CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 settembre 2020, n. 25371
Omesso versamento delle ritenute contributive e previdenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori – Trattamento sanzionatorio – Art. 3, co. 6, D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 – Applicabilità alle sole ipotesi in cui venga superata la soglia di Euro 10.000 annui
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con sentenza del 19 novembre 2013, la Corte d’appello di Brescia, giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la condanna in primo grado inflitta a S.C. per alcuni episodi di omesso versamento delle ritenute contributive e previdenziali operate, nell’anno 2006 e per il complessivo importo di €. 1.370,00, sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti della società di cui ella era legale rappresentante.
2. Avverso la sentenza di appello – il cui estratto contumaciale è stato notificato soltanto in data 13 settembre 2019 – ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, deducendo il vizio di motivazione con riguardo alla conferma del trattamento sanzionatorio. Si rileva, inoltre, che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 – con la depenalizzazione dell’omesso versamento di ritenute di cui all’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv., con modiff., nella legge 11 novembre 1983, n. 638 per un importo pari o inferiore a € 10.000 annui – il fatto contestato non integra più gli estremi del reato ascritto, con conseguente necessità, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. di rilevare ex officio l’abolitio criminis.
3. Il ricorso, trattato ai sensi dell’art. 610, comma 1, cod. proc. pen.
Per l’inammissibilità del motivo afferente al trattamento sanzionatorio, è tuttavia fondato in relazione al rilievo di cui si è appena dato conto, dovendosi pertanto annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, per qualunque causa essa sia ritenuta, non impedisce infatti la possibilità di dichiarare la depenalizzazione del reato nel frattempo intervenuta (Sez. 2, n. 48552 del 10/09/2018, Barsotti, Rv. 274241; Sez. 5, n. 1787 del 22/09/2016, dep. 2017, Tobolobo, Rv. 268753; Sez. 5, n. 48005 del 19/10/2016, Martarello e a., Rv. 268167) e la disposizione dell’art. 610, comma primo, cod. proc. pen., secondo cui gli atti, già assegnati alla apposita sezione per le inammissibilità, vanno rimessi al presidente della Corte qualora detta inammissibilità non venga dichiarata, non trova applicazione ove sussista una delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 7, n. 48054 del 16/11/2011, Mogio, Rv. 251589; Sez. 7, n. 21579 del 06/03/2008, Boujlaib, Rv. 239956).
3.1. Com’è noto, in tema di omesso versamento di contributi previdenziali e assistenziali, la modifica introdotta dall’art. 3, comma sesto, del d. lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, ha ristretto l’ambito di applicabilità della fattispecie alle sole ipotesi in cui venga superata la soglia di Euro 10.000 annui, con conseguente ridefinizione di un perimetro di condotte penalmente rilevanti più favorevole, in punto di presupposti oggettivi, per il reo, sì da permetterne l’applicazione ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. anche ai fatti pregressi in assenza di sentenza irrevocabile. Che nella specie i fatti contestati non superino la soglia del penalmente rilevante ai sensi della più favorevole norma introdotta dalla “novella” è ictu oculi evidente, posto che l’imputazione si riferisce ad omissioni per un complessivo importo di soli Euro 1.370,00 riferite ad un periodo che va da aprile a settembre 2006.
3.2. Ciò premesso, occorre inoltre osservare come per tutti i fatti di reato oggetto di condanna il termine di prescrizione sia maturato prima dell’intervento di depenalizzazione di cui si è detto, che ha trasformato in illeciti amministrativi le omissioni che non raggiungono l’importo stabilito quale soglia penalmente rilevante. Dalla sentenza impugnata, infatti, si apprende che l’unica causa di sospensione del corso della prescrizione è da individuarsi, ai sensi dell’art. 2, comma 1-quater, d.l. 463/1983, nei tre mesi successivi alla notifica della diffida, sicché tutti i fatti risultavano prescritti alla data del 16 luglio 2014.
Secondo la preferibile giurisprudenza di questa Corte, nel caso di prescrizione del reato di cui all’art. 2, comma 1 e 1-bis del d.l. 12 settembre n. 463 del 1983, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, il proscioglimento con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato” prevale sempre sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, n. 23863 del 17/10/2017, dep. 2018, Iurlo, Rv. 273052, ove si rileva che non contrasta con il principio del “favor rei” il previsto obbligo di trasmettere gli atti alla autorità amministrativa allorquando la prescrizione sia intervenuta dopo l’entrata in vigore della legge di depenalizzazione). Il verificarsi della prescrizione – in base al principio del “favor rei” stabilito dall’art. 2 cod. pen. – preclude la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente soltanto ove la causa estintiva sia intervenuta anteriormente alla data di entrata in vigore della norma di depenalizzazione (6 febbraio 2016) (Sez. 3, n. 20892 del 11/01/2017 Yamni, Rv. 270513). Per questa ragione, non deve farsi luogo alla trasmissione degli atti e si ci deve limitare all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
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