CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 giugno 2018, n. 15032
Contratto di lavoro a tempo indeterminato – Mansioni di autista – Rifiuto di sottoscrivere le buste paga – Licenziamento – Assenza dal lavoro – Imputabilità al datore
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Vibo Valentia F. I. esponeva che:
– era stato assunto da S. C. D. (titolare dell’omonima ditta individuale) con contratto di lavoro a tempo indeterminato dal 4.2.2003, con mansioni di autista; -dal febbraio 2008 non aveva ricevuto né busta paga né retribuzione per rifiuto di sottoscrivere le prime; – era stato invitato a restare a casa fino a quando non si fosse deciso a firmare le buste paga; – con lettera raccomandata del 14.4.08 il S. gli contestava l’assenza ingiustificata a decorrere dal 26.3.2008, cui egli replicava rappresentando che l’assenza era da imputare al licenziamento di fatto irrogatogli il 26.3.2008 per non aver sottoscritto le buste paga; -il 6.6.08 veniva licenziato (per iscritto) in tronco per assenza ingiustificata dal 26.3.08; – il licenziamento era illegittimo in quanto tardivo e perché l’assenza era imputabile al datore di lavoro che aveva rifiutato la sua prestazione lavorativa. Chiedeva pertanto dichiararsi l’inefficacia o illegittimità del recesso con ordine di reintegra e pronunce consequenziali ex art. 18 S.L. L’impresa S. restava contumace.
Il Tribunale dichiarava inesistente il licenziamento verbale del 27.3.08 e condannava il S. a reintegrare lo I. nel suo posto di lavoro ed a corrispondergli le retribuzioni maturate dal 6.6.08.
Avverso tale pronuncia proponeva appello il S.; resisteva lo I.
Con sentenza depositata il 29.10.15, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato allo I. il 6.6.08, condannando il S. al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla effettiva reintegra, detratto l’aliunde perceptum.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il S., affidato a due motivi.
Il lavoratore è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi di lavoro”.
Lamenta che la sentenza impugnata riconobbe la tutela cd. reale nonostante il lavoratore non avesse minimamente allegato, e tanto meno provato, il requisito dimensionale necessario a tal fine. Che in ogni caso la Corte di merito aveva errato nel non ammettere la prova (documentale) al riguardo prodotta dall’impresa in grado di appello, applicando peraltro erroneamente il principio di non contestazione (Cass. S.U. n. 761/02), valido solo laddove un determinato fatto sia stato esplicitato dalla controparte, non potendo invece contestarsi ciò che non è stato detto (Cass. n.H353/04).
2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 414 c.p.c., 8 L. n. 604/66 e 18 L. n. 300/70, lamentando che la sentenza impugnata non aveva valutato l’assenza di allegazioni circa il requisito dimensionale da parte del lavoratore, senza peraltro ammettere la produzione documentale dell’impresa in grado di appello, non considerando che la negazione del requisito dimensionale non costituisce una eccezione in senso stretto, e non esercitando neppure i poteri istruttori ufficiosi previsti dal codice di rito.
3. – I motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.
Deve innanzitutto chiarirsi che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, a partire da Cass. sez.un. n. 141/06, in tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento, sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi, e dunque una eccezione, quanto meno in senso lato (Cass. n. 26289/13, n. 12907/17), del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, anche ex art. 24 Cost., il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa (cfr. da ultimo Cass. n. 9867/17).
Deve poi rimarcarsi che il lavoratore, come emerge chiaramente dalla sentenza impugnata, ebbe a richiedere in primo grado la reintegra nel suo posto di lavoro, sicché non può neanche affermarsi che vi sia stato un difetto di allegazione da parte di questi con la conseguenza che l’impresa non avrebbe potuto contestare tempestivamente tale circostanza: ed invero il ragionamento dell’attuale ricorrente si basa sulla mancata esplicitazione, da parte del lavoratore, del requisito numerico necessario per l’applicazione della tutela cd. reale, onere, come evidenziato dalle sezioni unite e da tutta la successiva giurisprudenza (ex aliis, Cass. nn.l2722/06, 15948/06, 6344/09, etc.) non gravante sul lavoratore bensì sul datore di lavoro.
Va a questo punto considerato che secondo un altrettanto consolidato orientamento di questa Corte (a partire da Cass. S.U. n. 8202/05), nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, cod.proc.civ., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare – onere probatorio gravante anche sull’attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 – e 437, secondo comma, cod.proc.civ, che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova – fra i quali devono annoverarsi anche i documenti – l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello.
Nella specie, dunque, correttamente i giudici di appello hanno ritenuto inammissibile la produzione documentale offerta dal S. solo in grado di appello (che neppure chiarisce in quali termini e quando ebbe a richiedere l’esercizio dei poteri ufficiosi da parte della Corte di merito), nonostante si trattasse di documentazione preesistente al giudizio di primo grado (libri matricola, pag. 4 sentenza impugnata). In argomento cfr. Cass. S.U. n. 15661/05, Cass. n. 18602/13, secondo cui l’eccezione in senso lato (nella specie di interruzione della prescrizione), può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente (Vite e recte) acquisiti agli atti.
Correttamente poi il giudice d’appello ha evidenziato che sebbene la contumacia costituisca un comportamento ‘neutrò, sicché non potrebbe applicarsi al contumace il principio di non contestazione (cfr. Cass. n. 24885/14), come del resto ora stabilito dal novellato art. 115 c.p.c., ciò non di meno non può attribuirsi al contumace alcun vantaggio rispetto alla parte costituita, quale ad esempio e nella specie, il diritto di sollevare eccezioni o produrre documenti o chiedere prove solo in grado di appello, in contrasto coi principi sopra rammentati e con gli artt. 345 e 437 c.p.c. (quest’ultimo, di natura speciale inerente il rito del lavoro, di tale tenore ancor prima della novella di cui alla L. n. 69/09).
Va infatti rammentato che nel rito del lavoro, la parte rimasta volontariamente contumace nel giudizio di primo grado deve accettare il processo nello stato in cui si trova, con tutte le preclusioni e le decadenze già verificatesi, con la conseguenza che soggiace, nel giudizio di appello, alle preclusioni nelle quali sia incorso per essere decaduto, omettendo di costituirsi ritualmente in primo grado, dal diritto di proporre i mezzi di prova di cui intenda valersi. Né può rilevare il potere del giudice di appello di ammettere nuovi mezzi di prova, ove il ritenga indispensabili ai fini della decisione, poiché, a prescindere dal carattere meramente discrezionale di siffatta valutazione, tale potere non può essere esercitato allo scopo di sanare decadenze già verificatesi e, in particolare, la decadenza del convenuto (appellante), in ordine all’indicazione dei mezzi di prova, determinata, ai sensi dell’art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., dalla sua tardiva costituzione oppure dalla sua contumacia in primo grado (Cass. n. 6441/95, n. 6935/98). Nel senso che ¡ poteri ufficiosi non possano essere comunque esercitati dal giudice d’appello allorquando si sia già verificata una decadenza, cfr. da ultimo Cass. n. 23652/16.
Questa Corte ha del resto più volte in via generale osservato che (cfr. per tutte Cass. n. 5878/11, Cass. n. 22305/07) che nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza delle seguenti circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, e solo infine l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta comunque non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa. Non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorché la parte sia incorsa in decadenze per la tardiva costituzione in giudizio in primo grado e non sussista, quindi, alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare un quadro probatorio già tempestivamente delineato.
4. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Nulla sulle spese, essendo lo I. rimasto intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 aprile 2021, n. 10878 - Nel rito del lavoro il convenuto deve indicare, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare e…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 novembre 2021, n. 30997 - A norma dell'art. 327, secondo comma, cod. proc. civ., la parte soccombente rimasta contumace può proporre impugnazione nei confronti della sentenza non notificatagli personalmente anche dopo…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 18585 del 9 giugno 2022 - In tema di processo tributario, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che la parte rimasta contumace non abbia avuto conoscenza del processo a…
- Corte di Cassazione sentenza n. 14339 depositata il 5 maggio 2022 - Nel processo tributario è ammissibile la produzione di nuovi documenti in appello, in quanto, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 12662 depositata il 12 maggio 2021 - In virtù della funzione del giudizio di legittimità di garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge. Nel processo civile, caratterizzato da un sistema di decadenze…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 18310 depositata il 7 giugno 2022 - L'obbligatorietà dell'integrazione del contraddittorio nella fase dell'impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…