CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 aprile 2019, n. 9751
Licenziamento per superamento del periodo di comporto – Regola ex numeratione dierum o mese come unità convenzionalmente pari a trenta giorni – Periodo di comporto determinato in mesi va computato, salvo diversa volontà delle Parti sociali, secondo il calendario comune in base all’effettiva consistenza di essi
Fatti di causa
1. Con sentenza del 6.4.2017 nr. 890, la Corte di Appello di Milano respingeva il reclamo avverso la sentenza del locale Tribunale che, pronunciando in merito all’impugnativa di licenziamento, intimato a Z.A. da C.A.E. S.r.l., per superamento del periodo di comporto, rigettava la domanda.
1.1. La Corte distrettuale ha osservato, in primo luogo, che il rapporto di lavoro fosse disciplinato dal CCNL metalmeccanici CONFAPI del 2013, come ritenuto dal giudice di primo grado, sulla base delle risultanze delle buste paga, la cui statuizione non era stata oggetto di specifico reclamo.
1.2. Nel merito, ha osservato come il comporto prolungato, rilevante nella fattispecie, fosse pari a 18 mesi; per convertire in giorni tale periodo, ha ritenuto che non potesse farsi applicazione della regola legale del calendario comune prospettata dal lavoratore [365 (giorni): 12 (mesi) x 18 (mesi) = 547,56 giorni] ma piuttosto (dovesse) farsi riferimento al mese come unità convenzionalmente pari a trenta giorni [quindi 30 (giorni) x 18 (mesi) = 540 giorni]; la volontà delle parti collettive, infatti, secondo la Corte territoriale, come era desumibile da due riferimenti contenuti nell’art. 50 del CCNL, era stata quella di derogare alla regola generale del calendario comune sicché il licenziamento era legittimo, poiché il lavoratore era stato assente per 545 giorni, né erano emersi elementi che dimostrassero l’origine professionale delle malattie.
2. Propone ricorso per cassazione il lavoratore, affidato a quattro motivi.
3. Resiste, con controricorso, la parte datoriale;
4. Fissata l’Adunanza della Camera di Consiglio del 16.10.2018, il Collegio ha ravvisato le condizioni per la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge nr. 604 del 1966 e dell’art. 2697 cod. civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – error in procedendo per motivazione apparente e contraddittoria.
1.1. La censura afferisce alla statuizione della Corte di appello di individuazione del CCNL applicabile alla fattispecie di causa.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. La Corte di appello, in premessa, ha affermato che il contratto collettivo, fonte di disciplina del rapporto di lavoro, dovesse individuarsi in quello dei metalmeccanici CONFAPI; tale giudizio è stato reso in considerazione del fatto che la decisione del Tribunale – a tale riguardo pronunciatosi, in ragione delle emergenze, delle buste paga, nel senso dell’applicazione del CCNL CONFAPI – non fosse stata oggetto di censure, come si evinceva dal contenuto dell’atto di reclamo.
2.2. Osserva il Collegio che, sulla questione dell’applicazione del CCNL CONFAPI, è intervenuto giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nel presente giudizio di legittimità, per inammissibilità, ex art. 434 cod.proc.civ., dei motivi di reclamo formulati dalla ricorrente e riportati a pag. 22 del ricorso in cassazione.
2.3. La reclamante ha, infatti, censurato la decisione di primo grado assumendo la violazione dell’art. 2697 cod.civ. senza considerare che sulla decisione del Tribunale non avevano influito le regole di riparto degli oneri di prova, per avere il giudice di primo grado positivamente accertato l’applicabilità del CCNL metalmeccanici CONFAPI, per tacita, concorde volontà delle parti, come desumibile dalle risultanze delle buste paga.
2.4. Il ragionamento del Tribunale non è stato, dunque, adeguatamente sottoposto a critica dalla reclamante, come risulta dalla lettura del reclamo, che questa Corte può compiere come giudice del fatto processuale, in quanto fondato su censure inidonee ad incrinare il fondamento logico-giuridico della decisione impugnata.
2.5. Quanto al profilo concernente la motivazione, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., nr 19881 del 2014; Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360, primo comma, nr. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. nr. 83 del 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante che integra un «error in procedendo» e comporta la nullità della sentenza; tale situazione ricorre nel caso di «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», di «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.
2.6. E’ stato, inoltre, precisato che di «motivazione apparente» o di «motivazione perplessa e incomprensibile» può parlarsi laddove essa non renda «percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass., sez. un., nr. 22232 del 2016).
3. Il motivo non illustra affatto un errore motivazionale di tale gravità sicché, anche in parte qua, la censura si arresta ad una valutazione di inammissibilità.
4. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc. civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge nr. 604 del 1966 e dell’art. 2697 cod. civ. nonché dell’art. 50 del CCNL Metalmeccanici PMI CONFAPI e dell’art. 155, comma 2, cod.proc.civ. e dell’art. 2963 cod.civ.
5. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del CCNL Metalmeccanici PMI CONFAPI e dell’art. 155, comma 2, cod.proc.civ. e dell’art. 2963 cod.civ., degli artt. 1362, 1363, 1366 cod. civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – error in procedendo per motivazione apparente e contraddittoria.
6. I motivi, sostanzialmente sovrapponibili, possono trattarsi congiuntamente e sono fondati.
6.1. Essi, nella sostanza, pongono la questione del computo del periodo di comporto espresso in mesi.
6.2. La parte ricorrente critica la ricostruzione operata dalla Corte di appello laddove ha ritenuto che, per procedere alla conversione del mese in giorni, debba farsi riferimento, convenzionalmente, a 30 giorni (secondo la regola ex numeratione dierum) ed ha, invece, escluso l’applicazione della regola generale per cui i termini (nella specie i mesi) debbano calcolarsi secondo il calendario comune (ex nominatione dierum).
6.3. Occorre premettere l’accertamento compiuto dalla Corte di appello, qui non censurato; il ricorrente è stato assente per 545 giorni.
6.4. Il CCNL CONFAPI, con riferimento alla specifica situazione lavorativa del lavoratore, stabilisce un comporto di 18 mesi.
6.5. Il criterio di conversione è, dunque, decisivo: se si utilizza la regola ex numeratione dierum, si ha il superamento del comporto [18 (mesi) x 30 (giorni) = 540 giorni]; se, viceversa, il periodo di «18 mesi» viene calcolato secondo la regola nominatione dierum, il comporto non è maturato [365 (giorni)/12 (mesi)= 30,42 (giorni) x 18 (mesi) = 547,5 giorni].
6.6. In argomento, è stato ripetutamente affermato da questa Corte che il periodo di comporto determinato in mesi deve essere computato, salvo diversa volontà delle parti sociali, secondo il calendario comune in base all’effettiva consistenza di essi (id est: mesi), per il principio desumibile dall’art. 2963 cod.civ., comma 4, e dall’art. 155 cod.civ., comma 2, (Cass. nr. 13658 del 2015; Cass. 6554 del 2004; Cass. nr. 8358 del 1999, Cass. nr. 7925 del 1999, Cass. 12057 del 1995).
6.7. A sostegno di tale opinione si è osservato come il legislatore, mostrando di preferire una regola che più si avvicina alla durata effettiva di calendario dei mesi, abbia ripudiato un criterio che si discosta notevolmente dalla durata effettiva dell’anno posto che, con il diverso computo (vale a dire considerando il mese pari sempre a trenta giorni), questo assommerebbe a trecentosessanta giorni e non a trecentosessantacinque come è secondo calendario (per il computo dell’anno solare nel suo periodo effettivo: Cass. nr. 12057 del 1995 che richiama, al riguardo, Cass. nr. 6987 del 1987).
6.8. Di tale principio generale è applicazione, nel caso di comporto per sommatoria ai fini del licenziamento del lavoratore a seguito di ricaduta dello stesso in periodo di malattia, la regola secondo cui sia il termine interno, corrispondente alla somma delle assenze causate dai singoli episodi morbosi, che quello esterno, costituito dall’arco di tempo entro il quale i singoli episodi morbosi devono rientrare senza pregiudizio per la conservazione del posto di lavoro, debbano essere fissati secondo la effettiva consistenza che i mesi hanno in base al calendario comune e non già assumendone una durata convenzionale fissa costituita da un predeterminato numero di giorni (nella specie, appunto, trenta).
6.9. Ciò per scongiurare l’irrazionalità di un differente trattamento per situazioni aventi identica natura e cioè il comporto per sommatoria e quello per malattia unica (cd. secco), in cui il decorso dei mesi è sempre calcolato secondo il calendario comune (art. 2963, commi 1 e 4, cod. civ.) e quindi proprio al fine di evitare quella disparità di trattamento che, invece, la Corte territoriale imputerebbe al criterio ex nominatione dierum (del calendario comune).
7. Tali principi, condivisi dal Collegio, vanno ribaditi in questa sede.
7.1. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di appello ha ritenuto di desumere, da alcuni riferimenti contenuti nell’art. 50 CCNL Confapi, la volontà delle parti di derogare al criterio generale del calendario comune.
7.2. Tale volontà, secondo i giudici di merito, sarebbe ricavabile dalla previsione contenuta al punto 2) dell’art. 50 del CCNL CONFAPI laddove le parti collettive, dopo aver specificato i diversi periodi di comporto e preso in considerazione l’arco temporale di riferimento degli eventi morbosi, avrebbero stabilito: « 2) […] La malattia insorta durante il periodo di ferie consecutive di cui al 6° comma dell’art. 32, ne sospende la fruizione nelle seguenti ipotesi: a) malattia che comporta ricovero ospedaliero per la durata dello stesso; b) malattia la cui prognosi sia superiore a sette giorni di calendario […]», nonché in base al contenuto del punto 3) del medesimo art. 50: « 3) […] Nell’ipotesi di cui ai commi 3 e 4 del precedente punto 2) “Conservazione del posto” il trattamento sarà il seguente: – per anzianità di servizio fino a 3 anni compiuti, intera retribuzione globale per i primi 3 mesi e metà retribuzione globale per i 6 mesi successivi; – per anzianità di servizio oltre i 3 e sino ai 6 anni compiuti, intera retribuzione globale per i primi 4,5 mesi e metà retribuzione globale per i 9 mesi successivi; – per anzianità di servizio oltre i 6 anni, intera retribuzione globale per i primi 6 mesi e metà retribuzione globale per i 12 mesi successivi [..]».
7.3. Secondo i giudici di merito, il riferimento al «calendario» (comune) solo in relazione al numero di giorni di malattia rilevanti ai fini dell’interruzione delle ferie (punto 2) art. 50 CCNL Confapi) ed al mese, come unità indistinta, per commisurare la retribuzione dovuta durante il periodo di assenza (punto 3 art. 50 CCNL Confapi), fornirebbero utili argomenti per desumere la volontà delle parti collettive di riferirsi al criterio ex numeratione dierum, per il computo del comporto determinato in mesi.
7.4. Giudica, di contro, questa Corte che nessun elemento desumibile dalla disposizione in commento consenta di avvalorare l’interpretazione della Corte territoriale e di derogare al criterio generale del calendario comune, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, che, dunque, fornisce la regola anche del caso concreto.
8. Conseguentemente, la sentenza impugnata è incorsa in errore di diritto.
9. Non osta, peraltro, a tale conclusione la pronuncia, pure richiamata nella sentenza impugnata, di questa Corte nr. 15222 del 2016 che, nell’interpretare l’art. 21 del CCNL Enti Locali, relativo a fattispecie di comporto espresso in mesi, ha osservato che « […] il sistema di calcolo (debba) essere unico e avere caratteristiche di omogeneità e uniformità. Ai predetti fini il divisore deve essere sempre 30, anche se le assenze siano cadute in mesi dell’anno di durata inferiore o superiore a 30 giorni. E’ dunque corretto ritenere che i 18 mesi del periodo di comporto equivalgono sempre e comunque a 540 giorni».
9.1. Osserva il Collegio che, nel precedente in oggetto, la Corte si è limitata ad interpretare in concreto la clausola di un diverso contratto collettivo, senza operare un’affermazione di carattere generale.
10. Il quarto motivo, con cui è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché dell’art. 420 cod.proc.civ., censurandosi la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti per dimostrare l’origine professionale della malattia, resta – assorbito dalle precedenti argomentazioni.
11. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di Appello di Milano che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della fattispecie, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati.
12. La Corte di rinvio provvederà, inoltre, alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo, dichiara inammissibile il primo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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