CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2018, n. 28597
Lavoro – Funzionario ministeriale – Processo penale per peculato e ricettazione di valori bollati – Rimborso spese legali – Beneficio – Riconoscimento – Presupposti
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale di Agrigento, ha rigettato la domanda proposta da S.A., funzionario del Ministero dell’Interno, addetto all’Ufficio Passaporti della Questura di Agrigento, rivolta a ottenere il riconoscimento del diritto al rimborso da parte dell’Amministrazione, delle spese legali sostenute per la difesa nel processo penale per peculato e ricettazione di valori bollati, da cui era stato assolto con formula piena.
La Corte ha ritenuto che le condotte contestate fossero del tutto indipendenti dall’assolvimento dei compiti istituzionali affidati all’Arnone, e che la qualità di pubblico ufficiale dallo stesso rivestita, aveva costituito una mera occasione e non la causa delle condotte contestate.
Pertanto, aveva ritenuto che non potesse trovare applicazione, nel caso in esame, l’art. 18 del d.l. n. 67/1997, convertito in l. n. 135/1997, il quale dispone che le spese legali sono rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza qualora i fatti e gli atti oggetto dei giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa siano connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, e sempre che, i predetti giudizi, si siano conclusi con sentenza di proscioglimento.
Per la cassazione della sentenza ricorre S.A. con un unico motivo. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso mentre la Prefettura di Agrigento resta intimata.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente contesta “Erronea interpretazione e applicazione dell’art. 18 d.l. 25/3/1997, n. 67, conv. in I. 23/5/1997, n. 135”. Lamenta l’errata interpretazione, da parte dei Giudici del merito, della norma di cui in epigrafe, rilevando che il suo diritto al riconoscimento delle spese legali sostenute sarebbe giustificato dal fatto che lo stesso, solo ed esclusivamente in ragione del suo ufficio si trovava nella disponibilità delle pratiche e dei diritti che avevano dato luogo alle imputazioni, poi rivelatesi infondate. Pertanto, afferma la sussistenza del nesso di strumentalità tra condotta imputata e mansioni lavorative espletate che giustificherebbe, a norma di legge, la domanda di riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa in giudizio.
Il motivo è infondato.
Con argomentazione chiara, coerente ed esente da vizi logici, la sentenza d’Appello, richiamandosi all’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, conv. in l. n. 135 del 1997, del quale ha preso in considerazione tanto il tenore letterale quanto la ratio applicativa, ha affermato che il beneficio delle rimborso delle spese legali è riconosciuto al dipendente, ingiustamente processato per fatti e atti, purché gli stessi siano connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali.
La previsione di un siffatto diritto ha la duplice funzione di tutelare il dipendente dall’ingiusta sottoposizione a giudizi civili e penali, dovuta all’esposizione causata da ragioni inerenti lo svolgimento del servizio, nonché, di porre la pubblica amministrazione al riparo da una perdita di efficacia del proprio operato che detta esposizione potrebbe determinare.
Considerata la norma in questa esatta prospettiva, la doglianza si dimostra priva di pregio. Il ricorrente pretenderebbe di fondare la sua pretesa sul fatto che la domanda di rimborso derivi dal generico collegamento tra le condotte imputate (peculato e ricettazione di valori bollati) e l’attività istituzionale del Ministero. La Corte d’Appello ha, di contro, correttamente stabilito che nel caso in esame, il rapporto di servizio abbia costituito la mera occasione per la sottoposizione a giudizio dell’Arnone, e che le condotte imputate allo stesso, lungi dal corrispondere a esigenze dell’ufficio da lui ricoperto, rispondevano al suo esclusivo interesse e contrastavano con l’agire della pubblica amministrazione (p. 3 sent.).
Il proscioglimento dalle accuse si rivela irrilevante ai fini della pretesa al rimborso delle spese legali, atteso che l’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, conv. in l. n. 135 del 1997, ha inteso prevedere quale condizione per l’accesso alla tutela patrimoniale una specifica connessione tra giudizio e compiti del dipendente prosciolto, là dove, nel caso esaminato, le difese erano state spese per reati collegati a condotte del tutto estranee all’espletamento del servizio e all’assolvimento degli obblighi istituzionali del ricorrente. La Corte territoriale ha accertato correttamente che la posizione di funzionario dell’Ufficio passaporti della Questura di Agrigento dell’Arnone, aveva costituito l’occasione dei comportamenti imputatigli, ma non avrebbe potuto certo considerarsi come la causa degli stessi, tale da riconoscergli il diritto al rimborso delle spese sostenute per la difesa processuale.
In definitiva, essendo il motivo infondato, il ricorso va rigettato.
Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla spese nei confronti della Prefettura di Agrigento che non ha svolto attività difensiva.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, nei confronti del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500 per compensi professionali, oltre a spese prenotate a debito. Nulla spese nei confronti della parte rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13 (ndr comma 1 bis dello stesso art. 13).
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