CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2022, n. 26370
Tributi – IRPEF – Adempimenti dei sostituti d’imposta – Provvigioni corrisposte agli incaricati alle vendite non residenti – Ritenuta a titolo di imposta – Esclusione
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate emise nei confronti della A.I. s.r.l., avviso con cui, per l’anno di imposta 2005, accertò, ai sensi dell’art.25 del d.P.R.n.600 del 1973 e dell’art.4 del d.P.R. n.322 del 1998, una maggiore ritenuta a titolo di imposta e, ai sensi dell’art.54 del d.P.R. n.633 del 1972, l’indebita detrazione d’imposta oltre le relative sanzioni e interessi.
Con separato atto di contestazione, considerando che la Società non aveva operato la ritenuta a titolo di imposta sulle provvigioni corrisposte agli incaricati alle vendite non residenti, venne irrogata una sanzione amministrativa, ai sensi dell’art.13, secondo comma, del d.lgs.n.471 del 1997.
In sintesi, l’Agenzia delle entrate ebbe a contestare alla Società di non avere operato la ritenuta a titolo di imposta su provvigioni corrisposte a persone fisiche non residenti nel territorio italiano, incaricate alle vendite a domicilio e di avere illegittimamente detratto l’IVA addebitata ad un proprio incaricato alle vendite che avrebbe cessato la propria partita IVA nel 2007 con efficacia retroattiva dal 2003.
Tutti gli atti vennero impugnati, dalla Società, con distinti ricorsi che la Commissione tributaria provinciale, previa riunione, accolse parzialmente, dichiarando la detraibilità dell’IVA e confermando, nel resto, gli atti impositivi.
La decisione, appellata da entrambe le parti, è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.) la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello principale proposto dalla Società e quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate.
Il Giudice di appello, per quanto qui ancora rileva (non essendo stato il capo di sentenza, con cui è stato confermato l’annullamento del rilievo concernente la detraibilità dell’IVA, impugnato con ricorso incidentale), riteneva che gli incaricati della vendita non residenti essendo privi di una stabile organizzazione in Italia non possono essere ivi considerati come imprenditori ed esercitare in Italia un’attività produttiva di reddito di impresa, per cui i compensi degli incaricati in questione, non essendo stati percepiti nell’esercizio di un’attività di impresa, costituiscono redditi diversi risultando così imponibili in Italia, ai sensi dell’art.23, comma 1, lettera f) del TUIR e soggetti a ritenuta a titolo di imposta del 30% ex art.25 del D.P.R. n.600 del 1973.
Avverso la sentenza, la A.I. s.r.l. ha proposto ricorso su quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art.23, comma 8 bis, della legge n.176 del 2020, in prossimità della quale il P.G. ha depositato le sue conclusioni scritte, chiedendo, in accoglimento del solo quarto motivo, rigettati gli altri, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R., mentre la ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.3, 23, e 55 TUIR e 2195 cod.civ. e censura la sentenza impugnata per avere il Giudice di appello qualificato le provvigioni corrisposte agli incaricati come redditi diversi imponibili in Italia ai sensi dell’art.23, comma 1, lettera f) del TUIR. Secondo la prospettazione difensiva, al contrario di quanto ritenuto dal Giudice di appello, non vi era dubbio che l’attività degli incaricati, che avevano operato senza alcun vincolo di subordinazione, rientrava nell’attività intermediaria nella circolazione dei beni e, quindi, in quelle previste dall’art.2195 c.c. e che, come già statuito per gli agenti di commercio, i redditi dell’attività dell’incaricato alla vendita potessero essere qualificati come redditi di impresa, a prescindere da un’organizzazione.
Con specifico riferimento alle provvigioni oggetto di contestazione si doveva, poi, escludere che le stesse potessero essere soggette a tassazione in Italia in quanto i relativi percettori avevano la propria residenza in Paesi con cui l’Italia aveva già sottoscritto e ratificato con legge la Convenzione internazionale contro la doppia imposizione.
2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5 cod.proc.civ., l’omessa motivazione su un fatto decisivo laddove la C.T.R. non aveva considerato che le provvigioni erano state corrisposte in relazione ad attività non svolte dagli incaricati nel territorio dello Stato.
3.Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.2,23, e 55 TUIR e degli artt.25 e 25 bis del d.P.R. n.600 del 1973 laddove la sentenza assoggetta le provvigioni corrisposte agli incaricati all’art. 25 del d.P.R. n.600 del 1973 anziché all’art.25 bis, stesso d.P.R.
4.Con il quarto motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, num.4 cod.proc.civ., sebbene rubricato:violazione dell’art.112 cod.proc.civ. per avere la C.T.R. omesso di pronunciare sulla domanda, proposta dall’A. in via subordinata, di condanna dell’Agenzia delle entrate al rimborso dei tributi ed accessori pagati a titolo provvisorio in corso di causa- la Società si duole che la C.T.R. non abbia pronunciato sulla domanda con cui, in via subordinata, si era contestata l’applicabilità delle sanzione, in considerazione dell’esistenza di chiarimenti ufficiali provenienti dall’Amministrazione finanziaria e ai quali la contribuente si era uniformata.
5. Appare utile premettere i dati di fatto della controversia, come emergono, pacificamente e in assenza di contestazione, dagli atti processuali e, prima ancora, dagli stessi atti impositivi impugnati.
La società A.I. s.r.l., negli anni oggetto della verifica fiscale, si avvalse dell’opera di soggetti, non residenti e privi di stabile organizzazione in Italia, incaricati alla vendita a domicilio, corrispondendo agli stessi, a titolo di provvigione indiretta per le vendite effettuate dalla linea, da loro creata e composta da ulteriori e diversi incaricati alle vendite residenti, un bonus.
Tale quadro fattuale è posto, come già detto, alla base dell’avviso di accertamento oltre che non contestato dall’Agenzia delle entrate.
6.Ciò posto, può accogliersi, da subito, il secondo motivo di ricorso. Con il mezzo, infatti, la ricorrente -pur indicando in rubrica il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5 cod.proc.civ.- ha, nell’illustrazione dedotto l’omesso esame ad opera della C.T.R. di un fatto decisivo.
6.1 Ne consegue l’ammissibilità del motivo di ricorso (essendo applicabile al ricorso il vigente disposto del citato num.5 per essere stata la sentenza impugnata depositata il 28 dicembre 2012) che è, pure, fondato.
6.2 La C.T.R., infatti, nel ritenere che le provvigioni corrisposte costituissero redditi diversi ha del tutto omesso di esaminare il fatto, decisivo e pacifico in atti, che gli incaricati in questione non svolgevano direttamente un’attività commerciale in Italia.
7. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda processuale, appare, altresì, utile delineare il quadro normativo di riferimento:
a) l’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (rubricato Applicazione dell’imposta ai non residenti) considera al suo primo comma, lett. e) prodotti in Italia i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio mediante stabili organizzazioni e alla lettera f) i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso.
b) l’art.67 del citato d.P.R. n.917 del 1986 – intitolato <<redditi diversi>>- prevede che sono redditi diversi se non sono conseguiti nell’esercizio delle arti o di professioni o di imprese commerciali ……né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:…i) i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;
c) l’art.25 del d.P.R. n.600 del 1973, nel prevedere l’obbligo di operare la ritenuta, a titolo di acconto dell’imposta, sul reddito delle persone fisiche dei percipienti, residenti nello Stato, sui compensi comunque denominati, esclude espressamente dalla ritenuta le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce: Salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti deve essere operata una ritenuta a titolo di imposta del trenta per cento anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi …corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.;
d) con l’entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, è stato introdotto, con effetto dal 1° gennaio 1983, l’art. 25 bis nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante la disciplina della “ritenuta sulle provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari”.
7.1 Tale normativa, nel perseguire lo scopo di rendere più sicuro e certo il prelievo fiscale per la specifica tipologia di reddito conseguito dalle categorie di soggetti di cui al predetto art. 25 bis, tra i quali sono espressamente ricompresi i venditori a domicilio, ha di fatto introdotto una deroga all’ordinaria disciplina del reddito d’impresa, in quanto prevede l’assoggettamento a ritenuta di componenti positivi di reddito costituenti a tutti gli effetti ricavi tipici d’impresa. I soggetti cui si riferisce l’art. 25 bis del D.P.R. n. 600/1973, infatti, ai sensi della normativa tributaria di cui all’art. 55 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono considerati titolari di reddito d’impresa, sempreché l’attività d’intermediazione commerciale sia esercitata in modo continuativo per professione abituale. In particolare, ai sensi di quanto previsto dal primo comma del sopra citato art. 55, per esercizio di imprese commerciali si intende lo svolgimento con il carattere dell’abitualità (ancorché non in via esclusiva) delle “attività indicate nell’art. 2195 c.c., …, anche se non organizzate in forma d’impresa”. Tra le attività commerciali elencate nell’art.2195 cod.civ. rientrano, annoverate nel numero 5), quelle denominate “ausiliarie”, nel cui ambito definitorio è fatta rientrare anche l’attività promozionale delle vendite esercitata dagli agenti di commercio (con o senza rappresentanza) la quale, pertanto, configura un’attività d’impresa ed i relativi ricavi conseguiti, costituiti tipicamente dalle provvigioni, costituiscono, pertanto, componenti positivi del reddito d’impresa. Può, quindi, concludersi nel senso che la norma di cui all’art. 25 bis del D.P.R. 600/1973 non è intervenuta nell’ambito definitorio di tali redditi, la cui natura rimane quella dei redditi d’impresa, ma si è limitata ad introdurre una nuova modalità di riscossione dell’imposta che ora avviene tramite l’effettuazione della ritenuta alla fonte.
8.Così ricomposto il quadro normativo di riferimento, la tesi dell’Agenzia delle entrate secondo cui, in mancanza di stabile organizzazione in Italia, non sussiste reddito di impresa e che, per questo, qualunque sia l’attività svolta all’estero dall’agente, mancherebbe rispetto all’attività svolta in Italia, il requisito di abituabilità e professionalità dell’attività come richiesto dall’art.55 TUIR, non può essere condivisa.
8.1 Premesso che in fatto, come sopra detto, è rimasta esclusa la mera occasionalità della prestazione, deve ritenersi, alla luce del quadro normativo come sopra delineato, che la qualifica del reddito di impresa permane anche nei confronti degli intermediari/agenti professionali non residenti e che, in applicazione del criterio enunciato all’art.23, primo comma, lett. e) del d.P.R. n.917 del 1986, il presupposto impositivo nei confronti del soggetto non residente si verifica esclusivamente nell’ipotesi (nella fattispecie esclusa) in cui i redditi derivino da un’attività esercitata in Italia mediante una stabile organizzazione. Nel caso (quale quello in esame) in cui, invece, l’intermediario non residente non si avvalga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, le provvigioni corrisposte dal soggetto committente non sono tassabili in Italia e, quindi, non sorgerà alcun obbligo di ritenuta.
8.2 Tale soluzione non solo trova conforto nel principio, già statuito da questa Corte (cfr. Cass.Sez.Un. n.7184 del 1983 ribadito da Cass.Sez.5 21 aprile 2011 n.9197) secondo cui <<la qualificazione di reddito di impresa dipende dal requisito soggettivo dell’esercizio dell’impresa commerciale da parte del percipiente a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito (essendo la ricorrenza della stabile organizzazione semplice condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia ed, inoltre, che, per poter scindere (e diversificare nel trattamento fiscale) le componenti del reddito d’impresa di un soggetto straniero e privo di autonoma organizzazione nel territorio dello Stato, è necessaria una specifica disposizione di legge>> ma è, altresì, conforme alle regole OCSE su business profits (art.7) e permanent estabilishment (art.5) le quali confermano che l’agente estero è imprenditore ed è soggetto di imposta nello Stato solo ove abbia lì una stabile organizzazione.
8.3 Tale regime impositivo è, peraltro, confermato anche dalla prassi (circolare 10 giugno 1983 n.24/8/8459) laddove (capitolo primo, paragrafo c) il Ministero delle finanze, a commento della normativa di cui al d.l. 30 dicembre 1982 n.953 (con cui è stato introdotto il citato art.25 bis), dopo avere ribadito l’applicabilità della ritenuta alle provvigioni corrisposte a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, ha affermato che di converso non sono assoggettabili alla ritenuta in esame le provvigioni erogate in favore di soggetti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione.
9.Alla stregua delle considerazioni che precedono vanno, quindi, accolti il primo e il terzo motivo di ricorso, non avendo la sentenza impugnata correttamente applicato alla fattispecie la normativa di riferimento come sopra interpretata. Il quarto motivo rimane assorbito dall’annullamento dell’atto impositivo e dell’atto con cui state applicate le sanzioni.
9.1 Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la decisione della controversia nel merito con l’accoglimento del ricorso originariamente proposto dalla Società limitatamente alle ritenute a titolo di imposte e relative sanzioni, in quanto il rilievo relativo all’indetraibilità dell’IVA è già stato annullato dai giudici di merito e la relativa statuizione non ha formato oggetto di ricorso per cassazione.
10.La novità delle questioni e la peculiarità della fattispecie inducono a compensare integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e quelle del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente, nei termini di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.