CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2021, n. 32508
Omissione contributiva – Concordato preventivo – Transazione previdenziale – Sussistenza dei requisiti
Fatti di causa
Con decreto depositato il 27.4.2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato analogo provvedimento con cui il Tribunale di Busto Arsizio aveva omologato il concordato preventivo proposto da N.L. s.p.a.- La Corte, in particolare, nel rigettare le doglianze dell’INPS concernenti la parziale falcidia delle sue pretese, concernenti crediti per contributi previdenziali non pagati, ha ritenuto che l’omologazione del concordato non dovesse sottostare alla previa verifica della sussistenza delle condizioni previste dal d.m. 4.8.2009, trattandosi di normativa di natura secondaria che non potrebbe compromettere l’ampiezza della cognizione giudiziale nelle procedure concorsuali senza con ciò stesso violare le norme primarie sovraordinate in materia.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo due motivi di censura. N.L. s.p.a. ha resistito con controricorso, mentre l’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso adesivo. L’INPS, N.L. s.p.a. e il Pubblico ministero hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 166, 180 e 182-ter, l. fall., per avere la Corte di merito ritenuto che nel caso di specie, in cui il concordato preventivo non si era accompagnato ad alcuna transazione previdenziale, non si dovesse nemmeno valutare la sussistenza dei requisiti di cui al d.m. 4.8.2009 né di alcun altro criterio di valutazione: ad avviso di parte ricorrente, infatti, soccorrerebbero in specie i principi dettati da CGUE, 7.4.2016, C-546/14, di talché quanto meno si sarebbe dovuto accertare che il credito non avrebbe potuto ricevere trattamento migliore in sede di fallimento.
Con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione del medesimo compendio normativo di cui al primo motivo per non avere la Corte territoriale ritenuto la natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 182- ter, l. fall., che – nel testo introdotto dall’art. 1, comma 81, l. n. 232/2016 – stabilisce che il concordato preventivo concernente crediti per contributi previdenziali può avvenire solo nella forma della transazione previdenziale.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Com’è noto, la riforma della legge fallimentare, innovando rispetto al sistema previgente, ha riconosciuto l’ammissibilità di un concordato preventivo che preveda il pagamento non integrale dei creditori privilegiati: l’art. 160, comma 2°, l. fall., sancisce infatti che la proposta di concordato preventivo «può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)».
II successivo art. 182-ter, comma 1°, l. fall., nel testo modificato dall’art. 32, comma 5, lett. a), d.l. n. 185/2008 (conv. con l. n. 2/2009), stabiliva, all’epoca dei fatti per cui è causa, che «con il piano di cui all’articolo 160, il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea», fermo restando che «con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta [poteva] prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».
È precisamente in relazione a tale disposizione che risulta emanato il d.m. 4.8.2009, recante «Modalità di applicazione, criteri e condizioni di accettazione, da parte degli enti previdenziali, degli accordi sui crediti contributivi»: esso, infatti, dopo aver delimitato con chiarezza il proprio ambito di applicazione (cfr. art. 1: «Il presente decreto disciplina, nell’esclusivo ambito della procedura di cui al citato art. 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dall’art. 32, comma 5, lettera a), del decreto- legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, le modalità di applicazione, i criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie della proposta di accordo sui crediti per contributi, premi e relativi accessori di legge»), dispone, all’art. 3, che, rispettivamente, «la proposta di pagamento parziale per i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. e per i crediti per premi non può essere inferiore al cento per cento e per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art. 2778 c.c. non può essere inferiore al quaranta per cento», che «la proposta di pagamento parziale per i crediti di natura chirografaria non può essere inferiore al trenta per cento» e che «la proposta di pagamento dilazionato non può essere superiore a sessanta rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale, nel tempo, vigente».
Ciò posto, questa Corte ha già escluso che la previsione contenuta nell’art. 182-ter, l. fall., nel testo anteriore alla novella introdotta dalla l. n. 232/2016, ed alla stregua di quanto sancito dal d.m. 4.8.2009, imponga al proponente un concordato preventivo con previsione di falcidia dei crediti previdenziali ed assistenziali di avvalersi anche del meccanismo della transazione di cui al citato articolo: una tale conclusione, infatti, non sarebbe coerente con la ratio generale del concordato preventivo e, rendendolo di fatto ostaggio della volontà delle agenzie fiscali e degli enti gestori delle forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, surrettiziamente perverrebbe ad un giudizio di disvalore per una procedura concorsuale che, invece, viene complessivamente incentivata dal legislatore (così da ult. Cass. nn. 16364 del 2018, 22546 del 2020).
Nel motivare tale conclusione, in particolare, si è osservato che l’art. 182-ter, l. fall., nel testo anteriore alla novella del 2016 più volte cit., prevede espressamente che l’imprenditore “può” (e non “deve”) ricorrere alla transazione (anche) previdenziale, e che il d.m. 4.8.2009 non solo non apporta alcuna deroga alla facoltatività di tale transazione (né logicamente potrebbe: arg. ex art. 4, comma 1°, prel. c.c.), ma si limita semplicemente a rendere concretamente operativa la sua previsione per il caso in cui l’imprenditore decida di formulare una proposta di transazione, disciplinando esclusivamente le modalità di applicazione e i criteri e le condizioni per la sua accettazione da parte degli enti previdenziali. E tali affermazioni, che il Collegio condivide, non solo valgono ad escludere che il d.m. cit. possa dettare criteri imperativi alla cui stregua dover valutare la legittimità del concordato, ma altresì che, come ipotizzato dall’INPS nel primo mezzo di censura, in mancanza debba farsi ricorso ai criteri indicati da CGUE 7.4.2016, cit., ossia che si accerti che il credito oggetto di falcidia non avrebbe potuto ricevere un trattamento migliore in sede di fallimento: è sufficiente sul punto rilevare che la citata sentenza della Corte di Giustizia ha propriamente statuito in ordine alla falcidia dei crediti relativi all’IVA, oggetto del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 4 TUE e della direttiva 2006/112/CE, e che non è certamente ipotizzabile un’estensione della sua efficacia vincolante ad ambiti estranei alle competenze comunitarie, qual è quello dei contributi previdenziali.
Deve poi escludersi che la novella apportata all’art. 182-ter, l. fall., dall’art. 1, comma 81, l. n. 232/2016, abbia natura d’interpretazione autentica del testo previgente: nulla nel testo di essa autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto chiarire un qualche dubbio circa la legittimità di ricorrere al concordato preventivo pur in presenza di una falcidia dei debiti tributari e previdenziali e in assenza di una transazione con gli enti che ne sono creditori, né tale carattere può presumersi solo perché, in ipotesi, è stata dettata una regola di segno diverso dall’orientamento fatto proprio anche dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 26988 del 2016. Di talché, essendo tale disposizione entrata in vigore il 1° gennaio 2017, ossia dopo l’omologazione del concordato da parte del Tribunale di Busto Arsizio (13.6.2016), deve escludersi che possa offrire un valido parametro per decidere della fondatezza della censura dell’INPS.
Il ricorso, pertanto, va rigettato.
Tenuto conto della complessità e parziale novità della questione trattata, si ravvisano giusti motivi per compensare tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità. Sussistono invece i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.