CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 ottobre 2019, n. 25057
Tributi – Dazi e diritti doganali – Regime di perfezionamento passivo – Dichiarazione di reimportazione – Prodotti compensatori – Metodo della plusvalenza
Fatti di causa
1. Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle Dogane di Livorno aveva proposto appello avverso le sentenze n. 114/1/14 e 115/1/14, emesse dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Livorno, che aveva accolto i ricorsi della ditta Z. G. in relazione agli atti di invito al pagamento per il recupero dei maggiori diritti doganali inerenti la violazione nella reimportazione di merci doganali in regime di perfezionamento passivo, per la quale la ditta Z. (di seguito, la contribuente) si era servita della M. Spedizioni Internazionali. I rilievi si fondavano sul fatto che le voci doganali dichiarate non erano comprese negli elenchi dei prodotti compensatori o trasformati. Ad avviso di quel giudice, essendo mancato il riscontro fisico della merce, era verosimile la tesi difensiva di un errore nella digitazione dei codici.
2. La CTR della Toscana, sezione staccata di Livorno, riuniti i ricorsi, confermava le sentenze impugnate. Poiché i codici utilizzati corrispondevano a capi di abbigliamento per i quali il dazio da applicare era lo stesso delle merci da reimportare in regime di perfezionamento passivo, per la CTR non era verosimile che chi si era avvalso di questo regime, sottoponendosi a specifici controlli per essere autorizzato a esportare in conto lavorazione capi di abbigliamento, avesse poi presentato dichiarazioni di importazioni relative a prodotti diversi, correndo il rischio di perdere le agevolazioni fiscali ottenute; inoltre, era irragionevole inviare all’estero materie prime tessili per poi introdurre prodotti che non avevano utilizzato quelle materie; in assenza di comportamento fraudolento era verosimile la tesi della ditta secondo cui vi era stato un errore nella indicazione dei codici; escludeva la sottrazione di imponibile.
3. L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi. La contribuente è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle dogane deduce la violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 3 c.p.c. degli articoli 84 e 199, 201, comma 3, e 204 del C.D.C.. In sintesi, si osserva che la commissione regionale era incorsa nella violazione della normativa relativa agli obblighi giuridici gravanti sull’importatore e sul suo rappresentante indiretto (posti dall’articolo 199 Reg. CEE n. 2454/1993), e di quella relativa al regime del perfezionamento passivo. Nel quadro dell’agevolazione discendente da tale regime, che consente, in base ad una specifica autorizzazione, di esportare temporaneamente fuori dall’Unione Europee, merci delle quali sia prevista la reimportazione sotto forma di prodotti compensatori, era obbligo dell’importatore indicare correttamente nella dichiarazione doganale le voci di riferimento e la qualità delle merci importate al fine di pagare il dazio con il metodo della cd. tassazione differenziale. Era, inoltre, erronea l’affermazione della commissione secondo cui l’importatore non aveva riportato un vantaggio economico, in quanto, a prescindere dal tipo di aliquota applicabile, il dazio andava calcolato con il metodo della plusvalenza sul maggior valore acquisito dalle merci per effetto delle lavorazioni o trasformazioni effettuate all’estero.
1.1. La censura è fondata. Il regime di perfezionamento passivo permette di esportare temporaneamente merci comunitarie fuori dal territorio doganale della Comunità per sottoporle a trasformazioni, riparazioni o lavorazioni e reimportare i prodotti risultanti da operazioni di perfezionamento (compensatori) in esonero totale/parziale dei dazi all’importazione (artt. 114 e 145 Reg. 2913/92, di seguito il CdC). Va ricordato che uno degli obiettivi del regime di perfezionamento passivo consiste nell’evitare che siano assoggettate ad imposizione doganale merci esportate fuori della Comunità ai fini del perfezionamento passivo (v., in tal senso, sentenza 17 luglio 1997, causa C-142/96, Wacker Werke, Race, pag. 1-4649, punto 21), al fine di usufruire di un costo della manodopera inferiore a quello praticato in Europa, oppure di usufruire di tecnologie più avanzate.
1.2. Il CdC, per la parte che interessa, dispone che:
Articolo 85 Il ricorso a qualsiasi regime doganale economico e subordinato al rilascio di apposita autorizzazione da parte dell’autorità doganale.
Articolo 87 1. L’autorizzazione definisce le condizioni in cui il regime in questione è utilizzato. 2. Il titolare dell’autorizzazione deve informare l’autorità doganale di qualsiasi fatto sopraggiunto dopo il rilascio dell’autorizzazione che possa avere un’incidenza sul mantenimento o sul contenuto di quest’ultima.
Articolo 147 1. L’autorizzazione di perfezionamento passivo è rilasciata su richiesta della persona che fa effettuare le operazioni di perfezionamento.
Articolo 148 L’autorizzazione è concessa esclusivamente: a) alle persone stabilite nella Comunità; b) quando si ritenga possibile accertare che i prodotti compensatori sono stati ottenuti dalla lavorazione di merci di temporanea esportazione. I casi in cui si possono concedere deroghe alla presente lettera b) e le condizioni in cui tali deroghe si applicano sono determinati secondo la procedura del comitato; c) sempre che la concessione del beneficio del regime di perfezionamento passivo non sia tale da arrecare grave pregiudizio agli interessi essenziali dei trasformatori comunitari (condizioni economiche).
Articolo 150 2. L’esenzione totale o parziale dai dazi all’importazione di cui all’articolo 151, paragrafo 1 non è concessa quando non siano soddisfatti una delle condizioni o uno degli obblighi relativi al regime di perfezionamento passivo, a meno che si dimostri che le mancanze non hanno avuto alcuna conseguenza sul corretto funzionamento del suddetto regime.
Articolo 151 1. L’esenzione totale o parziale dai dazi all’importazione di cui all’articolo 145 consiste nel detrarre dall’importo dei dazi all’importazione relativi ai prodotti compensatori immessi in libera pratica l’importo dei dazi all’importazione che sarebbero applicabili, alla stessa data, alle merci di temporanea esportazione se queste fossero importate nel territorio doganale della Comunità dal paese ove hanno formato oggetto dell’operazione o dell’ultima operazione di perfezionamento.
Da tale contesto, si ricava come il ricorso al perfezionamento passivo sia sostanzialmente favorevole alla industria che fruisce dell’autorizzazione, da ciò sorgendo l’esigenza che le agevolazioni che l’operatore trae dal beneficio di detto regime non comportino, invece, svantaggi considerevoli per altri produttori dell’Unione che realizzano prodotti affini a quelli che risultano dal perfezionamento (sentenza della Corte IV sezione, 21/7/2016). Risponde quindi ad una esigenza di sistema, per evitare frodi o abusi, che le voci doganali delle merci dichiarate rientrino negli elenchi dei prodotti compensatori autorizzati, cioè tra quelle autorizzate al perfezionamento passivo. “Da/ momento che una prova siffatta è ammissibile, va precisato che essa incombe proprio al debitore dell’obbligazione doganale. Spetta a quest’ultimo provare presso le competenti autorità nazionali che la dichiarazione erronea di esportazione temporanea non ha alcuna conseguenza sul corretto funzionamento del regime doganale di cui trattasi. Una prova siffatta deve segnatamente permettere di stabilire, senza alcuna ambiguità, che i prodotti compensatori risultano dalla lavorazione delle merci in esportazione temporanea” (Sentenza della Corte 2/10/2003, C-411/01, Gefco SA).
1.3. Risulta dalla sentenza impugnata che tale prova non è stata fornita e che la prova favorevole alla contribuente è stata dalla CTR ricavata sulla base di pure illazioni, sfornite di qualsivoglia supporto probatorio, rese in contrasto, come si legge nel ricorso, da quanto si ricavava dalle dichiarazioni doganali portanti codici corrispondenti a prodotti qualitativamente diversi ed estranei all’autorizzazione ad essa rilasciata. Va ricordato che per l’art. 199 D.A.C. la dichiarazione presentata ad un ufficio doganale impegna il dichiarante anche “per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione”. Nello stesso senso si esprime anche il Regolamento CE 2286/2003 “Le merci devono essere descritte secondo la loro denominazione tariffaria oppure secondo la loro denominazione commerciale usuale. Questa denominazione deve essere espressa in termini sufficientemente precisi per permettere la classificazione delle merci. Tale casella deve anche recare le indicazioni richieste da eventuali normative specifiche. In caso di impiego di contenitori, nella casella vanno anche indicati i dati di identificazione dei medesimi”.
2. Con il secondo motivo l’amministrazione deduce ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’articolo 6, comma 5 bis, decreto legislativo 472/97, per aver il giudice di appello erroneamente ritenuto che le violazioni poste in essere dalla ditta fossero soltanto di natura formale; al contrario, osserva, incidendo sulla determinazione della base imponibile, esse avevano natura sostanziale.
Anche questo motivo è fondato. L’affermazione contenuta nella sentenza della CTR secondo cui nel caso di specie non vi è stata “sottrazione di imponibile” è erronea e deriva dalla constatazione che il dazio da pagare sulle merci reimportate era il medesimo delle merci da reimportare in regime di perfezionamento passivo. Tuttavia, la circostanza valorizzata dalla CTR è priva di rilievo in quanto la normativa doganale (art. 207 d.P.R. 43/73) prevede che i diritti doganali vanno parametrati e corrisposti in base al valore delle merci. Risulta quindi violato anche l’art. 6, comma 5-bis, d. Igs. 472/9*7 secondo cui “Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.
3. Con il terzo motivo l’agenzia eccepisce, ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 3 c.p.c., la violazione degli articoli 303 e 312 d.P.R. n. 43/1973 per aver il giudice di appello escluso che la ditta importatrice avesse tenuto un comportamento fraudolento, così rendendo una statuizione che si poneva in contrasto con le norme richiamate che non richiedevano gli elementi del dolo o della frode (cita al riguardo la sentenza n. 14.041/2012).
Anche questa motivo di ricorso è fondato. Va evidenziato che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dall’art. 3 della I. 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. È, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (così sostanzialmente, in motivazione, Cass. n. 14042 del 03/08/2012; cfr. Cass. n. 13068 del 15/06/2011; Cass. n. 22890 del 25/10/2006; sulla non necessità di un intento fraudolento si veda anche Cass. n. 4171 del 20/02/2009). Ha, dunque, errato la CTR quando ha ritenuto necessaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 312 del d.P.R. n. 43 del 1973, la prova del comportamento doloso della società contribuente, così di fatto eludendo la presunzione di colpa prevista dalla legge e ritenendo, dunque, sussistente un non configurabile onere probatorio in capo all’Agenzia delle dogane; onere probatorio che grava, invece, sul soggetto ritenuto responsabile della violazione.
4. All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, in diversa composizione, per un nuovo esame in applicazione dei principi sopra esposti. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, anche per le spese.
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