CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 ottobre 2018, n. 24754
Risoluzione del rapporto per muto consenso – Valido contratto di somministrazione – Esibizione – Onere della prova
Fatti di causa
1) La corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 6791/2012 ha respinto l’appello promosso dalla società H.I. srl avverso la sentenza del tribunale di Roma che, respingendo l’eccezione di risoluzione del rapporto per muto consenso, aveva accolto parzialmente la domanda di E.N., accertando l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato tra le parti, in ragione del mancato assolvimento dell’onere di prova, da parte della società, circa l’esistenza di un valido contratto di somministrazione, non prodotto da H.. Il primo giudice aveva infatti respinto l’istanza della società svolta ai sensi dell’art. 210 c.c. di esibizione di tale contratto da disporre nei confronti della società O. lavoro, società fornitrice con cui era stato stipulato il rapporto di lavoro del N.
2) La sentenza impugnata ha ritenuto infondati i motivi di gravame ed ha confermato la decisione del primo giudice rilevando che la società non aveva dedotto alcuna circostanza atta a comprovare le ragioni in base alle quali non aveva la disponibilità dei contratti di fornitura, senza dedurre di aver richiesto copia degli stessi alla Direzione del Lavoro e comunque rilevando che i documenti di cui si richiedeva l’esibizione non erano indicati in rilevato che non era dimostrata l’indispensabilità del mezzo di prova né potendo l’appellante fondatamente invocare esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 437 c.c., che presuppone comunque l’insussistenza di una colpevole inerzia della parte interessata.
3) La corte distrettuale ha anche confermato l’inesistenza di elementi che consentissero di ritenere la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, in particolare evidenziando il limitato lasso di tempo di pochi mesi tra l’ultimo rapporto a termine e la data di messa in mora, oltre all’assenza di altri atti significativi.
4) Ha respinto poi la corte l’eccezione sollevata dalla appellante circa la detrazione dell’aliunde perceptum.
5) Avverso la sentenza ha proposto opposizione H.I. spa affidato a due motivi, poi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui ha resistito il N. con controricorso.
Motivi della decisione
6) Con il primo motivo di ricorso la società deduce la violazione degli artt. 115 e 210 c.p.c., 2967 c.c. 20, 21 e 27 del Dlgs n. 276/2003 in relazione all’art. 360 n. 2 e 4. Secondo la società ricorrente avrebbe errato la corte nel non ammettere la prova richiesta mediante l’ordine di esibizione, sia perché i documenti oggetto di tale esibizione erano stati precisati nello stesso ricorso di primo grado dal lavoratore, e dunque vi era specificità della richiesta, sia perché non emergerebbe dalla norma di cui all’art. 210 che la parte istante debba provare l’impossibilità di reperire comunque il documento.
7) Il motivo è infondato. Sebbene sia indispensabile l’istanza di parte ai fini dell’esibizione di un documento, il relativo ordine è rimesso alla discrezionalità del giudice, il quale deve valutare la rilevanza del documento ai fini probatori e l’impossibilità di provare la medesima circostanza con altri mezzi istruttori. L’ordine di esibizione , non può infatti, sopperire all’inerzia della parte di dedurre mezzi di prova.
8) La decisione del giudice di ordinare o meno l’esibizione di un documento non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione. Non è infatti sindacabile in cassazione il rigetto del giudice di merito dell’istanza di disporre I’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte, dell’ istanza di disporre I’ ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte, perché, trattandosi di strumento istruttorio residuale utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile “aliunde”, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione il mancato esercizio di tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (così Cass. n.23120/2010, Cass. n. 24188/2013).
9) con il secondo motivo di gravame si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 32 c. 5 della legge n. 132/2010 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c. per avere la corte omesso di pronunciarsi in relazione alla richiesta di applicazione dell’ius superveniens con riferimento alla determinazione dell’indennità risarcitoria.
10) Il motivo è fondato. Questa Corte, con orientamento oramai consolidato (Cass. n. 1148/13, Cass. 13404/2013, Cass. 8286/2015, Cass. 24887/2017) a cui deve darsi continuità, ha ritenuto applicabile l’indennità prevista dalla L. n. 183/2010 art. 32, comma 5 a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.
11) In particolare Cass. 24887/2017 ha precisato che l’indennità ex art. 32 legge n. 183/2010 si applica ogniqualvolta ricorra la conversione in contratto a tempo indeterminato, e, quindi, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, osservando altresì che tale conclusione non si pone in contrasto con la sentenza della CGUE dell’11 aprile 2013 in Causa C-290/2012, che ha escluso che la Direttiva 1999/70/CE, di recepimento dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad uno interinale, poiché tale inapplicabilità, secondo la sentenza cit., deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione di quella fattispecie contrattuale, e non già da una sua ritenuta incompatibilità ontologica con un puro e semplice contratto a tempo determinato.
12) E peraltro Cass. n. 8286/2015 prima ricordata, ha posto in evidenza l’evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196/19977 e la somministrazione di lavoro del D.Lgs. n. 276/2003, ex art. 20 e segg.., osservando altresì che, trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l’effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo (ai sensi dell’art. 21 u.c. del D.lgs. n. 276 il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore e non più del somministratore) e su quello oggettivo (atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore).
13) Va pertanto accolto il secondo motivo relativamente all’applicazione dell’art. 32 citato con riguardo alle conseguenze economiche dell’ illegittimità del termine apposto al contratto, comunque accertata, e la sentenza deve essere su tale punto cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr Cass. n. 3062/2016). Al giudice di rinvio è demandata altresì la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte d’Appello di Roma in diversa composizione.