CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 luglio 2020, n. 14370
Licenziamento – Reintegrazione nel posto di lavoro – Tardività dell’opposizione allo stato passivo del fallimento
Fatti di causa
Con sentenza del 7 luglio 2017, la Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto da M.R. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione dell’opposizione all’ordinanza ai sensi dell’art. 1, quarantanovesimo comma I. 92/2012 di rigetto della sua domanda di estensione dell’efficacia della sentenza dello stesso Tribunale di Napoli n. 19520/2013 (di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole dalla datrice Casa di Cura V.S. s.p.a. in liquidazione il 13 maggio 2011 e di condanna della società alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 I. 300/1970, nel testo vigente ratione temporis) nei confronti del Fallimento della società datrice, dichiarato qualche giorno prima della pronuncia della sentenza.
A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la formazione di un giudicato sulla pronuncia del Tribunale fallimentare, in quanto non di mero rito (e quindi assimilabile ad una pronuncia di inammissibilità della domanda, pertanto riproponibile), avendo il giudice fallimentare pronunciato nel merito del credito fondato sulla sentenza detta. Esso aveva infatti reso un decreto di inammissibilità, per tardività dell’opposizione allo stato passivo del Fallimento, dal quale la lavoratrice era stata esclusa per il credito insinuato di importo pari all’indennità sostitutiva della reintegrazione per l’esercizio ivi dell’opzione ai sensi dell’art. 18, quinto comma l. 300/1970, attesa l’inopponibilità della sentenza del Tribunale di Napoli n. 19520/2013, quale antecedente logico-giuridico.
Ciò precludeva pertanto una pronuncia sulla domanda di estensione dell’efficacia della medesima sentenza nei confronti del suo Fallimento Casa di Cura V.S. s.p.a. Con atto notificato il 5 settembre 2017, la lavoratrice ricorreva per cassazione con due motivi; la curatela fallimentare intimata non svolgeva difese.
La causa, inizialmente trattata in adunanza camerale con comunicazione di memoria della ricorrente ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., era quindi rinviata a nuovo ruolo per la fissazione all’odierna pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per l’esclusione della formazione di un giudicato sulla pronuncia del Tribunale fallimentare, attesa la competenza funzionale del giudice del lavoro in materia di impugnazione del licenziamento, in difetto di vis actractiva del foro fallimentare, comportante l’acquisibilità di un titolo opponibile al fallimento (dichiarato nelle more della pronuncia della sentenza a conclusione del giudizio nei confronti della società in bonis) davanti al giudice del lavoro competente nei confronti del fallimento medesimo; essendosi poi il Tribunale fallimentare limitato alla pronuncia in rito di inopponibilità della sentenza suddetta, pertanto inidonea al giudicato.
2. Esso è inammissibile.
2.1. In via preliminare, occorre rilevare il difetto di specificità del mezzo, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., per omessa trascrizione, nel corpo del ricorso, del giudicato oggetto di contestazione (meritevole, sia pure integrante regola del caso concreto, di interpretazione e pertanto questione di diritto da accertare direttamente): sicché, una tale omissione osta all’esercizio di ogni tipo di attività nomofilattica da parte del giudice di legittimità, possibile solo se la sentenza da esaminare venga messa in tal guisa a disposizione (Cass. 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. 16 luglio 2014, n. 16227; Cass. 23 agosto 2018, n. 21041).
2.2. Ma esso è altresì generico, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860).
Il motivo non contiene, infatti, alcuna confutazione della ratio deciderteli della sentenza impugnata (chiaramente esposta dal terzultimo capoverso di pg. 4 al secondo di pg. 5 della sentenza), fondata sulla natura di pronuncia nel merito della sentenza del Tribunale fallimentare di inammissibilità per tardività dell’opposizione: con la conseguenza, non già di una pronuncia di mero rito, ma di giudicato (rectius: preclusione endofallimentare) della decisione in sede di accertamento dello stato passivo di mancata prova (questo essendo il senso del rigetto) del credito insinuato per importo corrispondente all’indennità sostitutiva della reintegrazione, nell’esercizio di una tale facoltà con l’insinuazione allo stato passivo, in quanto fondato su titolo (la sentenza del Tribunale di Napoli n. 19520/2013) inopponibile, perché formatosi dopo la dichiarazione di fallimento.
2.3. Infine, ogni questione riguardante il riparto cognitorio tra giudice del lavoro e fallimentare, è assolutamente inconferente, per la chiara scelta della lavoratrice di partecipazione al concorso, con l’insinuazione allo stato passivo del credito suindicato, che avrebbe dovuto essere dimostrato, nella sussistenza dei suoi presupposti di legittimo esercizio del diritto di opzione e di conseguente spettanza della relativa indennità sostitutiva (ossia, di illegittimità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro, già oggetto di accertamento davanti al giudice del lavoro, peraltro inopponibile), in via incidentale in sede di opposizione allo stato passivo, in funzione strumentale all’ammissione della pretesa patrimoniale insinuata (Cass. 20 agosto 2013, n. 19271; Cass. 21 giugno 2018, n. 16443).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce vizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. di omessa pronuncia su un punto controverso decisivo prospettato dalle parti, quale l’oggetto della domanda di accertamento del diritto della lavoratrice a far accertare l’invalidità del licenziamento nei confronti del Fallimento, avendo la Corte territoriale presupposto un’eventuale utilizzazione dell’accertamento a fini di conversione di un “tale diritto in una pretesa economica ex art. 18 legge 300/70” , ribadita la mancata formazione di “alcun giudicato implicito sulla domanda di impugnativa”, con “elusione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato e … completa omissione di pronunzia sulla domanda di impugnativa di licenziamento oggetto del gravame proposto”.
3.1. Esso è infondato.
3.2. La doglianza non è correttamente formulata, quale error in procedendo, posto che esso esige, non già l’esplicita menzione della fattispecie prevista dall’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., ma l’univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, senza del quale il motivo deve essere dichiarato inammissibile, allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. s.u. 24 luglio 2013, nn. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862).
3.3. Ma al di là della del suddetto rilievo, neppure sussiste il vizio denunciato di omessa pronuncia.
Esso ricorre, infatti, quando sia omessa qualsiasi decisione su un capo di domanda, per esso intendendosi ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308).
Nel caso di specie, la Corte partenopea ha invece pronunciato, rigettando con le argomentazioni sopra richiamate la domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento, non tanto in sé, ma quale presupposto logico – giuridico del diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione, positivamente esercitato dalla lavoratrice nell’insinuazione allo stato passivo.
5. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo la curatela fallimentare vittoriosa svolto difese; e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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