CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2018, n. 21908
Rapporto di lavoro domestico – Accertamento della natura subordinata – Prestazione di attività resa benevolentiae et affectionis causa – Prova dell’esistenza di una causa non lucrativa della prestazione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 649/2011 la Corte di appello di Napoli, dichiarata cessata la materia del contendere tra la parte appellata e gli appellanti M. S. e D. M., in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda avanzata in primo grado da A. P. e C. P. nei confronti di L. C. P.
1.1. Con tale domanda le originarie ricorrenti avevano chiesto, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro domestico intercorso con il detto C. P., la condanna al pagamento di somme a titolo di differenze retributive asseritamente spettanti in relazione al periodo decorrente dall’anno 1962 al 5 luglio 1996.
1.2. Ha ritenuto il giudice di appello che la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto in controversia non aveva trovato riscontro nelle deposizioni testimoniali denotanti una conoscenza superficiale e frammentaria dei fatti di causa non incompatibile con l’affermazione che il rapporto tra le originarie parti del giudizio si fosse instaurato benevolentiae vel affectionis causa; nessuna valenza probatoria poteva, inoltre, attribuirsi alla copia della dichiarazione di responsabilità, datata 24 maggio 1994, recante la firma “L. C. P.”, stante il tempestivo discononoscimento degli eredi del diretto sottoscrittore sui quali, oltretutto, in ragione della detta qualità di eredi, non gravava, ai sensi dell’art 214, comma 2, cod. proc. civ. un vero e proprio onere di disconoscimento ma solo l’onere di dichiarare di non conoscere la scrittura ovvero la sottoscrizione del loro autore.
2. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso A. P. in proprio e quale erede di C. P. e P. P., quale erede di C. P., sulla base di cinque motivi; gli intimati, ad eccezione di M. S. e D. M., hanno depositato tempestivo controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. art. 214, comma 2, cod. proc. civ., dell’art. 215 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2719 cod. civ. Premette che nel corso dell’escussione del teste P. questi aveva riferito che il C. P., che in precedenza gli aveva chiesto consiglio in merito, gli aveva consegnato fotocopia di “autodenunzia” all’INPS in data 24.5.1994.
Tale autodenunzia, recante il timbro di recezione della sede Inps, conteneva il riconoscimento del pregresso rapporto di lavoro con A. P. e con C. P. e la conseguente richiesta all’ente previdenziale di regolarizzazione contributiva. In seguito ad autorizzazione del giudice i difensori delle parti avevano presentato un’istanza congiunta, inoltrata all’agenzia INPS di Ischia ed a quella di Pozzuoli, dalla quale il primo ufficio dipendeva, chiedendo il rilascio di copia conforme del documento (e delle connesse denunzie delle sorelle P.); il responsabile dell’agenzia INPS di Ischia aveva risposto che effettivamente, presso il suo ufficio, erano presenti, in copia conforme, i documenti corrispondenti alle copie allegate all’istanza, e che gli originali erano stati trasferiti presso la sede provinciale ; il responsabile dell’agenzia di Pozzuoli – sede provinciale – comunicava che, all’esito delle ricerche effettuate, la documentazione richiesta non era stata reperita. Tanto premesso i ricorrenti deducono la inidoneità, ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., del disconoscimento dell'”autodenunzia” acquisita in fotocopia, in quanto affidato a mere formule di stile e in quanto proveniente dal procuratore ; in questa prospettiva assumono che la mancata richiesta di verificazione non precludeva la relativa utilizzabilità e la possibilità per il giudice di accertare, sulla base di presunzioni, la conformità all’originale del documento qualificabile come atto di confessione stragiudiziale e, quindi, vincolante per il giudice in ordine alla veridicità del fatto affermato.
2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla certificazione del Direttore della sede INPS di Ischia, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 215, comma 1, cod. proc. civ. Sostiene, in sintesi, che la certificazione del Direttore dell’agenzia INPS di Ischia andava qualificata come attestazione di conformità all’originale ed in quanto tale destinata a sottrarre senso e valore all’unico disconoscimento formulato dagli eredi di L. C. P. i quali avevano contestato la conformità delle copie esibite agli originali, con riserva, all’esito degli accertamenti, di un futuro disconoscimento della firma. Assume la tardività di un eventuale disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione. Sostiene che il procuratore degli eredi del C. P. aveva l’onere in relazione alla nuova situazione profilatasi di effettuare un nuovo apposito e chiaro disconoscimento ai sensi dell’art. 215, comma 2, cod. proc. civ. o di chiedere al giudice un termine per delibare in tal senso. In assenza, la scrittura prodotta doveva ritenersi riconosciuta.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 416 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2094 cod. civ., censurando, in sintesi, la valutazione della prova orale come non confliggente con la prestazione di attività resa benevolentiae et affectionis causa. Osserva che in tal modo la sentenza impugnata aveva dimostrato di porre a carico delle originarie ricorrenti la prova della esistenza di una causa non lucrativa della prestazione, in contrasto con la presunzione di onerosità del rapporto. Evidenzia che la eccezione di riconducibilità del rapporto ad una causa gratuita non era stata tempestivamente sollevata da controparte la quale solo in sede di gravame la aveva formulata La sentenza impugnata aveva, pertanto, errato nel porre d’ufficio, a fondamento della statuizione, una questione mai prospettata, conseguendone la violazione del principio del contraddittorio ed il vizio di utrapetizione della gravata sentenza.
4. Con il quarto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, contestando la valutazione delle deposizioni dei testi M. L. P. e O. T., evidenziando, quanto a quest’ultima, che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di appello, non si trattava di una deposizione de relato.
5. Con il quinto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo c per il giudizio censurando sotto vari profili la valutazione della deposizione del teste O. e la affermazione di inattendibilità della teste L. P. nonché lo stesso complessivo bilanciamento delle dichiarazioni rese dai testimoni.
6. Il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in prosieguo, è fondato con effetto di assorbimento degli altri motivi
6.1. Si premette che il giudice d’appello ha escluso valenza probatoria alla copia della dichiarazione di responsabilità prodotta in primo grado dalle ricorrenti, datata 24 maggio 1991, recante la firma “Don L. C. P.”, in quanto tempestivamente disconosciuta, quanto alla sua conformità all’originale, dai resistenti sui quali, oltre tutto, nella qualità di eredi del diretto firmatario non gravava un vero e proprio onere di disconoscimento ma solo quello di dichiarare di non conoscere la scrittura ovvero la sottoscrizione del loro autore.
6.2. Quanto ora rilevato esclude, in primo luogo, così disattendendosi la censura, più diffusamente articolata con il secondo motivo, la omessa considerazione della dichiarazione del Direttore della sede INPS di Ischia, avendo il giudice di appello dimostrato implicitamente di ritenere non dirimente tale dichiarazione, attribuendo rilievo decisivo al il mancato rinvenimento dell’originale del documento presso la sede provinciale dell’istituto, attestato dal responsabile della detta sede.
6.3. La censura incentrata sulla inidoneità della contestazione avente ad oggetto la fotocopia della dichiarazione di responsabilità del L. P. C. è infondata laddove assume la necessità della provenienza di tale contestazione dalla parte personalmente e non dal procuratore. La sentenza impugnata è, infatti, sul punto conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il disconoscimento della scrittura privata rientra nei poteri conferiti al difensore con la procura alla lite, essendo atto di natura processuale e non sostanziale, che non implica disposizione del diritto in contesa, ma concerne l’utilizzabilità del documento come mezzo di prova (Cass. 01/02/2010 n. 2318).
6.4. La censura incentrata sulla inidoneità delle espressioni utilizzate a configurare contestazione del documento è invece inammissibile, sia perché, in violazione del precetto di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non viene riprodotto il contenuto specifico dei termini usati per effettuare tale disconoscimento (v. in particolare pagg. 18 e 19 ricorso per cassazione), sia perché non vengono argomentate le ragioni per le quali tali espressioni dovevano ritenersi generiche o equivoche, tanto più che, come chiarito da questa Corte, il disconoscimento di un documento non richiede l’uso di formule sacramentali (Cass. 14/03/2006 n. 5461).
6.5. E’, invece, fondata la ulteriore censura con la quale si critica la sentenza impugnata per non avere proceduto ad accertare, sulla base degli elementi in atti, la conformità all’originale del documento costituito dall’autodenunzia all’INPS effettuata dal C. P.
6.6. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale si ritiene di dare continuità, il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura di cui all’art. 2719 cod. civ., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215, primo comma, numero 2), cod. proc. civ., giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzazione della scrittura, la contestazione ai sensi dell’art. 2719 cod. civ. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 21/11/2011 n. 24456; Cass. 21/04/2010 n. 9439; Cass. 03/02/2006 n. 2419; Cass 15/06/2004 n. 11269;) o di apprezzarne la efficacia rappresentativa (Cass. 21/04/2010 n. 9439).
6.7. La sentenza impugnata non è conforme ai principi sopra richiamati atteso che, a fronte del disconoscimento della copia fotostatica dell’autodenunzia, asseritamente depositata presso la sede INPS dal C. P., non ha proceduto ad alcuna verifica della conformità all’originale della copia contestata, come pure, invece, possibile sulla base di ragionamento presuntivo fondato sugli elementi acquisiti in atti (tra i quali la dichiarazione del responsabile della sede di Ischia che attestava la presenza presso il proprio ufficio di compie conformi ai documenti richiesti dai procuratori delle parti). Come ricordato, infatti, il giudice di appello ha mostrato di attribuire efficacia preclusiva all’utilizzazione del documento al mero dato del mancato reperimento dell’originale presso la sede INPS.
7. Si impone pertanto la cassazione della sentenza di appello con rinvio ad altro giudice di secondo grado che si indica nella Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione. Al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie nei limiti di cui in motivazione il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, alla quale demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
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