CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 novembre 2018, n. 28331
Tributi – Accertamento – Equiparazione giuridica tra l’amministratore di diritto e quello di fatto – Responsabilità
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 4335/03/16 dell’11/05/2016, la CTR della Campania accoglieva l’impugnazione proposta da G.L. avverso la sentenza n. 356/06/13 della CTP di Caserta, che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente nei confronti di due avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, con i quali, oltre ad accertarsi maggiori imposte dirette, IRAP e IVA nei confronti della servizi Generali per l’Informatica s.r.l. (d’ora in poi S. s.r.l.), si contestavano le conseguenti sanzioni, in solido, anche al L. quale amministratore di fatto della predetta società.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) la CTP aveva rigettato il ricorso del contribuente, evidenziando l’equiparazione giuridica tra l’amministratore di diritto e quello di fatto, con conseguente configurabilità della responsabilità solidale di quest’ultimo; b) il contribuente impugnava la sentenza della CTP.
1.2. La CTR motivava l’accoglimento dell’appello evidenziando che «il principio dell’equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto non è applicabile al diritto tributario a far data dall’entrata in vigore» del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, con. con modif. nella I. 24 novembre 2003, n. 326, il cui art. 7 era stato promulgato «al fine evidente di escludere le responsabilità personali delle persone fisiche gravitanti all’interno delle società con personalità giuridica, qual è, senza ombra di dubbio la S. s.r.l.». Poiché la disposizione richiamata trovava applicazione alla fattispecie controversa, doveva escludersi la responsabilità solidale del L..
2. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
3. G.L. resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Va pregiudizialmente dichiarata la carenza di legittimazione passiva della S. s.r.l. che è stata inutilmente convenuta in giudizio, atteso il chiaro tenore della sentenza della CTR, la quale, indipendentemente dall’intestazione, è riferita chiaramente al solo amministratore di fatto, G.L., in causa scindibile.
2. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. nella l. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, la menzionata disposizione non esclude la responsabilità diretta del soggetto, estraneo alla società in quanto operante nel suo esclusivo interesse, che sia autore dell’illecito tributario ed esclusivo beneficiario delle violazioni perpetrate.
3. Il motivo, diversamente da quanto ritenuto da parte controricorrente, è ammissibile, sia perché non sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale che ha deciso in conformità alla pronuncia della CTR, sia perché correttamente formulato con riferimento alle specifiche disposizioni che si assumono violate.
3.1. Il motivo è, peraltro, infondato.
3.2. Secondo un orientamento della S.C., cui va data continuità, «le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in l. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili» (Cass. n. 25284 del 25/10/2017).
Ed, infatti, «l’amministratore di fatto di una società alla quale sia riferibile il rapporto fiscale ne risponde direttamente qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate antecedentemente alla data di entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata dagli articoli 3, comma 2, e 11 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472» (Cass. n. 9122 del 23/04/2014).
3.3. Tale orientamento incontra un limite nella artificiosa costituzione a fini illeciti della società di capitali, potendo allora le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate «nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, nel contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto l’art. 7 del D.L. n. 269/2003, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente, in quanto detta norma “intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima” (19716/13)» (così, in motivazione, Cass. n. 5924 del 08/03/2017, che richiama Cass. n. 19716 del 28/08/2013).
3.4. Applicando al caso di specie la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie, introdotta dall’art. 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003
(sulla quale si veda anche Cass. n. 9094 del 07/04/2017), in ragione di un processo verbale di constatazione redatto nell’anno 2010, come specificato dalla CTR, ne consegue che il L., in quanto amministratore di fatto della S. s.r.l., non può ritenersi solidalmente responsabile delle sanzioni comminate alla società.
Né l’Agenzia delle entrate ha provato di avere posto alla CTR la questione della fittizietà della società, che sarebbe stata creata nell’esclusivo interesse del ricorrente: tale questione non è stata affrontata dal giudice di merito, né risulta dal contesto del ricorso che l’Ufficio l’abbia dedotta nelle sue difese.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato. La novità della questione affrontata al momento della presentazione del ricorso giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del giudizio.