CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 ottobre 2022, n. 29331
Licenziamento – Cessazione del periodo di malattia – Mancata ripresa del servizio – Presa d’atto di dimissioni – Applicazione art. 40 CCNL artigianato – Legittimità
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale locale che aveva respinto le domande proposte da V. G. contro G. di D. D.M. & C. s.n.c., dirette all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento del 7/12/2007 ed alla condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno ovvero alla riassunzione o al pagamento di indennità ai sensi dell’art. 8 legge n. 604/1966.
2. Nella sentenza impugnata si osserva, in particolare, essersi trattato di applicazione, da parte del datore di lavoro, dell’art. 40 del CCNL di settore vigente ratione temporis, secondo cui si considerava dimissionario il lavoratore che, senza giustificazione, non avesse ripreso il lavoro entro 5 giorni dalla cessazione del periodo di assenza per malattia; essere inammissibile la deduzione della violazione dell’art. 7 St. lav., proposta per la prima volta in sede di gravame, trattandosi di diversa causa petendi rispetto all’originaria prospettazione della volontà datoriale di allontanare il lavoratore; non essere stata provata, sulla base di sole dichiarazioni de relato non accompagnate da riscontri, la versione del lavoratore (di essere stato ingannevolmente invitato, al rientro dalla malattia nel corso di un colloquio con il datore di lavoro, a fruire di giorni di ferie per poi vedersi recapitare lettera di presa d’atto del recesso).
3. Propone ricorso per cassazione il lavoratore, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria. Il datore di lavoro non si è costituito nel presente giudizio.
4. Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di accordi collettivi nazionali di lavoro, falsa applicazione dell’art. 40 CCNL settore artigianato, mancando, nel caso di specie, la volontarietà dell’assenza dal lavoro, perché imposta dal datore di lavoro, e quindi l’assenza di giustificazione, anche alla luce dei canoni di buona fede e di correttezza.
2. Con il secondo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c., per avere la Corte di merito negato valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio (tra i quali mancata accettazione di tempo parziale, acquisto di un macchinario e demansionamento, analogo allontanamento di altro dipendente).
3. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 113 c.p.c., spettando al giudice la qualificazione giuridica del fatto, in relazione al petitum consistente nell’annullamento del provvedimento di licenziamento mascherato da presa d’atto di dimissioni ed alla causa petendi consistente nell’irregolarità della procedura, così da doversi escludere la ritenuta novità in appello della censura di violazione dell’art. 7 St. Lav.
4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto entrambi esprimenti censure agli accertamenti di merito svolti nei gradi precedenti di giudizio, non sono ammissibili.
5. Con essi, infatti, parte ricorrente sollecita un nuovo giudizio di merito, oltre i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, in contrasto con il principio secondo cui il giudizio di legittimità non è, appunto, un giudizio di merito di terzo grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 20814/2018).
6. In tema di ricorso per cassazione, infatti, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il convincimento che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. n. 15276/2021).
7. D’altra parte, la Corte d’Appello di Bari ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di c.d. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. n. 7724/2022).
8. E’ altresì inammissibile il terzo motivo, avendo la Corte di merito applicato i principi consolidati della pertinente giurisprudenza di legittimità, che ha più volte affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, la deduzione, in sede di gravame, di nuovi profili di illegittimità integra la proposizione di domanda nuova, ai sensi dell’art. 437, secondo comma, c.p.c., non essendo consentita l’introduzione di un’altra e diversa questione, nel corso del giudizio, rispetto a quella proposta in primo grado (cfr. Cass. n. 655/2015; Cass. n .5555/2011). Del tutto nuova e parimenti non ammissibile, perché introdotta, a quanto consta dagli atti, solo con la memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza di discussione del presente ricorso, la questione relativa alla nullità della clausola contrattuale collettiva.
9. Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali, mentre non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione della società intimata.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.