CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2018, n. 5556
Licenziamento collettivo – Comunicazione alle organizzazioni sindacali ex art. 4, co. 3, L. n. 223/1991 – Mancanza di chiarezza – Nesso tra i motivi di crisi e individuazione dei lavoratori in esubero – Non sussiste – Funzione sindacale di controllo e valutazione non effettivamente limitata – Possibile indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, avuto riguardo al profilo professionale – Non necessaria indicazione specifica degli uffici o reparti
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 27.1.2015 la Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale di Cassino, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla società S.R. s.p.a. a I.A. in data 29.7.2009 nell’ambito di una procedura di mobilità avviata con comunicazione del 26.11.2008, con conseguente condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dei profili risarcitori.
2. La Corte distrettuale ha condiviso le valutazioni del giudice di prime cure sulla mancanza di chiarezza, nella comunicazione alle organizzazioni sindacali ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, in ordine al nesso tra i motivi di crisi determinanti l’avvio della procedura e l’individuazione dei lavoratori ausiliari socio sanitari in esubero presso la struttura di Cassino, essendo rimaste del tutto indeterminate le indicazioni su quale, quanto, in che modo il personale ausiliario potesse essere impiegato nel servizio OTA (Operatore Tecnico addetto all’Assistenza) e in quale misura detto personale fosse necessario ad “ottemperare agli obblighi di legge”, ed ha, inoltre, escluso il vizio di ultrapetizione della sentenza del Tribunale a fronte delle deduzioni di genericità e insufficienza della comunicazione di avvio contenute nel ricorso introduttivo del giudizio.
3. Per la cassazione della sentenza impugnata la società propone ricorso fondato su due motivi. La lavoratrice oppone difese con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la società denuncia violazione degli artt. 112 e 99 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod.proc.civ.) avendo, sia la Corte distrettuale che il giudice di prime cure, emesso un provvedimento ultra petita, in quanto nel ricorso introduttivo del giudizio, laddove si contestava la violazione dell’art. 4 legge n. 223/1991, il lavoratore non aveva evidenziato i profili di illegittimità rilevati dalle sentenze di merito, ma si era limitato a contestare la violazione della norma sotto il diverso profilo della mancanza di ogni riferimento concreto alla situazione economica dell’impresa e dell’erronea indicazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato. In particolare, l’illegittimità del licenziamento collettivo è stata ravvisata con riguardo al mancato riferimento alla figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS) e all’intenzione di avviare un processo di riorganizzazione tale da pregiudicare il personale addetto alle pulizie.
2. Con il secondo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 3 e 9, e 5 della legge n. 223 del 1991, della legge regionale n. 4 del 2003, degli artt. 414, 425, 116 cod.proc.civ., dell’art. 2697 cod.civ., dell’art. 41 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale violato la legge n. 223 del 1991 laddove, rilevando che l’inadeguatezza delle informazioni deve essere valutata nella misura in cui ha potuto condizionare il potere di controllo delle organizzazioni sindacali e la conclusione di un eventuale accordo, non ha considerato che era esclusivo onere del lavoratore, da un lato, dedurre specificamente simili maliziose elusioni e, dall’altro, provare in quale misura le stesse avessero potuto condizionare le scelte aziendali. Inoltre, la Corte distrettuale ha omesso di considerare che la legge regionale n. 4 del 2003 (in conformità a quanto già previsto dalla Determina della Giunta Regionale n. 434 del 2001) – da ritenersi richiamata nella comunicazione di avvio della procedura ove si rinviava agli “obblighi di legge” – ha abrogato (con effetto dalla data di approvazione del Regolamento di attuazione, approvato il 26.1.2007) la legge regionale n. 64 del 1987 ed ha espressamente richiesto, nell’ambito delle dotazioni organiche di tutti i settori della riabilitazione, solamente gli OTA (Operatori Tecnici addetti all’Assistenza) poi sostituiti dagli OSS (Operatori Socio Sanitari) escludendo quindi i meri ausiliari, risultando, dunque, coerente l’attribuzione – in sede di graduatoria del personale in esubero – di maggior punteggio agli ausiliari dotati di titolo di OSS.
3. Il primo motivo è infondato.
Come già affermato da questa Corte relativamente alla stessa procedura di licenziamento (Cass. n. 10539 del 2016), dal tenore dell’originario ricorso – come risultante dalla trascrizione contenuta nel controricorso – potevano ritenersi prospettate carenze, relativamente alla lettera di avvio della procedura, concernenti l’impossibilità di verificare, da parte delle organizzazioni sindacali, le unità lavorative da espellere “con riferimento al singolo profilo professionale e collocazione aziendale”, nell’ambito dell’unica categoria (ausiliari) interessata dall’esubero.
Va, inoltre, ribadito che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta a che il giudice renda la sentenza sulla base di una ricostruzione fattuale degli accadimenti effettuata sulla base di elementi emersi nel corso dell’istruttoria regolarmente svolta nel contraddittorio delle parti, senza che ne risultino mutati gli elementi essenziali della domanda originariamente formulata, in termini di petitum e causa petendi (in tal senso Cass. n. 10539 innanzi citata nonché Cass.n. 15231 del 2002).
4. Il secondo motivo è fondato.
La Corte territoriale ha rinvenuto il vizio della procedura nella mancanza di chiarezza nella comunicazione in ordine al nesso tra i motivi di crisi determinanti l’avvio della stessa e l’individuazione dei lavoratori ausiliari in esubero presso la struttura di Cassino. La Corte, peraltro, richiamando il tenore testuale della comunicazione di avvio della procedura che faceva riferimento, quanto all’individuazione del personale ausiliario da mantenere in servizio, a quello “necessario ad ottemperare agli obblighi di legge” ha omesso di considerare l’esplicito rinvio alla legge regionale vigente ratione temporis (ossia la legge della Regione Lazio n. 4 del 2003) che prescriveva l’obbligo per le case di cura dotate dell’autorizzazione allo svolgimento di attività di riabilitazione di dotarsi di personale in possesso della qualifica di Operatore Socio Sanitario (O.S.S.), disposizione normativa che – abrogando la precedente legge regionale n. 64 del 1987 – aveva eliminato dall’ambito delle dotazioni organiche il personale ausiliario. In particolare, trattandosi di struttura autorizzata all’esercizio di attività sanitarie ed avendo, la società, specificamente circoscritto il servizio su cui incideva l’esubero (il personale ausiliario), era agevolmente comprensibile – dal contesto complessivo della comunicazione di avvio della procedura – il rinvio alle fonti normative alle quali riferirsi per individuare la dotazione organica necessaria per lo svolgimento dell’attività e, conseguentemente, i titoli richiesti (da detta normativa) al personale per esercitare l’attività sanitaria (nella specie, il titolo di OSS-Operatore Socio Sanitario e, in via di esaurimento, il titolo di OTA-Operatore Tecnico addetto all’assistenza). La comunicazione ha, quindi, consentito all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, dovendosi ribadire che non ogni incompletezza o inesattezza dei dati, così come la stessa divergenza nel numero degli esuberi tra comunicazione preventiva e comunicazione finale, automaticamente determinano l’insufficienza della comunicazione, essendo necessario che la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata e che sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale, circostanze nella specie non emerse. Inoltre, l’imprenditore può limitarsi, come accaduto nel caso che ci occupa, all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, avuto riguardo al profilo professionale di “ausiliario” coinvolto dall’esigenza di riduzione del personale, senza che occorra l’indicazione specifica degli uffici o reparti nei quali i medesimi operavano.
Invero, la comunicazione prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225 del 2007; Cass. n. 880 del 2013; Cass. n. 7490 del 2015).
Non avendo, pertanto, la Corte territoriale preso in considerazione la legge regionale vigente in ambito di dotazioni organiche delle cliniche autorizzate per le cure della riabilitazione (valutazione resa esplicita dal rinvio, nella comunicazione di avvio, agli obblighi di legge) è incorsa in errore nella valutazione della completezza dei dati comunicati dal datore di lavoro e del nesso causale tra funzione sindacale di controllo e ragioni della crisi.
5. Tale conclusione non è da ritenere in contraddizione con talune pronunce di questa Corte rese con riferimento alla stessa procedura di mobilità (Cass. n. 10351 e 10539 del 2016).
E’ noto infatti che l’oggetto del giudizio di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c. e così come prospettate dalla parte ricorrente (conformi: Cass. n. 10868 del 2014; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 10926 del 2014): ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali in Cassazione (v. Cass. n. 22688 del 2014) perché possono essere diversi sia le fattispecie concrete che hanno dato origine alla causa, sia lo sviluppo processuale del giudizio, sia le motivazioni delle sentenze impugnate, sia, infine, i motivi di gravame posti a fondamento del ricorso per cassazione.
6. In conclusione, la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che dovrà valutare gli ulteriori profili di illegittimità della procedura di licenziamento così come prospettati dalla lavoratrice nel ricorso introduttivo del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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