CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2022, n. 26399
Cessione del ramo d’azienda – Contratto di compravendita – Estromissione del lavoratore – Nullità e/o inopponibilità della clausola
Fatti di causa
1. M.M. convenne innanzi al Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, con procedimento ex lege n. 92 del 2012, le società L.P.M. Srl e L.P.G.M. LTD per sentir accogliere le seguenti domande:
1) dichiarare la nullità e/o la inopponibilità alla ricorrente della “clausola del contratto sottoscritto dalle convenute in data 17 dicembre 2014 per la compravendita del ramo d’azienda ‘funzioni e servizi globali con cui le convenute hanno pattuito l’estromissione della ricorrente del ramo d’azienda compravenduto. E, conseguentemente, dichiarare che la ricorrente è dipendente della società L.P.G.M. LTD a far data dal 1° gennaio 2015”;
2) dichiarare la nullità del licenziamento disposto nel giugno 2017 dalla L.P.M. Srl “in quanto determinato da motivi discriminatori e ritorsivi”, con le conseguenze di cui ai primi due commi dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, novellato dalla l. n. 92/12.
2. In primo grado, il Tribunale adito respinse i ricorsi della M., sia in fase sommaria che in fase di opposizione.
3. Interposto reclamo dalla soccombente, la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, lo ha respinto, compensando le spese.
La Corte, in estrema sintesi e per quanto in questa sede di legittimità possa ancora rilevare, ha confermato l’assunto del primo giudice circa la mancanza della prova di un intento ritorsivo che sorreggesse il licenziamento impugnato, ravvisando altresì la prova “della esistenza della allegata causale di indole oggettiva”, tanto da concludere che, “ad avviso del Collegio, gli elementi allegati, anche globalmente considerati, non consentono di ritenere comprovata, anche presuntivamente, la rimarcata ritorsività e/o discriminatorietà”.
4. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso M.M., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui ha resistito la sola L.P.G.M. LTD con controricorso.
5. In prossimità della pubblica udienza il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
La società ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza con cui il difensore della ricorrente evidenzia ragioni di connessione del presente procedimento con i ricorsi pendenti dinanzi a questa Corte ed iscritti ai numeri 4651/2020 e 13870/2022.
1.1. Questa Corte ha già affermato che il «rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti».
1.2. Si è aggiunto che «l’istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. cod. proc. civ., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all’accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev’essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell’impulso d’ufficio che lo caratterizza» (Cass. SS.UU. n. 8774/2021, con la giurisprudenza ivi richiamata).
1.3. Nel caso di specie, le ragioni addotte nell’istanza non appaiono al Collegio tali da giustificare un rinvio della decisione del presente ricorso, considerata l’autonomia dei giudizi e l’esigenza di assicurare la piena osservanza della previsione di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo.
2. I cinque motivi di ricorso, che riguardano la domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, possono essere sintetizzati secondo le rubriche di titolazione premesse dalla stessa parte ricorrente a ciascun motivo:
il primo denuncia: “Nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente, lacunosa e inintelligibile con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 118 co. 1 e 2 disp. att. c.p.c., art. 132 co. 2 n. 4, 113, 115, 116 c.p.c., art. 111 co. 1 2 e 6 Costituzione e art. 6 co. 1 della CEDU, art. 4 e 35 co. 1 e 2 Cost., art. 2, 3 e 24 Cost., art. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.”;
il secondo motivo denuncia: “Nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente, lacunosa e inintelligibile con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 co. 2 n. 4, 112, 113, 115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.”;
il terzo mezzo denuncia: “Nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente, lacunosa e inintelligibile con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 118 co. 1 e 2 disp. att. c.p.c., art. 132 co. 2 n. 4, 113, 115, 183 co. 4 e 101 co. 2 c.p.c., art. 111 co. 1 2 e 6 Costituzione e art. 6 co. 1 della CEDU, art. 4 e 35 co. 1 e 2 Cost., art. 2697, 2727 e 2729 e 2103 c.c., art. 1 co. 7 e 8 l. n. 223/91 e art. 24 d. lgs. 148/2015, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.”;
il quarto motivo denuncia: “Nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente e perplessa con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 118 co. 1 e 2 disp. att. c.p.c., art. 132 co. 2 n. 4, art. 111 co. 1 2 e 6 Costituzione e art. 6 co. 1 della CEDU, art. 4 e 35 co. 1 e 2 Cost., artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., art. 1 co. 7 e 8 l. n. 223/91 e art. 24 d. lgs. 148/2015, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.”;
il sesto motivo denuncia: “Nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente, lacunosa e inintelligibile con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 118 co. 1 e 2 disp. att. c.p.c., art. 132 co. 2 n. 4, 113, 115, 116 c.p.c., art. 111 co. 1 2 e 6 Costituzione e art. 6 co. 1 della CEDU, art. 4 e 35 co. 1 e 24 Cost., art. 1334, 1335, 2697, 2727 e 2729, art. 18 co. 10 l. n. 300/70, art. 4 e 24 l. n. 223/91, art. 5 e 11 l. n. 604/66, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. o, in via gradata, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”.
3. Tali motivi di ricorso presentano tutti plurimi e concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza, che non ne consentono l’accoglimento.
3.1. Opportuno premettere che, secondo questa Corte, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011).
Dal punto di vista probatorio l’onere ricade sul lavoratore in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non operando l’art. 5 l. n. 604 del 1966, ma esso può essere assolto anche mediante presunzioni (Cass. n. 23583 del 2019; Cass. n. 20742 del 2018; Cass. n. 18283 del 2010).
Non è dubbio che il valutare nella concretezza della vicenda storica se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione costituisca una quaestio facti, come tale devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di riesame innanzi a questa Corte di legittimità, con formali denunce di errori di diritto che, nella sostanza, mascherano nella specie la contestazione circa la valutazione di merito operata dai giudici ai quali è riservata.
3.2. Né tanto meno può criticarsi, in questa sede, la sentenza impugnata per il ragionamento presuntivo operato, perché spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010); va escluso che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva avrebbe dovuto condurre ad un esito interpretativo diverso da quello raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), spettando al giudice del merito l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’íd quod plerumque accidit (v. Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017).
3.3. In realtà i motivi di ricorso in esame invocano il vizio di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (a parte l’ultimo che, in via subordinata, prospetta anche il vizio di cui al n. 3 della stessa disposizione), sostenendo la nullità della sentenza impugnata per vizi radicali della motivazione.
In proposito è appena il caso di rammentare che le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta ‘alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016); il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per respingere il reclamo, basato sulla sostanziale condivisione dell’assunto di prime cure secondo cui non sarebbe stata raggiunta la prova dell’intento ritorsivo, mentre altro è se il ragionamento espresso corrisponda o meno al convincimento soggettivo della parte reclamante ed alle sue attese.
3.4. Inoltre detti motivi contengono promiscuamente la contemporanea deduzione di “violazione e/o falsa applicazione” di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, oltre che di Costituzione e di Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, senza però alcuna specifica ed adeguata indicazione, nell’illustrazione dei motivi, di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una corretta identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da … irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; tra le più recenti v. Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019); in particolare questa Corte ha più volte stigmatizzato tale modalità di formulazione che risulta irrispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione nei casi in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mèzzo di impugnazione, non risulti possibile – come nei motivi all’esame di questo Collegio – scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v. Cass. n. 7394 del 2010, n. 20355 del 2008, n. 9470 del 2008).
3.5 . Ancora, le plurime censure di violazione di legge trascurano di considerare che il vizio ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012); in realtà il vizio di violazione o falsa applicazione di ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione, per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata, il che nella specie non è, atteso che, nel corpo dei motivi in esame, parte ricorrente diffusamente critica la valutazione dei fatti come operata dai giudici del merito.
3.6. Il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002); l’osservanza del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio ‘di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006) ed è dunque inammissibile un ricorso che non consenta – come nella specie – di individuare in che modo e come le numerose norme invocate sarebbero state violate nella sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti nonché i punti della motivazione specificamente viziati (Cass. n. 17178 del 2014 e giurisprudenza ivi richiamata).
4. Passando, infine, all’esame del quinto motivo di ricorso, con esso si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in quanto sorretta da motivazione apparente e perplessa, e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., atteso che la Corte non avrebbe statuito sulla domanda della ricorrente avente ad oggetto “la declaratoria di nullità ex artt. 1418 co. 2 e 1345 c.c. della clausola contrattuale fraudolentemente inserita dalle due resistenti nel loro contratto per la compravendita del ramo aziendale cui la ricorrente apparteneva e da cui è stata pretermessa”. Si rammenta che il giudice di primo grado aveva decretato l’intervenuta decadenza ex art. 32 l. n. 183 del 2010 e la questione era stata devoluta in appello senza che il motivo di gravame trovasse risposta nella sentenza impugnata.
La censura è fondata.
Posta l’indubbia autonomia della domanda formulata sin dall’atto introduttivo del giudizio e volta a far dichiarare la nullità e/o la inopponibilità alla ricorrente di una clausola contenuta nel contratto di cessione del ramo d’azienda, al fine di far accertare che “la ricorrente è dipendente della società L.P.G.M. LTD a far data dal 1° gennaio 2015”, nella sentenza impugnata non è riscontrabile una motivazione che consenta a questa Corte di comprendere quale sia stato il percorso logico-giuridico seguito dai giudici di appello per respingere il motivo di gravame che aveva loro devoluto la questione.
5. In conclusione, deve essere accolto il quinto motivo di ricorso, respinti tutti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio al giudice indicato in dispositivo, che si uniformerà a quanto statuito pronunciando sulla questione della nullità e/o inopponibilità alla ricorrente della clausola del contratto sottoscritto dalle società convenute in data 17 dicembre 2014, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.