CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 aprile 2018, n. 8684
Svolgimento mansioni riferite ad una qualifica superiore di quella attribuita – Pagamento differenze retributive – Prova testimoniale – Valutazione – Motivazione per relationem alla sentenza impugnata – Legittimità
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Lecce ha respinto l’appello proposto dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto il ricorso proposto da T.T. e A.R.C. e condannato l’istituto al pagamento delle differenze retributive conseguenti allo svolgimento di mansioni riconducibili alla categoria superiore rispetto a quella rivestita.
2. La Corte territoriale ha evidenziato che la prova testimoniale, correttamente valutata dal primo giudice, aveva permesso di accertare che le appellate avevano svolto «indipendentemente dalla loro qualifica, adempimenti che riguardavano non già un segmento ma l’intero processo di istruttoria, gestione e definizione relativo ai settori loro affidati, in piena autonomia e discrezionalità e con piena assunzione di responsabilità». Ha aggiunto che il Tribunale aveva esaminato e valutato le risultanze istruttorie «con argomentazioni che si condividono e che è inutile riproporre in quanto i motivi d’appello sono del tutto generici ed astratti e non pongono critiche puntuali alle dette argomentazioni, limitandosi a riportare stralci della prova testimoniale che, invece, deve essere valutata nella sua complessità».
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’INAIL sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., ai quali hanno resistito con tempestivo controricorso T.T. e A.R.C..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’INAIL denuncia, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., «omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti; inesistenza della motivazione per relationem per omessa considerazione di tutte le circostanze dedotte con il gravame». L’Istituto sostiene, in sintesi, che il richiamo alla motivazione di altra decisione in tanto può essere ritenuto conforme all’obbligo imposto dall’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. in quanto il giudice di appello esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della sentenza impugnata in relazione ai motivi di impugnazione proposti. Nel caso di specie, al contrario, la Corte territoriale non ha fornito alcuna risposta alle censure sviluppate nel ricorso in appello riguardanti la valutazione della prova testimoniale con riferimento alle mansioni svolte, al periodo di pretesa assegnazione a compiti superiori, all’articolazione dei processi produttivi nei quali si inseriva l’attività svolta dalle appellate. Aggiunge l’Istituto che gli elementi che distinguono le due aree di inquadramento in rilievo sono da un lato lo svolgimento di tutte le fasi del processo o di più processi e, dall’altro, il livello di responsabilità attribuito, in relazione al quale le ricorrenti nulla avevano allegato nell’originario ricorso introduttivo.
2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., lamenta la «violazione dell’art. 13 del C.C.N.L. comparto enti pubblici non economici del 16 febbraio 1999 (quadriennio 1998-2001) che ha previsto il nuovo sistema di classificazione del personale e dell’allegato A del medesimo contratto; violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. in relazione all’art. 3 del contratto integrativo del 30 luglio 1999 e dell’allegato 1». Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, nel fare propria e nel richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado, quanto all’interpretazione delle norme contrattuali si è arrestata al dato letterale, senza coordinare le varie clausole tra di loro al fine di individuare la comune intenzione delle parti. Ad avviso dell’Istituto la contrattazione collettiva ha inteso attribuire rilievo prevalente non tanto alla materialità delle operazioni compiute quanto alle competenze, alle conoscenze ed alle capacità del dipendente, con la conseguenza che ai fini dell’inquadramento occorre accertare «il livello di responsabilità ed autonomia riconosciuto al dipendente non nell’esecuzione del compito ma nella gestione del processo e nella responsabilità dell’atto finale» ed occorre altresì valutare la diversa ampiezza delle competenze, il margine di discrezionalità, il contenuto professionale delle mansioni.
3. Con il terzo motivo l’Istituto ricorrente si duole della falsa applicazione delle disposizioni contrattuali sopra richiamate perché erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto di poter ricondurre le mansioni svolte dalla T. e dalla C. nell’area C sebbene fosse stato accertato che le dipendenti dovevano rispondere ad un funzionario sovraordinato, che controllava e verificava la loro attività. I compiti assegnati si riferivano a fasi dell’attività nell’ambito di direttive di massima e la responsabilità era stata sempre limitata al proprio operato, nel rispetto della declaratoria dell’area B, posizione economica B2 e B3.
4. La quarta censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale era stato espressamente denunciato che la T. aveva preso servizio presso la sede INAIL di Lecce solo il 1° marzo 2003 sicché le deposizioni dei testi, che avevano descritto l’attività svolta in detta sede, non potevano essere utilizzate per far ritenere provato il diritto a partire dal dicembre 2001, perché a detta data la T. era assegnata alla sede di Casarano.
5. L’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla difesa delle controricorrenti, deve essere disattesa sulla base del costante orientamento espresso da questa Corte secondo cui «l’improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non può conseguire al mancato deposito del contratto collettivo di diritto pubblico, ancorché la decisione della controversia dipenda direttamente dall’esame e dall’interpretazione delle relative clausole, atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice era già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, sì che la successiva previsione, introdotta dal d.lgs. n. 40 del 2006, deve essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune» (Cass. S.U. 24.11.2009 n. 23329 e negli stessi termini, fra le più recenti, Cass. 11.1.2018 n. 523 e Cass.25.10.2017 n. 25375).
6. Non determina inammissibilità del primo motivo l’erronea riconduzione del vizio denunciato all’ipotesi prevista dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. anziché a quella indicata nel n. 4 dello stesso articolo, giacché l’onere della specificità imposto dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. non deve essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, comportando solo l’esigenza di una chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta (Cass. S.U. 24.7.2013 n. 17931).
La censura, peraltro, è infondata in quanto nel processo civile è consentita la motivazione per relationem ad altri provvedimenti giudiziari e la sentenza non può dirsi affetta da nullità qualora, attraverso il rinvio, emergano in modo chiaro le ragioni della decisione (Cass. S.U. 16.1.2015 n. 642). Dal principio di diritto discende che il giudice di appello, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, ben può aderire alla motivazione della statuizione impugnata ove la condivida, senza necessità di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri (cfr. fra le tante Cass. 26.5.2016 n. 10937; Cass. 23.9.2016 n. 18754; Cass. 19.7.2016 n. 14786). In tal caso per escludere la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. è sufficiente che la sentenza di appello indichi, anche in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le decisioni, di ricavare un percorso argomentativo adeguato (Cass. n. 14786/2016 cit.).
6.1. Nel caso di specie la Corte territoriale, nel rinviare alla motivazione della sentenza impugnata, ha evidenziato che la prova testimoniale aveva consentito di accertare lo svolgimento di mansioni comportanti «adempimenti che riguardavano non già un segmento ma l’intero processo di istruttoria, gestione e definizione relativo ai settori loro affidati, in piena autonomia e discrezionalità e con piena assunzione di responsabilità» ed ha aggiunto che le condivisibili argomentazioni esposte dal primo giudice non erano state censurate in modo specifico dai motivi di appello «del tutto generici ed astratti….limitandosi a riportare stralci della prova testimoniale che, invece, deve essere valutata nella sua complessità». In tal modo il giudice di appello ha dato conto, sia pure sinteticamente, delle ragioni del proprio convincimento, in ipotesi errate ma comunque esposte, sicché deve essere escluso il vizio denunciato, non ravvisandosi la asserita totale carenza della motivazione.
7. Dalla ritenuta infondatezza della prima critica discende la inammissibilità delle ulteriori censure perché, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine di ritenere assolto l’onere di specificazione ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., è necessario che il ricorrente identifichi il tenore della motivazione richiamata, condivisa dal giudice di appello (Cass. S.U. 20.3.2017 n. 7074).
Detto onere non è stato assolto dall’istituto che ha trascritto, pressoché integralmente, l’atto di appello ma non la sentenza del Tribunale, della quale ha riportato solo minimi stralci, non sufficienti per individuare l’iter argomentativo seguito dal primo giudice e fatto proprio dalla Corte territoriale.
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’INAIL al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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