CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2018, n. 28605
Indennità di mobilità lunga – Contribuzione figurativa – Prescrizione quinquennale – Distinzione tra contribuzione effettiva o figurativa – Non sussiste
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 28 marzo 2013, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto prescritto il diritto dell’INPS ad ottenere, dalla E.T. s.p.a., la somma corrisposta, al lavoratore E.G., a titolo di indennità di mobilità lunga, nel periodo dal 9 dicembre 2002 al 30 aprile 2005, ed accreditata, per il medesimo periodo, a titolo di contribuzione figurativa sulla posizione del predetto lavoratore.
2. A fondamento del decisum la Corte rilevava che l’esborso corrispondente ai contributi figurativi rientrava nella disposizione dell’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995, la cui ampia previsione, agli effetti della prescrizione quinquennale, non distingueva tra contribuzione effettiva o figurativa.
3. Quanto al diritto dell’Istituto alla restituzione dell’importo erogato al lavoratore a titolo di indennità di mobilità lunga, la prescrizione quinquennale, alla stregua dell’art. 2948, n. 4 cod.civ. trovava fondamento nella cadenza annuale del rimborso evinta dall’art. 3, comma 5, del d.l. n. 129 del 1997, convertito nella legge n. 229 del 1997, disposizione generale sul rimborso all’INPS alla fine di ciascun anno solare, applicabile a tutte le ipotesi di mobilità lunga previste dalle diverse leggi speciali, ove non derogate dalle stesse.
4. Avverso la sentenza ricorre l’Inps, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a. con ricorso affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria, la s.p.a. E.T..
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1 – septies del d.l. 8 aprile 1998, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 5 giugno 1998, n. 176, dell’art. 7, nono comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e dell’art. 3, nono comma, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l’INPS censura la sentenza impugnata per avere annoverato gli oneri relativi alla permanenza in mobilità, rappresentati dalle somme necessarie a ristorare l’istituto di previdenza della contribuzione figurativa riconosciuta al lavoratore posto in mobilità lunga, e posti a carico delle imprese, nella categoria della contribuzione previdenziale, a ciò facendo conseguire l’applicazione della prescrizione quinquennale.
6. Assume l’INPS che la regola eccezionale introdotta per la mobilità lunga, che consente al soggetto pubblico di vedersi ristorato dell’esborso connesso all’accredito della contribuzione figurativa, ponendo a carico del datore di lavoro il pagamento della somma corrispondente al relativo importo, ha introdotto un ristoro del costo economico che l’ordinamento ha sopportato per riconoscere al lavoratore la tutela contributiva di tipo figurativo, con la conseguenza che le somme pagate dal datore costituiscono un onere, e non già un contributo, e la relativa restituzione all’INPS rientra nel novero dell’ordinario termine di prescrizione decennale.
7. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1 – septies del d.l. n. 78 del 1998, convertito, con modificazioni, in legge n. 148 (recte n. 176) del 1998 e dell’art. 2948, n.4 cod.civ., l’INPS censura la sentenza impugnata, ancora quanto al regime prescrizionale, in riferimento alle somme dovute dal datore di lavoro per ristorare l’INPS dell’erogazione, al lavoratore, della prestazione di mobilità lunga.
8. Assume l’INPS che la somma richiesta al datore di lavoro esula dal novero delle prestazioni previdenziali (giacché prestazione previdenziale è quella erogata dall’INPS al lavoratore), trattandosi di rimborso di somme anticipate dall’INPS in favore dei lavoratori creditori per sottrarli al rischio economico dell’inadempimento da parte del debitore-datore di lavoro, e che è priva di rilievo l’inesistenza di una disciplina speciale che fissi un termine a partire dal quale l’ente previdenziale possa pretendere, dal datore, il rimborso delle somme pagate, in nome e per conto suo; di qui l’esclusione di tale credito dal novero dei crediti soggetti a prescrizione breve quinquennale e l’applicazione della prescrizione decennale.
9. Il ricorso, premessa la carenza di legittimazione attiva della S.C.C.I. s.p.a.,in considerazione dell’estraneità della società di cartolarizzazione alla pretesa creditoria azionata dall’INPS, e al giudizio di merito che ne è seguito, è ammissibile, non ravvisandosi i denunciati profili di inammissibilità quanto alla forma legale essenziale, alla mancata proposizione del quesito, invero non prescritto dal codice di rito ratione temporis, nell’indicazione delle affermazioni di diritto contenute nella sentenza ed avversate con l’impugnazione.
10. I motivi, congiuntamente esaminati per la loro connessione logica, non sono meritevoli di accoglimento.
11. Giova premettere in fatto che, dal 9 dicembre 2002 al 30 aprile 2005, il lavoratore E.G. ha fruito della mobilità lunga ai sensi e per gli effetti dell’art. 1-septies del d.l. n. 78 del 1998, convertito, con modificazioni, in legge n. 176 del 1998; nel predetto periodo l’ente previdenziale ha erogato, quale terzo preposto, l’indennità di mobilità in favore del lavoratore, indennità che ordinariamente paga direttamente il datore di lavoro, e ha inoltre accreditato, per legge, la contribuzione figurativa sulla posizione del predetto lavoratore quale forma di sostegno al reddito.
12. Con la concessione della mobilità lunga, volta ad accompagnare il lavoratore fino al momento del sorgere del diritto al trattamento pensionistico, il legislatore ha introdotto l’anticipo dell’erogazione della prestazione di mobilità da parte dell’INPS, così tutelando il lavoratore dal rischio economico dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, e, contestualmente, la regola eccezionale che consente all’ente previdenziale di vedersi ristorato dall’esborso economico connesso all’accredito della contribuzione figurativa, ponendo a carico del datore di lavoro il pagamento della somma corrispondente all’importo della contribuzione figurativa accreditata.
13. La ratio dell’istituto della mobilità lunga è stata di recente ribadita da Cass. 5 febbraio 2018, n. 2697 evidenziando che, attraverso le disposizioni che consentono al lavoratore di utilizzare i periodi di erogazione dell’indennità ai fini del diritto e della misura della pensione (art. 7, comma 9 legge n. 223 del 1991), e di completare così, nello stesso lasso di tempo, i requisiti mancanti per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico, non viene offerto un sostegno alla disoccupazione – che altrimenti non vi sarebbe ragione di differenziare i limiti di durata tra lavoratori che si trovano tutti nelle aree svantaggiate dal punto di vista occupazionale – ma si permette l’acquisizione del trattamento pensionistico a cui il lavoratore è prossimo, essendone prevista, per legge, l’erogazione solo fino al compimento del periodo dei sette anni mancanti al raggiungimento dei 35 necessari per beneficiare della pensione di anzianità (legge n. 223 del 1991, art. 7, comma 7; cfr. Cass. n. 2697 del 2018 cit. e i precedenti ivi richiamati; v. anche Cass., Sez. U., 21 luglio 2006, n. 16749, ed ivi il rilievo per cui la citata norma non fa riferimento al momento in cui si perfezionerà il diritto alla pensione, né alla gestione che la erogherà, ma considera solo gli anni di contribuzione necessari accreditati al momento della cessazione del rapporto di lavoro).
14. Si tratta, ora, di qualificare l’onere a carico delle imprese, perché così il legislatore ha inteso definire le somme dovute dal datore di lavoro all’ente previdenziale, sia quanto alla prestazione direttamente erogata al lavoratore sia quanto alla contribuzione figurativa accreditata per il medesimo periodo, qualificazione che assume rilievo dirimente agli effetti del regime prescrizionale applicabile.
15. Alla variegata tipologia di oneri economici, che il panorama legislativo offre in materia, ha già dato risposta, di recente, la Corte di legittimità, con la sentenza 12 gennaio 2018, n. 672, rimarcando che proprio per la molteplice varietà dei contributi (obbligatori, volontari, figurativi, addizionali, di solidarietà, ritenute, oneri economici) e per la diversità funzionale ad essi connaturata, potrebbero sempre farsi valere diversità estrinseche tra le tante tipologie regolate dalla legge, allo scopo di affermare che l’una specie risulti dissimile rispetto all’altra, anche in considerazione dei differenti istituti che sono destinati a finanziare ed alla diversa legislazione vigente nel tempo (v. anche Cass. 21 dicembre 2017, n. 30699).
16. Le differenze terminologiche non possono, tuttavia, incidere sull’appartenenza alla comune ed ampia categoria dei contributi previdenziali (per gli ulteriori argomenti ed ipotesi esemplificative si rinvia a Cass. n. 672 del 2018 cit.), ed ancor più sul regime prescrizionale, per cui pur dandosi atto della precipua diversità, per natura e funzione, dei contributi complessivamente considerati, risponde ad un criterio di ragionevolezza assoggettare alla disciplina della prescrizione, dettata dall’articolo 3, comma 9, lettera b) della legge n. 335 del 1995, tutti i contributi, nell’accezione lata comprensiva, come nella specie, anche degli oneri economici relativi alla permanenza in mobilità peri periodi eccedenti la mobilità ordinaria, sopportati dall’ente previdenziale sia per erogare al lavoratore la prestazione economica sia per accreditare la relativa contribuzione figurativa.
17. A tanto consegue che la sentenza impugnata, cosi corretta ed integrata nella motivazione ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod.proc.civ., non è suscettibile di cassazione.
18. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 -bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 – bis.
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