a conoscere, in quanto puntualizza le previsioni del d.lgs. n. 241 del 1997.

9.- Rilevabili d’ufficio, purché emergano dalle prove acquisite, sono anche gli ulteriori profili che attengono alla durata e al decorso del termine. Integrano dunque eccezioni in senso lato, per giurisprudenza consolidata, i fatti interruttivi (Cass., S.U., 27 luglio 2005, n. 15661) e le cause di sospensione (Cass., sez. II, 30 settembre 2016, n. 19567).

Le eccezioni sono riservate alla parte solo quando la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente contemplino come indispensabile l’iniziativa di parte. In ogni altro caso, si devono ritenere rilevabili d’ufficio i fatti modificativi, impeditivi o estintivi che risultano dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass., S.U., 3 febbraio 1998, n. 1099).

La rilevabilità d’ufficio è funzionale alla salvaguardia della giustizia della decisione (Cass., S.U., 7 maggio 2013, n. 10531). Esigenza che si coglie in termini ancor più pregnanti nella materia previdenziale, permeata da interessi che travalicano i diritti individuali e perciò contraddistinta dal ruolo strategico dello Stato (art. 38, terzo comma, Cost.), chiamato ad assicurare, in una prospettiva solidaristica e di più efficace tutela degli stessi diritti dei singoli, la sostenibilità del sistema complessivamente inteso.

10.- Una volta che sia stato dedotto l’elemento costitutivo dell’eccezione di prescrizione, sarà il giudice, pertanto, anche in sede di legittimità, a individuare la disciplina appropriata e a scrutinare i fatti che incidono sulla durata del termine di prescrizione, al fine di verificare se sia decorso invano il tempo «determinato dalla legge» in base a una normativa che la legge stessa qualifica come inderogabile (art. 2936 cod. civ.).

11.- Né la rilevabilità d’ufficio stride con l’esigenza, posta in risalto dalle conclusioni motivate del Pubblico Ministero (pagina 2), di una rituale introduzione del tema della prescrizione nella dialettica del processo.

11.1.- È ben vero che la parte, nell’allegare l’inattività del titolare del diritto, ha l’onere di specificare le coordinate temporali e le circostanze di fatto che la connotano.

Dev’essere condiviso, pertanto, l’orientamento richiamato dal Pubblico Ministero: allorché sia eccepita la prescrizione concernente la fase anteriore alla notificazione delle cartelle esattoriali, non si può rilevare d’ufficio la prescrizione maturata in epoca successiva alla notificazione (Cass., sez. VI-L, 23 maggio 2019, n. 14135).

La ratio decidendi della pronuncia citata s’incentra sulla diversità del contesto temporale in cui la fattispecie estintiva si colloca. Tale diversità non tocca il mero profilo della qualificazione giuridica, che è appannaggio del giudice: quel che muta, in questo frangente, è proprio il fatto dell’inerzia, storicamente delineato, che costituisce l’elemento costitutivo dell’eccezione di prescrizione.

11.2.- Nell’odierno giudizio, per contro, non muta l’elemento costitutivo dell’eccezione, che si sostanzia pur sempre nella prolungata inattività dell’Istituto nella riscossione dei contributi.

Non mutano neppure i fatti che permettono l’esercizio del diritto e dunque determinano la decorrenza della prescrizione, in correlazione con la scadenza del termine per il versamento dei contributi.

Oggetto di disputa è solo la disciplina legale che regola tale termine e che concorre dunque a definire il tempo «determinato dalla legge» (art. 2934 cod. civ.), indispensabile per il compiersi della prescrizione.

L’individuazione d’una diversa scadenza non esorbita dunque dai fatti ritualmente allegati e non ne altera il nucleo essenziale: essa investe la qualificazione giuridica dei fatti, sui quali il contraddittorio processuale ha avuto modo di dispiegarsi appieno.

La rilevabilità d’ufficio non contraddice, pertanto, le condizioni di specifica e tempestiva allegazione degli elementi costitutivi dell’eccezione.

Permane inalterato, peraltro, anche il regime di prescrizione applicabile, con il correlato termine quinquennale.

12.- Qualificata come quaestio iuris l’individuazione del dies a quo della prescrizione, il punto nodale è se la mancata impugnazione delle statuizioni adottate a tale riguardo dalla Corte di merito determini il formarsi di un giudicato, idoneo a precludere il rilievo d’ufficio.

La regola della rilevabilità d’ufficio di determinate questioni, in ogni stato e grado del processo, dev’essere coordinata con i principi che governano il sistema delle impugnazioni e opera solo quando, su tali questioni, non si sia formato il giudicato interno, atto a precluderne in radice l’ulteriore esame.

Anche per quel che concerne la materia previdenziale, tale regola è stata ribadita a più riprese: il giudicato interno costituisce un limite al rilievo ufficioso nel caso di questioni inerenti al difetto di legittimazione passiva (Cass., sez. lav., 21 dicembre 2021, n. 41019), all’improponibilità della domanda giudiziale per la mancata presentazione della domanda amministrativa di prestazione previdenziale o assistenziale (Cass., sez. lav., 29 dicembre 2004, n. 24103), alla decadenza sostanziale per l’inosservanza del termine di centoventi giorni previsto, con riguardo alla disoccupazione agricola, dall’art. 22 del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7, convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83 (Cass., sez. VI-L, 25 agosto 2020, n. 17653).

13.- In relazione alle fattispecie di volta in volta scrutinate e alla struttura che ciascuna di esse presenta, occorre enucleare quale sia la singola statuizione suscettibile di acquisire, nel contesto della decisione, la stabilità del giudicato.

13.1.- A tale riguardo, soccorrono gli artt. 329, secondo comma, e 336, primo comma, cod. proc. civ.: dettate nell’ambito della disciplina generale sulle impugnazioni (Libro II, Titolo III, Capo I), tali previsioni devono essere inquadrate in una prospettiva sistematica.

In virtù della prima disposizione, l’impugnazione su una parte della sentenza implica acquiescenza «alle parti della sentenza non impugnate», con conseguente formazione del giudicato.

Di “parte della sentenza” discorre anche la seconda previsione, che estende gli effetti della riforma o della cassazione parziale alle parti della sentenza che dipendono dalla parte riformata o cassata.

L’impugnazione della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte che da essa dipende, in virtù di un nesso di causalità imprescindibile (Cass., S.U., 27 ottobre 2016, n. 21691).

Dalla connessione tra le disposizioni richiamate, traspare che la parte non impugnata d’una sentenza ha il crisma del giudicato allorché si riscontrino due condizioni, l’una positiva e l’altra negativa: essa si deve fondare su presupposti di fatto e di diritto diversi e autonomi rispetto alla parte impugnata e alla parte impugnata non dev’essere legata da alcun rapporto di pregiudizialità o di consequenzialità.

13.2.- Ciò posto, si deve puntualizzare che il giudicato non si forma sulla singola affermazione di diritto o sull’accertamento d’un fatto, ma sulla statuizione che afferma l’esistenza di un fatto, dopo averlo sussunto entro una norma che al fatto ricolleghi un dato effetto giuridico (Cass., sez. lav., 8 aprile 2000, n. 4478; in senso conforme, Cass., sez. lav., 20 dicembre 2006, n. 27196).

Il giudicato cade, pertanto, sull’unità minima di decisione, che si compone della sequenza fatto, norma ed effetto e risolve, nell’ambito della controversia, una questione dotata d’una propria autonomia e d’una propria individualità.

Ne consegue che, sebbene ciascun elemento della sequenza possa essere oggetto di censura, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine a uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass., sez. lav., 4 febbraio 2016, n. 2217).

L’impugnazione conferisce al giudice il potere di riconsiderare e riqualificare la fattispecie anche relativamente agli aspetti che, pur coessenziali, non siano stati singolarmente censurati, neppure in via implicita (Cass., sez. VI-3, 16 maggio 2017, n. 12202). È quel che accade nell’odierna vicenda, in cui le affermazioni della Corte di merito in ordine alla inapplicabilità della proroga disposta dal d.P.C.m. 4 giugno 2009 non sono state fatte segno d’uno specifico motivo di ricorso per cassazione.

14.- Nel declinare tali principi con riguardo alla prescrizione, questa Corte ha affermato che «Le questioni il cui esame può essere precluso dal giudicato interno non sono […] costituite dai singoli quesiti su fatto, norma ed effetto che ogni domanda ed ogni eccezione pongono al giudice, ma dalla loro congiunzione. La statuizione sulla quale poteva formarsi nella specie il giudicato era quindi quella avente ad oggetto la fattispecie prescrizione: l’inerzia del titolare e l’idoneità concreta della stessa ad estinguere il diritto.

Ma la deduzione da parte del ricorrente di fatti impeditivi della prescrizione ha sottratto tale statuizione al giudicato interno» (Cass., sez. lav., 29 ottobre 1998, n. 10832).

Il giudicato, dunque, si forma sulla statuizione che concerne la fattispecie della prescrizione, considerata nella sua unità indissolubile e nella sua idoneità a estinguere il diritto, dopo il decorso di un tempo che non può essere disarticolato negli elementi che intervengono a definirlo.

Non assurge, per contro, alla stabilità del giudicato l’affermazione sui singoli e irrelati segmenti della fattispecie, che, di per sé soli, sono inidonei a produrre qualsiasi effetto giuridicamente rilevante e, solo nel loro interagire, assumono significato nel mondo del diritto.

15.- In consonanza con tali indicazioni, questa Corte ha specificato che, ove s’impugni la sentenza che ha dichiarato prescritto il diritto per violazione della disciplina concernente l’interruzione, anche in sede di legittimità si può estendere la verifica a tutti i punti in cui è possibile scomporre la decisione sulla prescrizione: il principio “iura novit curia” può e deve trovare applicazione nell’intero ambito della parte di sentenza non coperta dal giudicato interno (Cass., sez. lav., 21 dicembre 1999, n. 14421, e, sempre con riguardo all’interruzione della prescrizione, Cass., sez. III, 10 luglio 2013, n. 17066).

Tali conclusioni si attagliano anche all’ipotesi in cui le doglianze riguardino le cause di sospensione della prescrizione, che interferiscono con il decorso del termine e ne influenzano la complessiva durata.

La sospensione del termine di prescrizione e la corretta identificazione del termine iniziale di decorrenza non rappresentano profili distinti, avulsi l’uno dall’altro. La sospensione della prescrizione non può che essere valutata rispetto a un termine correttamente individuato nel suo esordio.

Solo dal momento in cui il diritto può esser fatto valere e dunque prende avvio la prescrizione, si possono apprezzare eventuali fatti idonei a sospenderne il corso.

Pertanto, l’impugnazione del profilo consequenziale della sospensione mantiene ancora viva e controversa anche la questione concernente l’identificazione del dies a quo e anche su tale tema si riespande la cognizione di questa Corte, chiamata a individuare l’esatto diritto applicabile alla luce degli elementi ritualmente allegati.

16.- Erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha fatto decorrere il termine di prescrizione dal 16 giugno 2009, senza tener conto del differimento al 6 luglio 2009, sancito dall’art. 1, comma 1, del d.P.C.m. 4 giugno 2009 e rilevabile d’ufficio anche in questa sede, senza che si possa opporre alcun giudicato interno per effetto della mancata impugnazione delle affermazioni della sentenza d’appello.

17.- Si deve enunciare, in conclusione, il seguente principio di diritto: «Una volta che la sentenza d’appello sia stata impugnata per violazione della disciplina sulla sospensione della prescrizione (nella specie, con riguardo all’occultamento doloso del debito contributivo, ai sensi dell’art. 2941, primo comma, n. 8, cod. civ.), l’intera fattispecie della prescrizione, anche con riguardo alla decorrenza del dies a quo, rimane sub iudice e rientra, pertanto, nei poteri del giudice di legittimità valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione del termine iniziale della prescrizione, in quanto aspetto logicamente preliminare rispetto alla sospensione dedotta con il ricorso. La mancata proposizione di specifiche censure non determina la formazione del giudicato interno sul dies a quo della prescrizione dei contributi, differita dal d.P.C.m. 4 giugno 2009, in applicazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Il giudicato, destinato a formarsi su un’unità minima di decisione che ricollega a un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto, investe la statuizione che dichiara prescritto un diritto e non le mere affermazioni, inidonee a costituire una decisione autonoma, sui singoli elementi della fattispecie estintiva, come la decorrenza del dies a quo».

18.- La sentenza impugnata, pertanto, va cassata, in relazione al profilo preliminare dell’individuazione del dies a quo della prescrizione. Restano assorbiti gli ulteriori profili, dedotti con il motivo di ricorso.

La causa va rinviata alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che dovrà scrutinare il tema della prescrizione dei contributi alla luce degli enunciati principi di diritto e provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.