CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2022, n. 7445
Tributi – IVA – Agevolazioni “prima casa” – Aliquota ridotta su acconti riscossi in base a contratto preliminare – Condizioni – Dichiarazione dell’acquirente – Assenza nel contratto preliminare – Irrilevanza – Rilascio nel contratto definitivo
Fatti di causa
1. A seguito di nove avvisi di accertamento emessi nei confronti della società R. S. & C. s.n.c., svolgente attività di costruzioni edilizie, nonché nei confronti dei soci, R. E., R. S. e R. C., per gli anni 2003, 2004 e 2005, l’Agenzia delle entrate, rettificava i redditi dichiarati dalla società ai fini Irap ed Iva, ed accertava maggiori redditi, ai fini Irpef, per i soci derivanti dall’imputazione per trasparenza del reddito di impresa in relazione a ciascuna quota di partecipazione. Dalla sentenza impugnata si evince che tali avvisi di accertamento traevano origine dai rilievi conseguenti alle seguenti violazioni: 1) per l’anno 2003, per recupero della differenza dell’aliquota Iva (dal 4% al 10%) su fatture di acconti riscossi nell’anno, a fronte di cessioni di immobili avvenute nel 2005, in quanto non documentate nelle forme previste dalla legge; 2) per l’anno 2004, per recupero differenza aliquota Iva su fatture per acconti riscossi nell’anno, a fronte delle cessioni poi avvenute nel 2005 per le stesse violazioni di cui all’anno 2003, nonché per il mancato collegamento di somme contabilmente indicate nel conto produzioni passive con il cliente e la relativa cessione dell’immobile; 3) per l’anno 2005, per i rilievi conseguenti le violazioni di cui innanzi, nonché per la mancata corrispondenza negli atti di cessione di taluni immobili degli importi ivi indicati con le relative fatture emesse in difetto dell’indicazione anche degli acconti riscossi nell’anno precedente, per cui l’Ufficio aveva rilevato omessi ricavi in base ai lavori ricavati dall’OMI.
2. La società ed i soci proponevano distinti ricorsi avverso tali avvisi di accertamento che, previa riunione, venivano rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con sentenza n. 92/2/2010 del 29/09/2010.
3. Società e soci interponevano appello che veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con la sentenza di cui in epigrafe.
4. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i soci e la società affidandosi a tre motivi. L’Amministrazione erariale ha resistito con controricorso.
5. Nelle more del presente giudizio, la società contribuente ed i soci hanno presentato dichiarazione di volersi avvalere della definizione agevolata delle controversie tributarie e contestuale richiesta di sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136.
6. Questa Corte, con ordinanza del 27 maggio 2019, ha sospeso il giudizio fino al 10/06/2019 e rinviato a nuovo ruolo a norma dell’art. 6, comma 10, d.l. n. 119 del 2018;
7. Con memoria depositata ex art. 372 cod. proc. civ., la difesa dei contribuenti ha dato atto che la società R. S. & C. s.n.c. ed il socio R. C. hanno aderito alla definizione agevolata mentre per gli altri due soci, R. S. e R. E., ha insistito per l’accoglimento delle censure proposte con ricorso introduttivo.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente deve essere dichiarata l’estinzione parziale del giudizio nei confronti della società R. S. & C. s.n.c. e di R. C.. La documentazione allegata dalla difesa di parte ricorrente (cfr., istanza di sospensione del giudizio, domanda di definizione agevolata, modello F24 di pagamento) comprova l’avvenuta definizione agevolata della controversia nei confronti della società e del socio R. C. ai sensi dei commi 8, 9, 10 dell’articolo 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136. Le spese di tale parte del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate (art. 6, comma 13, d.l. n. 119 del 2018).
1.1. Il giudizio prosegue, invece, nei confronti di R. E. e R. S. che non hanno aderito alla definizione agevolata e la cui posizione fiscale rimane distinta ed autonoma rispetto alla società (cfr., Cass., 20/07/2016, n. 14858; id. Cass., 23/11/2017, n. 28007; Id. Cass., 25/01/2019, n. 2180; Cass., 26/10/2005, n. 20851, che per il condono di cui dall’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, anche in ipotesi di presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extrabilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, hanno affermato che non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti). Ed infatti, la difesa di parte ricorrente, con la memoria ex art. 372 cod. proc. civ., ha richiamato per R. S. e R. E «tutte le censure sviluppate in sede di ricorso», instando per l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.
2. Con il primo motivo i contribuenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per aver i secondi giudici fondato il loro ragionamento presuntivo e, quindi, la loro decisione su dati inidonei a costituire una presunzione grave, quali, in primo luogo, la mera rielaborazione dei valori indicati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (cd. valori OMI). I ricorrenti, dopo aver evidenziato, in fatto, che i nove avvisi di accertamento si accentrano tutti su fatture di acconto relative a cessioni di immobili per le quali l’Ufficio aveva riscontrato una non corretta applicazione dell’IVA (il 4%, anziché il 10%) o perché dette fatture, dall’esame della contabilità, risultavano intestate a soggetti diversi dall’acquirente finale dell’immobile o perché riguardavano acconti relativi alle stesse vendite ma fatturati negli anni precedenti, hanno denunciato l’erroneità del ragionamento presuntivo dei secondi giudici, in quanto fondato su una mera rielaborazione dei valori OMI, in sé inidonei a dimostrare l’infedele fatturazione stante le modifiche normative intervenute in materia, tra cui l’art. 24, commi 4, lett. f), e l’art. 5 della legge 7 luglio 2009, n. 88, che avrebbe fatto venir meno la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare la rettifica delle dichiarazioni sul mero scostamento tra il corrispettivo dichiarato per la cessione di beni immobili e il relativo valore normale.
2.1. Col secondo motivo denunciano la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per aver la CTR sovvertito le regole di riparto dell’onere probatorio affidando prevalenza, per il calcolo del valore delle cessioni immobiliari, ai parametri OMI.
2.3. I due motivi – che si esaminano congiuntamente per connessione di censure – sono infondati per le ragioni qui di seguito esposte.
2.4. I giudici piemontesi, già nell’incipit della motivazione, hanno evidenziato come il nucleo essenziale dell’infondatezza dell’appello dei contribuenti, derivava dal mancato soddisfacimento dell’onere probatorio posto a loro carico a fronte dei «precisi rilievi dell’Ufficio impositore con gli accertamenti opposti». Di qui, procedendo alla verifica della documentazione contabile risultante agli atti, hanno in primo luogo, affermato che per il recupero della differenza di aliquota Iva, dal 4% al 10%, per l’anno 2003, sugli acconti riscossi e riportati poi nella fattura di vendita definitiva, l’operato dell’Ufficio era da considerarsi legittimo in quanto «[…] l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% anche ai suddetti acconti non può trovare alcuna giustificazione in quanto affatto supportata dall’idonea obbligatoria documentazione (apposita dichiarazione rilasciata a tal fine dall’acquirente ovvero probante dichiarazione in tal senso nel preliminare di compravendita) attestante appunto la legittimità della sua applicazione trattandosi di cessione di fabbricato costituente prima casa per il soggetto acquirente […]»; del pari, hanno verificato l’irregolarità delle fatturazioni soggette ad aliquota ridotta degli acconti eseguiti dai soggetti acquirenti gli immobili nei successivi anni 2004 e 2005 periodo nel quale, tra l’altro, si era acclarata l’esistenza di una rilevante somma di euro 66.000,00 per versamenti eseguiti dai clienti nel corso degli anni 2004-2005, per la quale non era stato possibile effettuare il relativo collegamento con la definitiva fatturazione. Su tale verifica, sono dunque giunti a ritenere legittimo l’operato dell’Ufficio che aveva accertato i ricavi ed i redditi conseguiti dalle varie cessioni immobiliari in base ai valori dei fabbricati compravenduti rilevabili dalla banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, valori la cui attendibilità la CTR ha ricavato anche dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, disposta il primo grado, che aveva stimato un valore degli immobili superiore rispetto a quello indicato negli atti di compravendita.
2.5. E’ principio pacifico che «nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in I. 4 agosto 2006, n. 248, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto» (così, Cass. Sez. 5, 25/01/2019, n. 2155; sui valori OMI, cfr. Cass. Sez. 5, 12/04/2017, n.9474; Sez. 5, 04/11/2020, n. 24550; Sez. 5, 20/02/2020, n. 4410 per la retroattività scaturente da finalità di adeguamento al diritto comunitario, cfr. Cass., 21/12/2016, n. 26487).
2.7. Alla luce di tali principi, se è vero che i valori risultanti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare non possono, da soli, essere posti a base di atti impositivi fondati sul maggior valore dei beni oggetto degli atti di trasferimento in quanto, avendo valore di indizio, devono essere valutati solo nel contesto di un più ampio quadro indiziario dal quale si possa inferire il maggior valore di un immobile rispetto a quanto dichiarato nell’atto di trasferimento, è pur vero che il convincimento dei giudici della sentenza impugnata non si è basato esclusivamente su tali valori (OMI) ma su diversi altri elementi indiziari, risultanti dalla verifica della documentazione contabile ritenuta “irregolare” e di cui si è dato conto in sentenza. Significativo a tal proposito è la considerazione della mancata giustificazione dell’importo di euro 66.000,00, l’emissione di fatture di acconto non intestate all’acquirente finale, nonché il richiamo alle risultanze della consulenza d’ufficio disposta in primo grado circa l’accertato valore superiore degli immobili compravenduti rispetto ai ricavi risultanti dalla contabilità.
3. Con il terzo motivo di gravame i ricorrenti censurano la sentenza della CTR per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985, n. 17, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui ha legato l’applicabilità dell’aliquota agevolata del 4% alla prova della dichiarazione dell’acquirente di volersi avvalere del beneficio della prima casa già con il preliminare di vendita. Il mezzo è fondato.
3.1. Come innanzi esposto, la CTR, sul punto, ha ritenuto legittimo il recupero della differenza di aliquota Iva (dal 4% al 10%) sugli acconti riscossi e riportati nella fattura di vendita perché la dichiarazione di acquisto come “prima casa” non risultava dai preliminari di vendita, con conseguente legittimità del recupero a tassazione operato dall’Ufficio.
3.2. Costituisce ius receptum, che per “acquisto”, ai sensi dell’art. 1, nota II bis, quarto comma, della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, si deve intendere l’acquisizione del diritto di proprietà e non la mera insorgenza del diritto di concludere un contratto di compravendita, non potendosi all’uopo considerare sufficiente la stipula di un contratto preliminare che, come è noto, produce effetti obbligatori ma non reali (cfr. Cass. Sez. 6-5, 29/07/2014, n. 17151).
3.3. Ciò comporta che ai fini delle agevolazioni previste per la “prima casa”, dalla nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, le dichiarazioni di sussistenza delle condizioni ivi previste, ove non siano state rese nel contratto preliminare e il contratto definitivo non sia stato stipulato, possono essere sempre rese, anche successivamente, senza che ciò elida l’agevolazione, atteso il carattere necessario della collaborazione del contribuente, che integra un presupposto del beneficio e costituisce un’eccezione al principio generale secondo cui un’agevolazione non richiesta al momento della imposizione non è perduta, potendosi rimediare, nei previsti limiti temporali, all’erroneità di quest’ultima (v. Sez. 5, 03/02/2014, n. 2261 richiamata da Sez. 6-5, 12/01/2017, n. 635, che ha ritenuto legittima la manifestazione di volontà prescritta dall’art. 1, nota II bis, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 anche ove l’acquisto sia avvenuto a titolo originario per usucapione, prima della registrazione del provvedimento del giudice; v., altresì, Cass., Sez. 2, 08/02/2018, n. 3132, che, in fattispecie in cui era stata proposta la domanda di esecuzione in forma specifica, ha affermato che le dichiarazioni riguardanti le agevolazioni “prima casa” possono essere rese anche nel corso del giudizio, fino alla sentenza pronunciata a norma dell’art. 2932 cod. civ.).
3.4. A tanto giunge anche la prassi amministrativa (v. circolare 1/E del 02/03/1994) secondo cui laddove la dichiarazione in parola sia fatta nell’atto definitivo di vendita, le fatture relative agli acconti già emesse con la aliquota del 9% possono essere rettificate, ai sensi dell’art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972 onde consentire l’applicazione della aliquota ridotta del 4% sull’intero corrispettivo della cessione.
3.5. La CTR ha, dunque, violato tali principi nella parte in cui ha ritenuto che l’agevolazione non potesse essere concessa perché nei preliminari di vendita non era rinvenibile la dichiarazione da parte del promissario acquirente, senza considerare che, invece, tale dichiarazione poteva sempre essere effettuata, anche successivamente in un eventuale giudizio per l’esecuzione in forma specifica del preliminare.
4. In conclusione, accolto il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi di diritto esposti ai paragrafi che precedono.
5. Il giudice di rinvio è tenuto a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara l’estinzione parziale del giudizio, per cessata materia del contendere, nei confronti della società R. S. & C. s.n.c. e di R. C.. Spese a carico della parte che le ha anticipate.
Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso proposto da R. S. e R. E. ed accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
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