CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 aprile 2019, n. 9744

Infortunio sul lavoro – Responsabilità datoriale – Liquidazione del danno biologico cd. differenziale – Computo per poste omogenee – Ammontare complessivo del danno biologico decurtato del valore capitale della quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico – Esclusione della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 12 marzo 2014, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato la responsabilità della T. s.p.a. per i danni occorsi a B.A.V. a seguito dell’infortunio sul lavoro avvenuto il 20 dicembre 2002 e – per quanto qui ancora rileva – ha condannato la società a risarcire all’appellante i danni subiti, quantificati in complessivi € 64.930,98, oltre accessori dalla data della sentenza (27 novembre 2013) fino al soddisfo; ha altresì dichiarato inammissibile la domanda di regresso dell’I.N.A.I.L. avanzata nei confronti della società.

2. La Corte ha ritenuto che il danno non patrimoniale subito dall’appellante dovesse essere determinato in applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, tenendo conto del grado di invalidità quantificato dal c.t.u. e dell’età del ricorrente che alla data del sinistro aveva compiuto 45 anni. La somma in questione – secondo la Corte – risultava già aumentata per la componente di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza soggettiva. Veniva altresì applicata una ulteriore personalizzazione alla luce di quanto emerso in sede istruttoria circa la gravità del sinistro e dei postumi permanenti riportati. Dalla somma così aumentata ad € 200.000,00 veniva detratto l’importo della rendita capitalizzata corrisposta dall’INAIL nella misura pari a € 135.772,31.

Quanto alle somme dovute a titolo di risarcimento del danno per inabilità temporanea assoluta e parziale, la Corte ha ritenuto che dovessero essere limitate alla cifra indicata nel ricorso introduttivo del giudizio, non potendo essere riconosciuta una somma maggiore a causa di uno specifico difetto di domanda. Da tale dovuto venivano detratti € 3.346,71, corrispondenti alla somma erogata dall’I.N.A.I.L. per l’invalidità temporanea.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il V. con 4 motivi, cui hanno resistito A. s.p.a. (già T. s.p.a.) e I.N.A.I.L. con distinti controricorsi.

Parte ricorrente ha anche comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 c.c. e 13 d.lgs. n. 38 del 2000 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

1.1. Con una prima censura si evidenzia come sia errato il presupposto utilizzato dalla Corte di merito circa il fatto che il ricorrente non avesse contestato la produzione documentale dell’ente assistenziale, datata 19 febbraio 2009 e depositata all’udienza del 24 febbraio successivo, nella quale venivano indicate le somme erogate al V. in relazione all’infortunio. Si sostiene che sia nelle note del 3 marzo 2009 immediatamente successive al deposito dell’INAIL in primo grado, sia nelle note conclusive redatte nel giudizio di appello, la difesa del V. aveva eccepito la tardività e la genericità di detta produzione documentale, per cui l’omessa pronuncia in ordine a tali eccezioni avrebbe determinato la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Con una seconda doglianza si lamenta che la Corte territoriale aveva provveduto a decurtare l’intera rendita erogata dall’Inail dall’ammontare del danno civilistico, rendita che, in quanto corrispondente ad una menomazione stimata dall’Istituto nella misura del 29%, era comprensiva per legge sia dell’indennità per il danno biologico sia dell’indennità per il danno patrimoniale, per cui il mancato distinguo tra valori non omogenei avrebbe determinato una “illegittima e ingiustificata erosione del risarcimento spettante al ricorrente a titolo di danno non patrimoniale differenziale”, con violazione dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 13 del d. Igs. n. 38 del 2000.

1.2. Tale ultima censura, rispetto alla quale non è dato rinvenire il carattere di novità denunciato dalla controricorrente atteso che trattasi di questione esclusivamente giuridica emergente dalla stessa sentenza, è fondata nei sensi della motivazione che segue.

Rappresenta infatti principio oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per il quale: “in tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale” (Cass. n. 13222 del 2015; Cass. n. 20807 del 2016; v. pure Cass. n. 17407 del 2016 e, più di recente, Cass. n. 25618 del 2018).

Laddove quindi, come nella specie, l’INAIL abbia erogato in relazione all’infortunio una rendita mensile vitalizia per un danno superiore al 16% l’indennizzo, per espressa previsione legislativa, ha necessariamente un duplice contenuto perché quell’importo è destinato a compensare sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno. Pertanto il giudice deve procedere all’operazione di scomputo per poste omogenee, anche ex officio, avendo questa Corte affermato che il giudice debba procedere alla decurtazione finanche se l’INAIL non abbia in concreto provveduto all’indennizzo (cfr. Cass. n. 9166 del 2017).

La sentenza impugnata non si è attenuta al principio innanzi espresso, poiché ha determinato il credito residuo del danneggiato nei confronti del datore di lavoro responsabile senza indicare il valore capitale della sola quota di rendita erogata dall’INAIL per indennizzare il danno biologico, per cui essa va cassata sul punto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito procedendo a tale accertamento ed alla conseguente quantificazione nell’osservanza di detto principio di diritto, il che assorbe la prima censura del motivo con la relativa denuncia della società di inammissibilità per difetto di autosufficienza.

1.3. Su tale conclusione non spiega effetti lo ius superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 1126, della l. n. 145 del 2018, che ha modificato l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, avendo questa Corte già sancito il principio, qui ribadito, che dette modifiche “non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell’1.1.2019” (in termini, Cass. n. 8580 del 2019, cui si rinvia integralmente sul punto).

2. Per contiguità può essere esaminato il terzo motivo di ricorso con cui si impugna la statuizione della sentenza d’appello “quanto al risarcimento del danno per inabilità temporanea assoluta e parziale” e che è fondato rispetto ad entrambe le critiche mosse alla sentenza impugnata.

2.1. Nella prima parte del mezzo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., precisandosi che il ricorrente aveva sì provveduto a quantificare in una cifra determinata quanto dovuto per le voci di danno (invalidità temporanea assoluta e invalidità temporanea parziale) ma che, altresì, aveva formulato in merito una specifica domanda subordinata tramite la locuzione “salvo il più o il meno che parrà di giustizia” inserita, tanto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che nel ricorso in appello.

In effetti la clausola contenuta negli atti introduttivi dei rispettivi gradi, così come compiutamente riportata nel ricorso per cassazione in ossequio al canone di specificità e verificabile da questa Corte che, in presenza di denuncia di error in procedendo, è anche giudice del fatto processuale, non può essere considerata di mero stile secondo risalente insegnamento di questa Corte che in proposito statuisce: “la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma <o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia> non può essere considerata – agli effetti dell’art. 112 c.p.c. – come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche” (cfr. Cass. n. 4727 del 1984; tra le altre successive conformi v. Cass. n. 1324 e 2641 del 2006; Cass. n. 12724 del 2016; Cass. n. 22330 del 2017).

Pertanto la Corte distrettuale, nel rispetto del criterio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., non avrebbe dovuto limitare la determinazione del risarcimento del danno a titolo di invalidità temporanea ai soli importi originariamente quantificati da parte attrice.

2.2. Nella seconda parte il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 66 e 68 del D.P.R. n. 1124/1965, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di merito totalmente omesso di considerare che l’I.N.A.I.L. riconosce e indennizza unicamente l’invalidità temporanea assoluta e non anche il danno da invalidità temporanea parziale. L’omessa valutazione delle somme da riconoscersi al ricorrente a titolo di risarcimento dell’invalidità temporanea assoluta e parziale, espressamente richieste sia nel ricorso in primo grado sia nel ricorso in appello, configurerebbe una violazione dell’art. 112 c.p.c., determinando, dunque, una ulteriore e illegittima decurtazione delle somme dovute a titolo di danno biologico differenziale.

Anche tale censura merita accoglimento.

Invero l’indennizzo erogato dall’INAIL ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l’art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all’inabilità permanente (cfr. Cass. n. 4972 del 2018).

Pertanto il danno biologico temporaneo, determinato da una inabilità temporanea, ha natura “complementare” e non è suscettibile di decurtazione che, come detto, postula l’omogeneità delle poste da confrontare.

Ha errato dunque la Corte territoriale nel decurtare gli importi erogati dall’INAIL “per l’invalidità temporanea” senza tenere conto della distinzione tra pregiudizi che sono coperti dall’assicurazione obbligatoria, per i quali può operare il meccanismo del danno differenziale, e pregiudizi esclusi da tale copertura, per i quali grava l’integrale responsabilità sul datore di lavoro (cfr. Cass. n. 9166/2017 cit.).

3. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c..

Il ricorrente sottolinea la mancanza di motivazione della statuizione impugnata nella parte in cui la Corte di merito, da un lato, dichiara espressamente di condividere integralmente le conclusioni del c.t.u. e, dall’altro, si discosta apertamente da queste, riconoscendo e quantificando il danno biologico nella misura del 34%, anziché del 35% come accertato in perizia, senza fornire alcuna ragionevole e logica giustificazione di tale determinazione ovvero indicare quali ulteriori e diverse risultanze processuali l’avrebbero indotta in tal senso.

Il Collegio giudica il motivo inammissibile in quanto nel corpo del motivo non viene adeguatamente specificata la sede in cui il documento (c.t.u.) su cui il motivo si fonda è rinvenibile ai fini del giudizio di legittimità (per tutte v. Cass. SS.UU. n. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010).

4. Il quarto mezzo di gravame deduce ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. , contestando che la decisione impugnata appare “illogica, immotivata e certamente contra legem” poiché la Corte di appello ha riconosciuto la decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi solo dalla data della sentenza e non anche dalla data dell’evento lesivo, come espressamente richiesto, risultando incomprensibili i criteri utilizzati per l’attualizzazione degli importi riconosciuti a titolo di risarcimento.

La censura è infondata.

Essa denuncia un vizio di motivazione che in realtà non sussiste perché la Corte territoriale ha argomentato sulla decorrenza degli accessori dalla pronuncia della sentenza affermando che “la determinazione è stata fatta secondo criteri attuali”. Pertanto la motivazione non è omessa, né è contraddittoria o apparente, al punto da determinare la nullità della sentenza a mente dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., considerata la plausibilità dell’argomentazione offerta dalla Corte territoriale atteso che nell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile “la diretta liquidazione in valori monetari attuali” ed ove “non valgano a reintegrare pienamente il creditore” è onere del medesimo “provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo” (da ultimo cfr. Cass. n. 18564 del 2018).

5. Conclusivamente vanno accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso, respinti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio al giudice indicato in dispositivo, che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.