CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 ottobre 2022, n. 29277
Invalidità – Accertamento tecnico preventivo obbligatorio – Portatore di handicap grave – Benefici economici – Riconoscimento
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 31.5.2016, il Tribunale di Genova, decidendo in sede di opposizione ad accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445-bis c.p.c., ha dichiarato G.F.B. portatore di handicap grave con decorrenza dalla data della domanda amministrativa.
Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto che l’azione per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap, ancorché non fosse specificamente indicato il beneficio al quale l’assistito aspirava, fosse ammissibile in quanto finalizzata al riconoscimento di uno status e non potesse dunque ricadere nell’ambito delle azioni volte alla mera declaratoria di una condizione invalidante, la cui inammissibilità è stata più volte affermata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Avverso tali statuizioni, l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. G.F.B. è rimasto intimato. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 445-bis c.p.c.e dell’art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’azione proposta, siccome volta al mero accertamento di uno stato invalidante in mancanza della domanda di un qualche specifico beneficio: soccorrerebbero sul punto, ad avviso dell’Istituto, i principi di diritto da ultimo ribaditi da Cass. n. 11919 del 2015, che ha dichiarato inammissibile un’azione per il riconoscimento della condizione invalidante di portatore di handicap che non era stata accompagnata dall’indicazione delle prestazioni che si intendevano ottenere.
Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., dell’art. 130, d.lgs. n. 112/1998, dell’art. 10, d.l. n. 203/2005 (conv. con l. n. 248/2005), e dell’art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, per avere il Tribunale ritenuto che la legittimazione a resistere competesse all’INPS e non anche agli ulteriori enti preposti alla concessione delle provvidenze per i portatori di handicap grave (ancorché queste ultime, nella specie, non avessero formato oggetto di specifica domanda): ad avviso dell’Istituto, infatti, la legittimazione a resistere andrebbe individuata in relazione alle pretese concretamente azionate in giudizio, anche in considerazione del fatto che – come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 6565 del 2004 – l’accertamento dello stato invalidante intervenuto nei confronti dell’INPS non potrebbe far stato nei confronti degli altri enti preposti all’erogazione delle provvidenze di cui può essere beneficiario il portatore di handicap grave.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure, e sono infondati: reputa infatti il Collegio di dover dare continuità all’orientamento recentemente espresso da Cass. n. 24953 del 2021, che – a seguito di ordinanza interlocutoria n. 27919 del 2020 della Sesta sezione civile di questa Corte – ha definitivamente superato il diverso orientamento fatto proprio da Cass. n. 11919 del 2015, affermando sia che l’interesse ad agire in accertamento tecnico preventivo per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap grave sussiste indipendentemente dalla specificazione di un determinato beneficio, sia che il legittimato passivo di un’azione del genere è da individuarsi nell’INPS.
Muovendo dalla necessaria ricostruzione della situazione giuridica soggettiva del portatore di handicap grave in termini di status (in tal senso v. già espressamente Cass. n. 29311 del 2020), Cass. n. 24953 del 2021, cit., ha anzitutto ricordato che, per principio consolidato, l’interesse ad agire nelle azioni di status sorge per effetto dell’altrui contestazione (così già Cass. n. 4516 del 2003), così superando il differente avviso di Cass. n. 11919 del 2015, che all’opposto aveva negato la possibilità di ottenere il riconoscimento della condizione giuridica di portatore di handicap grave senza la proposizione di una domanda volta a conseguire un qualche specifico beneficio; indi, ha valorizzato l’art. 20, dl. n. 78/2009 (conv. con l. n. 102/2009), che – dettando la disciplina dell’accertamento dello stato psicofisico descritto dall’art. 3, l. n. 104/1992, cit., e opportunamente modificando il disposto dell’art. 10, comma 6, d.l. n. 203/2005 (conv. con l. n. 248/2005) – ha accentrato sull’INPS la gestione e la responsabilità per ogni attività connessa (anche) al riconoscimento dell’handicap, individuando l’ente previdenziale quale unico legittimato passivo nei relativi procedimenti giurisdizionali: non senza precisare che, nelle controversie di cui all’art. 445-bis c.p.c., l’oggetto del giudizio è ovviamente limitato all’accertamento delle condizioni sanitarie dell’handicap, mentre, qualora la contestazione tra il privato e l’INPS (ripetesi, unico legittimato passivo nelle controversie concernenti lo status di portatore di handicap grave) sorga in merito all’accertamento di un requisito diverso da quello sanitario, la soluzione della controversia dovrà seguire la comune via del giudizio ordinario ex art. 442 ss. c.p.c. (così Cass. n. 24953 del 2021, cit., par. 19 della parte motiva).
Risultando pertanto affatto superato l’opposto orientamento di Cass. n. 11919 del 2015, cit., anche per ciò che riguarda l’individuazione del legittimato passivo nelle controversie concernenti il riconoscimento dello status di portatore di handicap grave, resta da dire che tale soluzione non è sospettabile di essere revocata in dubbio in relazione all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 6565 del 2004 (specificamente invocata dall’INPS a supporto del secondo motivo di censura), secondo cui la verifica giudiziale compiuta sulla situazione di invalidità non potrebbe essere invocata e fare stato in giudizi diversi, ossia in quelli distinti aventi come petitum le diverse pretese che a tale accertamento si ricollegano, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato e della conseguente impossibilità dell’accertamento del requisito sanitario di far stato nei confronti di terzi estranei alla lite e titolari di rapporti autonomi e distinti da quelli per i quali il giudicato medesimo è intervenuto: in disparte le controversie di cui all’art. 445-bis c.p.c., per le quali soccorre l’apposita previsione dell’art. 445-bis, comma 5°, secondo periodo, c.p.c. (giusta la quale “il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni”), decisivo al riguardo è ricordare che, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, il giudicato in materia di status possiede una forza di accertamento erga omnes, che è connaturata al modo di essere dello status (così già Cass. nn. 2436 del 1963, 6106 del 1979, 194 del 1985, 19293 del 2005 e, da ult., Cass. S.U. n. 1238 del 2015), essendo all’uopo necessario soltanto che il processo si sia svolto tra i legitimi contradictores (che, nel caso dello status di portatore di handicap grave, saranno naturalmente il richiedente l’accertamento e l’INPS), che il terzo verso cui s’intende far valere il giudicato non sia titolare di una situazione incompatibile con quella decisa (ad es. perché già convenuto per il pagamento in un precedente giudizio relativo allo stesso periodo ma conclusosi negativamente per l’attore) e che il giudicato non sia frutto di collusione o dolo delle parti a scapito dei terzi (arg. ex art. 404 comma 2° c.p.c).
Il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimato svolto alcuna attività difensiva.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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