CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 ottobre 2022, n. 29329

Licenziamento orale – Sottoscrizione di dimissioni “in bianco” – Forma richiesta ad substantiam dal CCNL – Mancanza – Nullità

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Firenze, pronunciandosi con sentenza n. 945/2018 in sede di rinvio da questa Corte con sentenza n. 7213/2018, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, ha dichiarato la nullità delle dimissioni a firma di K.E.H. datate 08/11/2007 e l’inefficacia del licenziamento orale intimato dalla società S. s.r.l. il 12/11/2007, e condannato detta società a risarcire il lavoratore del danno conseguente al recesso, quantificato nell’importo lordo di € 23.438,71, oltre accessori, ed alla rifusione delle spese dell’intero giudizio e della CTU svolta in primo grado.

2. Il lavoratore aveva convenuto in giudizio la società innanzi al Tribunale di Rimini, per sentir accertare l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli mediante l’utilizzazione, in data 8/11/2007, di un atto di dimissioni sottoscritto al momento dell’assunzione e con data in bianco. Il Tribunale, con sentenza parziale, aveva dichiarato l’inefficacia del recesso con condanna della società al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni medio tempore non percepite, detratto l’aliunde perceptum e, con sentenza definitiva, aveva quantificato tale risarcimento in complessivi € 23.438,71. La Corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame della società, aveva, invece, respinto l’azionata domanda, ritenendo che il lavoratore non avesse adempiuto alla prova relativa alle deduzioni circa la sottoscrizione in bianco delle dimissioni all’atto dell’assunzione e che le modalità di trasmissione previste dalla contrattazione collettiva non fossero prescritte a pena di nullità.

3. Questa Corte, in sede rescindente, enunciava il seguente principio di diritto: l’atto di dimissioni, dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia con cui il lavoratore recede dal contratto di lavoro, è soggetto al principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contratto, collettivo o individuale, una diversa forma convenzionale, quale la forma scritta; in tal caso, la forma convenzionale si presume voluta per la validità delle dimissioni, ex art. 1352 c.c., applicabile anche agli atti unilaterali, e si estende alle modalità di comunicazione di tale volontà, quando per essa le parti abbiano previsto un mezzo particolare al fine di evitare, nell’interesse del lavoratore, manifestazioni di volontà non adeguatamente ponderate.

4. Conseguentemente la sentenza della Corte d’Appello di Bologna inter partes, che non aveva ritenuto prescritto ad substantiam l’onere di forma di cui al CCNL Commercio del 2 luglio 2004, con riferimento a dimissioni precedenti l’entrata in vigore della legge n. 188 del 2007, veniva cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, la quale statuiva nei termini di cui sopra, procedendo a rivalutare il merito alla luce del ridetto principio di diritto.

5. Avverso tale sentenza S. s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, cui resiste con controricorso il lavoratore.

6. Entrambe le parti hanno comunicato memoria.

7. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente si rileva che è superata l’eccezione di improcedibilità del ricorso per omesso deposito di copia autentica della sentenza impugnata estratta dal fascicolo telematico inerente il giudizio di secondo grado perché, a prescindere dalla modalità di notifica di tale sentenza e dal mancato disconoscimento della copia da parte del controricorrente, in ogni caso il ricorrente ha provveduto a depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica entro l’udienza di discussione (cfr. Cass. S.U. n. 8312/2019).

2. Con il primo motivo la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 384 comma 1 e 394 c.p.c., per non essersi la Corte di appello di Firenze uniformata al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza di rinvio ed ai suoi presupposti di fatto. Si sostiene che le dimissioni in forma scritta erano state comunque rese e che sarebbero state erroneamente estese ad un atto di dimissioni invalido per vizio di forma le conseguenze improprie del licenziamento inefficace.

3. Il motivo non è fondato. La questione della prova della firma di dimissioni “in bianco” in epoca antecedente la data di risoluzione del rapporto è, nel caso di specie, irrilevante, perché nella sentenza rescindente si è chiarito che, nella specifica materia, il contratto collettivo prevede una determinata forma delle dimissioni del lavoratore ad substantiam, con conseguente nullità della lettera di dimissioni in atti nel caso concreto, pacificamente non rispondente ai requisiti di cui alla contrattazione collettiva (come chiarito nella sentenza rescindente e ribadito nella sentenza qui impugnata). La clausola contrattuale collettiva sulla forma delle dimissioni (comunicazione a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento) comporta un’invalidità di tipo legale, essendo ab inizio predisposta una regola (derogatoria del generale principio di libertà) per l’accertamento del perfezionamento e quindi della sussistenza o meno del successivo contratto o atto unilaterale da compiersi. La mancanza della forma prescritta ad substantiam rende la lettera di dimissioni apparentemente riferibile al lavoratore non idonea a rappresentare la sua volontà in ordine alla sorte del rapporto, e tanto meno consente di attribuirle significatività in termini di preteso mutuo consenso allo scioglimento della relazione negoziale, con conseguente inefficacia derivata del licenziamento concretatosi nella mancata accettazione dell’offerta, anche reale, di prestazioni lavorative.

4. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce vizio di ultra-petizione, in quanto non sarebbe stata prospettata dal lavoratore la sussistenza di un licenziamento verbale.

5. Il motivo non è fondato. Come condivisibilmente osservato dal P.G., il Giudice del rinvio ha proceduto a qualificare in termini di licenziamento orale il fatto consistito nell’estromissione del lavoratore dopo le dimissioni nulle. Ora, posto che la giuridica continuità del rapporto e le sue conseguenze risarcitorie sono conseguite alla nullità delle dimissioni, la terminologia da utilizzarsi per le vicende successive non è dirimente, atteso che, data corretta e coerente applicazione al principio di diritto formulato dalla Corte di cassazione, il Giudice del rinvio, ricostruiti e qualificati i fatti risultati allegati e provati, ha ravvisato in un evento successivo a quello a cui sono seguite le dimissioni nulle un chiaro indice della volontà espulsiva da parte del datore di lavoro. Non è quindi riscontrabile alcun vizio di ultrapetizione.

6. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art 1362 c.c. e dei criteri sussidiari interpretativi degli atti negoziali (artt. 1363, 1366, 1367 c.c.) con riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.

7. Il motivo è inammissibile, perché volto a sostenere l’interpretazione delle apparenti dimissioni del lavoratore e della c.d. conferma delle stesse da parte della società nei termini di cui alla sentenza della Corte d’appello di Bologna, che, tuttavia, proprio sul punto della forma libera anziché vincolata ad substantiam della vicenda risolutiva del rapporto su apparente iniziativa del lavoratore è stata cassata, con enunciazione del principio di diritto sopra riportato, e di cui la Corte d’appello di Firenze in sede di rinvio ha fatto corretta applicazione.

8. Con il quarto motivo la società ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., per erronea applicazione nel caso concreto del principio di soccombenza.

9. Il motivo non è fondato. Come chiarito da Cass. n. 19613/2017, in tema di condanna alle spese processuali il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (cfr. anche Cass. N 11329/2019).

10. Il ricorso deve pertanto essere respinto.

11. Parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, nonché delle spese della procedura incidentale ex art. 373 c.p.c. innanzi alla Corte d’appello di Firenze, su istanza dell’attuale ricorrente, respinta con ordinanza 21/1/2020 (cfr. Cass. n. 26966/2018), tutte liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore del procuratore di parte controricorrente dichiaratosi antistatario.

12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000 per compensi ed € 200 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% e accessori di legge, da distrarsi, e delle spese del sub-procedimento incidentale innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, che liquida in € 2.500 per compensi ed € 200 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% e accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.