CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 maggio 2019, n. 12136
Tributi erariali diretti – Imposte sui redditi – Accertamento – Studi di settore – Contraddittorio procedimentale
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento notificato in data 10-11-2009, basato sugli studi di settore ai sensi dell’art. 62 sexies d.l. 331/1993, per l’anno 2004, nei confronti della F.I. s.r.l. in liquidazione, a seguito di contraddittorio procedimentale.
2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, con sentenza che veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in accoglimento dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, riconosceva l’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati, correlati a quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche di analoghe attività.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
4. L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge 212/2000 in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. – Nullità dell’atto di accertamento per carenza di motivazione”, in quanto la Commissione regionale ha omesso di pronunciare sulla eccezione sollevata dalla ricorrente in primo grado, in relazione alla carente ed insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento, fondato unicamente sulla base degli studi di settore. L’Agenzia delle entrate si è, infatti, limitata al richiamo alle norme di legge, senza aggiungere alcunché alla contestazioni delle “gravi incongruenze”.
1.1. Tale motivo è infondato.
Invero, il motivo è autosufficiente, in quanto la ricorrente ha provveduto a trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento nel ricorso. Inoltre, la ricorrente ha affermato di avere articolato la censura di difetto di motivazione con il ricorso introduttivo, poi accolto in primo grado proprio per insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento.
Si evidenzia che il ricorrente, pur censurando la sentenza di appello per violazione di legge, indica come parametro di controllo giurisdizionale l’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., che attiene, invece, al vizio di motivazione della sentenza. Tuttavia, la rubrica del motivo non è decisiva per la qualificazione della tipologia di censura articolata dal ricorrente, dovendosi porre attenzione sulla reale portata dello stesso.
Infatti, per questa Corte l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina “ex se” l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass., sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12690; Cass. Sez.Un., 17931/2013).
Tra l’altro, poiché la sentenza è stata depositata il 20-11-2012, trova applicazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., come modificato dal d.l. 83/2012.
Nella specie, quindi, la doglianza attiene alla “omessa pronuncia” da parte della Commissione regionale sulla eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, sollevata in sede di ricorso introduttivo, quindi ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.
Il motivo è, però, infondato nel merito.
Infatti, la Commissione regionale ha ritenuto che l’avviso di accertamento poggiava su gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati, “correlati a quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio di analoghe attività svolte”. Inoltre, la sentenza di appello ha ritenuto che la società non avesse fornito la prova della inesistenza delle gravi incongruenze, in quanto dai costi sostenuti, con riguardo all’acquisto di grandi quantitativi di materie prime ed alle spese per lavoro dipendente, non emergeva la crisi imprenditoriale dedotta dalla contribuente. Il notevole ammontare delle spese di lavoro, quindi, faceva desumere un incremento della attività produttiva e non la dedotta flessione della stessa.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nel processo tributario in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – onere probatorio nel processo tributario”, in quanto la Commissione regionale avrebbe erroneamente applicato la regole sul riparto dell’onere probatorio, avendo ritenuto sufficiente, ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento, la divaricazione significativa tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, senza necessità di ulteriori elementi di supporto alla pretesa impositiva.
2.1. Tale motivo è infondato.
Invero, costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello per cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass.Civ., Sez.Un., 18 dicembre 2009, n. 26635; Cass.Civ., 30 ottobre 2018, n. 27617; Cass.Civ., 7 giugno 2017, n. 14091; Cass.Civ., 24 novembre 2016, n. 24003).
La contribuente nel corso del contraddittorio non ha depositato documentazione utile a fornire la controprova della peculiare situazione economica in cui versava la società.
Solo nel giudizio la ricorrente ha depositato documentazione, ma neppure in questa sede ha riportato i dati salienti del bilancio idonei a dimostrate la crisi dell’impresa (cfr. pagina 9 del ricorso per cassazione “dai bilanci che FEN ha potuto produrre solamente in sede di ricorso innanzi al CTP, in conseguenza , lo si ribadisce , del disinteresse mostrato dall’Agenzia in sede di contraddittorio, si evince con chiarezza che a partire dal 2004 le importanti riserve di utili , accantonate nel corso degli anni, cominciavano a diminuire notevolmente”). Pertanto, la ricorrente si limita ad allegare l’esistenza di bilanci, senza indicare il contenuto degli stessi, impedendo al Collegio di comprenderne la rilevanza.
La Commissione regionale, dunque, correttamente ha ritenuto che, con l’utilizzo degli studi di settore di cui all’art. 62 sexies d.l. 331/1993, ed a seguito del contraddittorio con la contribuente, non vi era necessità di alcun ulteriore elemento di supporto probatorio per dimostrare l’effettivo significativo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dalla applicazione degli studi di settore.
Del tutto correttamente ha, poi, posto a carico della contribuente l’onere di dimostrare l’inesistenza delle gravi incongruenze, concludendo nel senso che la società tale onere non ha adempiuto, in assenza di elementi giustificativi della asserita crisi dell’impresa. Anzi, proprio dai grandi quantitativi di materie prime acquistate e dalle spese per personale dipendente, emergeva un “incremento della richiesta lavorativa”.
3. Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva svolta dalla Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 04 aprile 2019, n. 9452 - In tema di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, la relativa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 marzo 2021, n. 8327 - La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17303 - La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 settembre 2019, n. 23891 - La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 novembre 2019, n. 28680 - La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10711 - La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…
- Nel giudizio civile con il gratuito patrocinio la
La Corte costituzionale con la sentenza n. 64 depositata il 19 aprile 2024, inte…
- Il titolare del trattamento dei dati personali é r
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-741/2021 depositat…